Dici “Ior” e subito in chi ascolta si fanno strada una serie di luoghi comuni, dicerie di torbidi intrighi e ricchezze smisurate della “Banca del Papa”. Ma, per chi vuole saperne davvero di più, in modo storicamente fondato, c’è ora il bel saggio di Francesco Anfossi, Ior. Luci e ombre della Banca vaticana dagli inizi a Marcinkus (Ares, 2023), con prefazione di Agostino Giovagnoli. Anfossi, caporedattore di Famiglia Cristiana, fin dal suo lavoro di tesi in storia si occupa delle finanze vaticane, e nel volume ricostruisce la storia dell’Istituto per le Opere di Religione, a partire dalla sua fondazione. Dopo i Patti lateranensi, il neocostituito Stato vaticano aveva bisogno, e diritto, come tutti gli Stati, di disporre di un istituto per regolare i suoi affari finanziari senza ricorrere ai servizi di banche estere. Né c’era motivo per lasciare a banche straniere il beneficio di operazioni per la gestione patrimoniale di istituzioni religiose: fu subito chiaro che essere erano libere di fare le loro operazioni dove volevano, ma passando per lo Ior le commissioni avrebbero prodotto un beneficio per il Vaticano.



Anfossi smentisce anche un’altra parte della “leggenda nera” che ammanta lo Ior: non si tratta nemmeno di una banca munificiente, dato che, in un’ipotetica classifica delle prime cento banche italiane per attivo patrimoniale, lo Ior si collocherebbe agli ultimi posti, sesta dal fondo. La “colossale ricchezza”, con cui si riempie la bocca chi si accoda a una certa “leggenda nera” goticheggiante, spesso alimentata dalla stampa anglosassone, sta tutta in questa dimensione: parafrasando Papa Francesco, potremmo definire lo Ior una banca “povera per i poveri”. Certo, parte dell’aura leggendaria che lo avvolge viene anche dalla sua sede, a partire dal 1938: il Torrione di Niccolò V, la fortezza rinascimentale che sorge davanti al Palazzo Apostolico, scelta perché in quella sede i furti erano pressoché impossibili.



Il libro è basato non solo sulla vastissima bibliografia esistente, ma anche su documenti inediti reperiti grazie alla desecretazione dell’Archivio di Stato di Parma, che custodisce le carte del Fondo Casaroli, oltre a conversazioni con economisti, consulenti, dipendenti e dirigenti dell’istituto vaticano, tra i quali Lelio Scaletti, dirigente per un quarantennio dello Ior, Felice Martinelli, consulente della Banca d’Italia ai tempi del crack dell’Ambrosiano, Angelo Caloia, Giovanni Bazoli e tanti altri, fra cui l’avvocato americano Jeffrey Lena, difensore del Vaticano nella class action “Alperin versus Vatican Bank”, ossia il processo sul cosiddetto “Tesoro degli Ustascia”, una vicenda che fece scalpore negli Usa, ottimo indicatore di quali siano i preconcetti che l’“uomo della strada” nutre sul Vaticano e le sue finanze. Lo Ior era accusato di aver ricettato l’oro e i preziosi che gli uomini di Ante Pavelić avevano sottratto alle vittime del campo di sterminio croato di Jasenovac, ma il verdetto vide cadere tutte le accuse, in quanto completamente insussistenti, alla luce della documentazione presentata da Jeffrey Lena, diventato poi il legale di fiducia della Santa Sede.



Cuore del saggio sono però, i capitoli 7-10: il settimo capitolo è dedicato a monsignor Marcinkus attraverso documenti inediti, in ordine ai legami con Sindona e Calvi; mentre i capitoli 8-10 ripercorrono le vicende del crack dell’Ambrosiano, visto dall’interno del Vaticano. Come afferma Agostino Giovagnoli, storico di comprovata obiettività, agli occhi dell’opinione pubblica appare “sovradimensionato il carattere ‘criminale’ di molte azioni compiute da uomini che hanno gestito le finanze della Santa Sede. Il caso del Banco Ambrosiano è eloquente: non sembra che Marcinkus partecipasse davvero alle trame criminali di Calvi, e non è impossibile che la sua fiducia sia stata tradita”. Ma certo, conclude Giovagnoli, questo non è affatto un titolo a discolpa giacché “fidarsi di personaggi inaffidabili è stato un errore che chi amministra i soldi della Chiesa non può permettersi. L’allora presidente dello Ior ha comunque esposto la Santa Sede e più in generale la Chiesa a pericoli molto grandi e ne ha danneggiato fortemente la credibilità, come sottolineò il cardinal Martini. E dal profilo di Marcinkus emerge una forte componente di mondanità, che secondo Papa Francesco è, nella Chiesa, il più grave dei peccati”.

L’undicesimo capitolo, attraverso le carte del Fondo Casaroli, ricostruisce i fatti sfociati nel cosiddetto “accordo di Ginevra”, l’indennizzo di 250 milioni di dollari alle banche creditrici dell’Ambrosiano. Dopo l’accordo di Ginevra, a salvare con la sua liquidità lo Ior e le casse vaticane fu nientemeno, pochissimi lo sanno, che madre Teresa di Calcutta.

Le origini delle Ior sono state legate alle urgenze della carità e dell’evangelizzazione, specialmente durante la Seconda guerra mondiale e il dopoguerra. Purtroppo, guerre ed emergenze umanitarie non sono finite: e ciò spiega, annota Giovagnoli, perché l’autonomia finanziaria della Santa Sede e una gestione che spesso non può rispondere a regole rigidamente prefissate in anticipo rappresentino una necessità, se si vuole che sia possibile operare azioni straordinarie in situazioni straordinarie e non prevedibili. Per cui le resistenze a una totale centralizzazione e unificazione del governo delle finanze della Santa Sede non esprimono tanto la volontà di sottrarsi a controlli, ma rispondono a ragioni profonde, che il testo di Anfossi dà la possibilità di misurare.

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