Se cerchiamo sul dizionario il significato della parola “leggenda”, potremo constatare che essa ha due valenze quasi opposte: “leggenda”, neutro plurale del gerundivo latino legendus, significa infatti “da leggersi”. Oggi, nell’accezione comune, questo termine è però inteso generalmente con il significato di “cosa inventata, non vera”; una sorta di favola a cui non prestar fede.
È proprio questa seconda accezione che ha fatto sì che per secoli l’opera del domenicano Jacopo da Varazze, la Legenda aurea, scritta intorno alla metà del XIII secolo, sia stata considerata poco più di una favoletta, totalmente priva di valore storico.
Negli ultimi tempi c’è stata, però, una rivalutazione di quest’opera agiografica (originariamente nota come Legenda sanctorum o Historia Lombardica, con riferimento a un passo sulle vicende dei re longobardi), che raccoglie la narrazione delle vite dei santi, tanto da meritare una particolare attenzione da parte del grande storico Jacques Le Goff, che riconosce nel frate domenicano un autore capace di valorizzare le facoltà razionali dell’uomo attraverso risorse come l’educazione e la teologia “intesa come scienza”.
Il valore della Legenda aurea può essere pienamente compreso solo se la si considera con uno sguardo rivolto alla mentalità dell’epoca in cui essa fu scritta, e in questo senso recupera il suo pieno valore anche il significato originario del suo titolo: Jacopo da Varazze ha infatti scritto una serie di storie che “dovevano essere lette”, perché il loro valore edificatorio, la forza degli esempi in esse riportate era tale da rappresentare un aiuto, a noi poveri peccatori in cerca della retta via da seguire, per raggiungere la Salvezza eterna.
Le vite dei santi sono descritte, nella Legenda, come pienamente inserite nel tempo, nella storia, e rappresentano una manifestazione del divino nella storia stessa. Non si tratta di biografie, che si limitano a raccontare le vicende della vita di un personaggio, ma dell’interpretazione di quanto da quei personaggi veniva compiuto nell’ambito del disegno provvidenziale al quale tutti noi siamo chiamati a partecipare, con i mezzi di cui possiamo disporre. Le vicende delle vite dei santi erano una sorta di spiegazione delle tante modalità con cui Dio interviene nella storia del mondo, in un’ottica in cui Cielo e Terra non erano due realtà distinte, ma contigue l’una all’altra.
Le vite narrate da Jacopo da Varazze sembrano tradurre le parole del cardinale John Henry Newman (1801–1890), che nelle sue Meditazioni sulla dottrina cristiana legge la vita di ognuno di noi come una missione che si inserisce nella storia, in quel grande ricamo di cui noi, qui, ora, vediamo solo il rovescio, il lato aspro e doloroso. Perché Dio non fa nulla invano, e non ci ha creati per niente. Lui sa cosa sta facendo.
Così la Legenda aurea vuole raccontare, con la mentalità del suo tempo, il modo con cui tanti uomini e donne, poi elevati agli onori degli altari, hanno portato avanti il compito loro affidato, per quanto difficile e doloroso, rappresentando un esempio e un motivo di forza per chi, faticosamente, nel quotidiano, cerca di svolgere il proprio, di compito, quasi sempre senza capirne lo scopo finale.
Non c’è felicità senza una missione da svolgere. Non c’è serenità senza una strada da seguire, che porti a una meta che sia di bene e di bontà.
E le vicende narrate nella Legenda, pur con i loro significati simbolici e talvolta difficili da comprendere nel nostro secolo, rappresentano l’indicazione di una strada che ognuno di noi è chiamato a percorrere: quella verso la santità.