Mária Sládkovičová era nata l’8 febbraio 1956. È cresciuta a Drietoma, insieme alla mamma omonima e a due fratelli, mentre il padre, perseguitato dal regime, era rinchiuso in prigione. Mária studia medicina a Martin e Bratislava, per poi esercitare la professione medica in varie città della Slovacchia. In seguito, come suora missionaria, avrebbe passato venticinque anni in Etiopia, per poi tornare in Slovacchia il 19 luglio 2021.



Ha passato gli ultimi mesi di vita sotto le cure amorevoli della famiglia e delle consorelle di Madre Teresa nel quartiere di Petržalka a Bratislava, dove ha anche incontrato papa Francesco il 13 settembre scorso. “È la nostra piccola santa. Siamo felici di averla qui”, dicevano le consorelle.

“Quando passi davanti alla chiesa, saluta sempre il Signore Gesù e offriGli il tuo cuore…”. Con queste parole ha guidato molti giovani nel loro cammino verso Dio. La sua vita era caratterizzata da una fiducia quasi infantile, dal sorriso e dall’intraprendenza. Suor Jan Mária coltivava intimamente una profonda venerazione per Maria e per l’Eucaristia.



Sotto il regime comunista ha fondato un circolo di medici cattolici e partecipato a svariati viaggi con cui, insieme ad altri dissidenti, contrabbandava letteratura religiosa dalla Polonia in Slovacchia, ma a volte anche nell’Unione Sovietica. Ha sempre difeso i perseguitati. La testimonianza del dottor Silvester Krčméry e Vladimír Jukl le piacque così tanto che divenne membro dell’istituto secolare da loro fondato, la Comunità di Fatima. Ha sperimentato l’amicizia in una comunità di laici attivi, ma ha anche cercato la via del dialogo con alcuni membri della polizia segreta (StB). Se durante gli interrogatori era solita rispondere con una sola, semplice frase  (“Non  so!”)durante un processo politico nel 1983 si rivolse ad alcuni agenti dicendo: “Oggi è la festa della conversione di San Paolo. Anche voi potete convertirvi”. Intravedeva sempre delle possibilità che sfuggivano a chiunque altro.



Sentì la chiamata a donarsi al Signore, al servizio del prossimo, come suora della Congregazione delle Missionarie della Carità. Nel 1990 incontrò Madre Teresa, cui poi scrisse una lettera. La santa rispose poco dopo: “Cara dottoressa Maria, grazie per la sua gentile lettera e la bella fotografia della Santa Eucaristia. Il suo desiderio di servire Gesù è molto grande e molto bello – la benedizione di Dio vi si poserà sicuramente. (…) Continui pure nel suo buon servizio; prego che possa sperimentare la gioia della condivisione e del prendersi cura di Gesù, nei suoi poveri. Chiediamo alla Madonna, la Madre del Signore Gesù – affinché ci doni un cuore  puro e pieno di umiltà come il suo, e possiamo amare Gesù come lei, servendolo, trasfigurato nel più povero dei poveri. Dio la benedica”In una scelta singolare, prese come nome spirituale quello di entrambi i genitori: Ján e Mária.

Il Signore ha benedetto e guidato il cammino nel servizio ai più poveri tra i poveri per tutto l’arco dell’esistenza di suor Jan Mária. Ovunque si trovasse a operare, stringeva forti amicizie con i bambini che incontrava. Molto faticoso fu il suo lavoro missionario tra i bambini malati di Aids abbandonati in Etiopia. Il suo impegno anche professionale le valse un riconoscimento ufficiale da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità. Rimase accanto, fino all’ultimo, ai ragazzi che si trovavano in punto di morte. Un rapporto personale intenso e doloroso. In mano a un bambino appena deceduto trovò un biglietto con scritto: “Quando leggerà queste righe, io la starò già guardando dal cielo. La considererò sempre una mamma. Grazie di tutto!”

I suoi ultimi momenti di vita, con il corpo martoriato dalle metastasi, sono stati dolorosi. Ma non ha mai smesso di sorridere e e incoraggiare gli altri. Suor Jan Mária ha realmente abbracciato quella croce che aveva prima sempre portato al collo, facendo sue le parole del Crocifisso: Ho sete!”. Non ha chiesto nessun miracolo o guarigione ma ha inteso la propria sofferenza come un dono che aveva un destinatario ben preciso: il papa. “Santo Padre, offro la mia vita per Lei e per la sua missione nella Chiesa”. Con queste semplici parole, rivolte al Santo Padre Francesco il 13 settembre a Petržalka, suor Jan Mária fa capire di aver compreso dove portasse, infine, la sua strada; papa Francesco si è commosso.

La vita di questa umile suora ci mostra chiaramente come la santità sia una questione reale e pratica: un servizio nella carità. Chi la ricorda come studentessa universitaria racconta come strappava sorrisi ovunque passasse. Era ancora una ragazzina quando cambiò per sempre la vita di un ragazzo schiavo della tossicodipendenza, convincendolo a uscirne. Negli incontri parlava di Dio, ma spiegava anche la lezione sui neuroni alla giovane Terka, in modo che potesse prendere un ottimo voto in medicina. Più tardi la futura suora avrebbe anche mostrato alla studentessa come fare le iniezioni senza provocare dolore nei pazienti. Erika ricorda come suor Jan Mária le insegnò gli esercizi per la schiena che pratica ancora oggi.  Una volta, incontrando un sacerdote che attraversava una crisi esistenziale, la suora gli disse: “L’Africa ha bisogno di preti santi come te. Vieni in Africa”. E lui la seguì.

Il percorso di vita di suor Jan Mária svela l’atteggiamento di una suora che non vede l’ora di incontrare il suo Sposo. Spiritualmente, ma anche umanamente, diceva: “Io sono la sposa di Cristo. Non sono mai appartenuto a nessun altro che a Lui. E quando sarò in cielo, chiederò al mio Sposo di ballare il valzer. Sono la Sua sposa! Quel valzer mi appartiene”.

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