“Ho il mio paese e ho le mie convinzioni. E non voglio rinunciare né al mio paese né alle mie convinzioni”. Con questa frase di Aleksej Naval’nyj in quarta di copertina è disponibile il libro Io non ho paura, non abbiatene neanche voi curato da Adriano Dell’Asta e Marta Carletti Dell’Asta per i tipi di Morcelliana-Scholé. Il libro esce in prima edizione mondiale, si tratta di una raccolta di scritti relativi agli ultimi 10 anni di vita: messaggi politici, discorsi, interventi, “ultime parole” pronunciate nei processi subiti, post pubblicati sui diversi social network, principale canale di comunicazione e di azione politica di Aleksej Naval’nyj (1976-2024), interviste rilasciate a giornali internazionali, lettere indirizzate dalla prigione alla moglie Julija, ai figli, agli amici.
Naval’nyj avrebbe potuto rimanere all’estero e agire dall’estero, ma ha capito che solo stando all’interno della Russia avrebbe potuto esercitare una vera influenza sulle sorte politiche del Paese.
L’essenza del suo pensiero politico era legata al patriottismo, come evoluzione di una prima fase che può essere definita più propriamente nazionalista. Il Naval’nyj che Putin considerava come unico dissidente pericoloso credeva che per salvare la Russia, la Russia andasse salvata da Putin. Ma questa convinzione profonda lo ha condotto alla scelta coraggiosa, anzi così coraggiosa da apparire temeraria, di sfidare il Cremlino direttamente da Mosca.
Questo passaggio dal nazionalismo delle origini al patriottismo della maturità è dimostrato dalla risposta di Naval’nyj all’invasione dell’Ucraina. Se nel 2014 Naval’nyj non si era opposto all’annessione della Crimea e all’invasione del Donbass da parte degli uomini verdi, nel 2022 il suoi rigetto della seconda invasione dell’Ucraina è stato invece molto netto. Così scrive il dissidente quando inizia l’invasione dell’Ucraina:
“Non è stata la Russia ad attaccare l’Ucraina, ma Putin, sono anni che intimidisce, arresta, uccide i russi… È stato Putin a voler bombardare città pacifiche, uccidere i bambini e distruggere la vita. Ai russi non è stato chiesto se volevano la guerra. Nella Russia che amiamo e di cui siamo fieri, milioni di persone sono contro questa follia. E adesso il loro aiuto è più necessario che mai. Non solo all’Ucraina e neanche alla Russia, l’aiuto serve a tutto il mondo”.
Naval’nyj sapeva che questa violazione brutale del diritto internazionale non rientrava negli interessi fondamentali della Russia, ma avrebbe invece prodotto la deriva di Mosca e avrebbe rafforzato la svolta autoritaria interna. E così è stato. Alla luce di queste considerazioni i detrattori che hanno considerato Naval’nyj un agente straniero al soldo dell’Occidente dimostrano di non avere capito la differenza sostanziale tra nazionalismo imperiale di Putin e patriottismo radicale di Naval’nyj.
C’è un secondo elemento da sottolineare: l’importanza del coraggio personale come chiave della coerenza politica di Naval’nyj. C’è chi ha sostenuto che Naval’nyj, tornando in Russia, non fosse pienamente cosciente delle conseguenze. Io penso che la sua decisione sia stata quella di giocare in Russia le ultime battute della sua sfida politica a Vladimir Putin.
Come scrive Adriano Dell’Asta, curatore del volume, “il superamento radicale della paura” è quello che ha permesso a Naval’nyj di combattere Putin. Il 27 gennaio 2021, dopo essere stato curato in Germania, dopo un avvelenamento con il novicek, su un aereo di linea russo torna a Mosca dove viene arrestato, sottoposto ai vergognosi processi in casa di pena e non nei tribunali, quando lo trasferivano con trasferimenti segreti. Ultima tappa sarà la colonia penale di massima sicurezza di Charp, oltre il circolo polare, dove muore il 16 febbraio 2024.
Rimane un paradosso di fondo, che può essere spiegato solo con l’opacità di un regime ormai così chiuso da non lasciare spazio a forme di dissenso e con l’apatia di una società sterilizzata da un ventennio di autoritarismo putiniano che si avvia ormai a diventare un trentennio. Il paradosso è che Naval’nyj, con le vergognose vicende giudiziarie che ne hanno segnato la fine, è stato un caso nel mondo internazionale, ma assai di meno nel mondo russo. Eppure era l’unico sfidante che Putin temesse davvero. Putin non temeva solo Naval’nyj come dissidente più che come politico, lo temeva per la sua forza morale. Come dimostrano i ripetuti tentativi di liquidarlo fino all’esito fatale. Perché?
Ricordiamo che quando Naval’nyj aveva reso pubblico al mondo intero (125 milioni di visualizzazioni) il palazzo di Putin in Crimea aveva toccato la nota politica essenziale della sua opposizione al potere putiniano: la corruzione di quello che può essere definito un potere non solo assoluto ma cleptocratico. L’immagine di quel palazzo incrinava l’aurea di incorruttibilità di un leader che era andato al Cremlino sostenendo che avrebbe fatto piazza pulita di quanti si erano appropriati delle risorse della Russia negli anni Novanta, ma aveva poi finito per fondare il suo potere personale sui siloviki da una parte e i nuovi oligarchi dall’altra.
Tornando in patria, Naval’nyj si prefiggeva due scopi: quello di dimostrare che il potere giudiziario è asservito al potere politico, cosa che verrà confermata dalla pesante condanna subita; e quello di stimolare nei suoi connazionali un soprassalto di consapevolezza. Tristemente questo moto di risveglio si è avuto solo, in modo limitato e temporaneo, per i suoi funerali al cimitero Borisovskoe. C’è voluta la sua morte per infondere coraggio a un popolo che non sappiamo realmente quanto venga spento dalla paura, quanto venga raggirato dalle promesse mancate di Putin, quanto sia ormai addormentato da un clima di finto consenso nazionalista.
Va sottolineato che l’Occidente ha le sue colpe: per anni, gli anni in cui ancora si pensava di trattare con la Russia, Naval’nyj non è stato sostenuto dall’opinione pubblica occidentale. Basti pensare al fatto che solo nel 2022 riceverà il Premio Sacharov del Parlamento europeo.Un risarcimento minimo ed obbligato sarebbe oggi di sostenerne la rete, ormai migrata all’estero.
Pochi mesi prima della sua morte, Naval’nyj scrive al dissidente Anatolyj Ščaranskij, che era stato condannato nel 1978 a 13 anni di lager, e scambiato dopo 9 anni con due spie sovietiche. Ščaranskij il 3 aprile 2023 gli risponde “non come autore ma come suo ammiratore” con queste profetiche parole: “Le auguro, pur con tutta la fatica fisica che questo comporta, di conservare la libertà interiore. Restando un uomo libero, tu Aleksej lasci un segno nell’anima di milioni di persone in tutto il mondo”.
Da questi scritti scaturisce una forza morale impressionante, quella che ha consentito a Naval’nyj di continuare ad accusare Putin e le istituzioni denunciando corruzione, violenze e repressione non solo a danno dei dissidenti, ma di tutto il popolo russo. Questa antologia consegna al mondo una testimonianza unica di un uomo che ha combattuto fono all’ultima parola per difendere il suo Paese dalla deriva autocratica.
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“Io non ho paura, non abbiatene neanche voi” di A. Naval’nyj sarà presentato mercoledì 15 maggio 2024 alle 19 in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, V.le Pasubio 5, Milano. Intervengono Adriano Dell’Asta, Anna Zafesova, Francesca Gori. Saluti di Francesca Bazoli.
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