“Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire”. Le parole di Italo Calvino sono prese a prestito dal cardinale José Tolentino de Mendonça, raffinato intellettuale, per definire un’opera, caso letterario e insieme unicum nella storia della Chiesa: Illustrissimi. Lettere immaginarie. Nella prefazione alla nuova edizione critica del volume di Albino Luciani, a cura di Stefania Falasca (Edizioni Messaggero, Padova, 2023) il prefetto del Dicastero della Cultura offre le ragioni della riproposizione della singolare raccolta, testo colloquiale e squisitamente letterario, che Giovanni Paolo I ripropose, con tanto di imprimatur papale, durante il suo breve pontificato. Il solo testo ripubblicato, nell’ottobre del 1978, pochi giorni prima della sua morte.
Un lascito che non ha nulla di casuale, ma che al contrario spalanca l’universo di riferimento di Luciani, rivelando molto del suo animo e della sua teologia. Il registro disinvolto che permea questo inconsueto e diversificato epistolario, che interpella indifferentemente Padri della Chiesa e caratteri della commedia italiana, mostra come il futuro Giovanni Paolo I si fosse formato scorrazzando per ambiti diversissimi, frequentando generi e tradizioni lontane, persino antagoniste, alla ricerca dell’irriducibile cifra dell’umano. Quello che emerge è una cultura vastissima, la familiarità con la dimensione letteraria, che gli fa presentare plasticamente personaggi storici, biblici, ignoti pittori, santi e persino un orso, in un rincorrersi di miti e citazioni colte. Ne esce il ritratto di un autentico bibliofilo, appassionato dei classici ma anche della narrativa americana, capace di mescolare alto e basso, grazie ad una penna scorrevole e appassionata, decisamente la più brillante dell’episcopato italiano di quegli anni.
Il Luciani che interloquisce con Bernardino da Siena e Willa Cather, passando per il Pinocchio di Collodi e arrivando a Chesterton e Manzoni, è un onnivoro consumatore di buona letteratura. Uno dei meriti della nuova edizione di Illustrissimi è di mettere in relazione la caleidoscopica rassegna di ritratti e destinatari con le carte e i libri dell’Archivio privato e della Biblioteca del Patriarca di Venezia, fornendo la genesi della sua spumeggiante scrittura, le fonti della sua erudizione, masticata per essere poi restituita al lettore di ogni genere.
Il linguaggio di Luciani è infatti controllato, nasconde nell’essenzialità e nella apparente semplicità l’origine colta della struttura. In questo colui che diventerà Giovani Paolo I per soli 34 giorni rimane sostanzialmente “prete”, usando l’arte dell’omelia, quella che Jean Guitton chiamava “l’arte di conversare semplicemente con gli uomini”, per creare una relazione non solo con le persone “di cui e con cui parla” sulla carta, ma anche con quelle destinate a diventare spettatrici dell’immaginario colloquio.
Scrive Stefania Falasca nella presentazione del volume a proposito dello stile di Luciani: “un interattivo mescolarsi di umile e sublime, di erudizione e chiarezza, sacro e profano, tanto naturaliter da far sì che il lettore quasi non s’accorga dell’inaspettata teologia a base di code e di schiene di elefante tratte dalle Favole di Tolstoj”. Goethe, Péguy, Dante accostati a Belli, Trilussa, Goldoni in una selezione che non disdegna novità e surreali accostamenti. Il tutto filtrato dalla scelta del sermo umilis, la volontà di offrire universalità e contemporaneità, in un’immersione nel mondo che restituisce grandi verità a tutti.
Una forma di dialogo, sebbene appannata dagli anni, non perde la sua forza teologica “maturata nel solco della Tradizione e del Concilio Vaticano II”. Venerdì 17 maggio la sua Venezia concederà ad Albino Luciani una nuova occasione per stupire e affascinare, presentando Illustrissimi a Palazzo Ducale con una lectio magistralis del card. Tolentino de Mendonça.
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