Un libro di poesia, addirittura un’antologia, sta avendo un buon risultato di vendite in queste settimane. Si tratta del volume Poesie da spiaggia, pubblicato da Nicola Crocetti, che ha incaricato della scelta dei testi il cantante pop di successo Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Già il titolo tradisce le intenzioni: il libro non vuole spaventare il lettore, pur essendo di poesia, genere ritenuto difficile e scolastico, e anzi gli strizza l’occhio, facendogli capire che può portarselo persino sotto l’ombrellone.
L’operazione riflette un sentimento diffuso soprattutto tra gli editori di poesia, che con questi libri ottengono sempre incassi insufficienti, quando non fallimentari: la stanchezza di essere le cenerentole della libreria, addirittura additati come responsabili dell’allontanamento dei lettori a causa della presunta oscurità e difficoltà della poesia.
L’editore Crocetti, conosciuto soprattutto nel cerchio ristretto degli estimatori di questo genere, ha operato da decenni perché uscisse dalla torre d’avorio dei suoi venticinque lettori. Basti ricordare che è stato l’unico in Italia a pubblicare una rivista letteraria, Poesia, diffusa in edicola, impresa inaudita dalle nostre parti. Ha immensi meriti, ha scoperto e lanciato molte delle voci poetiche più importanti oggi in attività e fatto conoscere in Italia il meglio della produzione internazionale del settore.
Ciò ovviamente non gli ha fatto guadagnare granché, e persino lui deve essersi stufato. Durante la presentazione del libro al recente Salone del Libro di Torino ha affermato che la poesia è circondata da un bastione di indifferenza e che per riuscire a valicare queste mura ci vuole un Cavallo di Ulisse. E non c’è Cavallo di Troia migliore di Jovanotti, ha aggiunto. Bene, siamo contenti delle buone vendite del libro e auguriamo a Crocetti che il successo continui. Se lo merita.
Ma l’operazione contiene un veleno, quello della riduzione della poesia a merce di facile consumo, attraverso un testimonial famoso come Jovanotti. Assomiglia a ciò che è successo tempo fa in molti oratori e parrocchie: poiché i fedeli non ci andavano più, i parroci hanno impiantato, di fianco alla chiesa, bar con biliardini e persino sale giochi, per invogliare i giovani, anziché provare a spiegare loro il fascino sempre moderno della fede. Dopo qualche risultato positivo, passate le mode, i bar hanno chiuso e le persone hanno continuato a disertare la messa. Così per questo libro: chi lo acquista non compra la poesia, ma Jovanotti, cioè il brand. Finito di leggerlo, ammesso che lo facciano davvero, torneranno a ergere bastioni di fronte alla poesia.
Il fatto è che la poesia è una forma d’arte particolare: è povera, poiché fatta solo di parole, ma la sua povertà contiene l’universo. Il poeta canta del suo abisso o del suo cielo, e intanto canta l’abisso e il cielo di tutti. Non solo: rinnova la lingua, soprattutto in una nazione come l’Italia la cui lingua è stata scelta tra cento dialetti diversi proprio per le poesie strepitose, di valenza universale, che in quel dialetto, il toscano, erano state scritte secoli prima. La poesia necessita amore e conoscenza. Bisogna volerla mentre si vuole il bene della propria umanità. Il motivo per cui non vende non sta nella colpevolezza dei lettori italiani: probabilmente è indotto dal potere. Un lettore di poesia impara a conoscere a fondo i propri pensieri e sentimenti e ad avere un rapporto integro col mondo, impara ad usare una lingua e parole invincibili e assolute, diventa più libero e più grande. Siamo sicuri che al potere interessi educare cittadini così? La miseria dei temi della maturità, particolarmente grave quando tocca la poesia, come anche quest’anno è stato dimostrato, dice il contrario.
Vorrei dire a Crocetti che esistono già dei Cavalli di Ulisse per la poesia. Innanzitutto i poeti stessi, che ci sono in Italia e di grande valore, come lui ben sa. Ogni volta che la loro poesia incontra un pubblico – in una libreria, una piazza o una scuola da cui ricevono l’invito – ottengono uno straordinario ritorno di gratitudine e devozione e da quel momento davvero chi li ha ascoltati comincia a cercare la poesia. Malauguratamente accade troppo poco. Lo so bene, molti di questi sono degli amici, e Crocetti lo sa meglio di me. Poi esistono alcuni ottimi insegnanti, che sanno pazientemente educare alla poesia e che non chiedono di farne la parafrasi o l’analisi metrica, ma riconoscere la propria umanità nelle parole pure e universali del poeta: questo è il lavoro da fare, non la sponsorizzazione del famoso di turno.
Purtroppo la poesia, che necessita di conoscenza, è poco conosciuta anche da chi la insegna, dal ministero in giù, tutti compresi. Mancano gli strumenti e la formazione, anche l’università è un disastro. Ma a questo non si rimedia con Jovanotti, neppure dopo il suo gesto volenteroso di leggere una poesia a Sanremo: se avesse la conoscenza adeguata, infatti, avrebbe ringraziato il vero ideatore di quel testo, da cui l’autrice portata in televisione ha tratto qualcosa di più di uno spunto: Jorge Luis Borges, argentino, uno dei maestri della poesia mondiale, che invece non è stato citato nemmeno di striscio. Questo accade ad affidare la diffusione della poesia a un estimatore non troppo preparato, pur meritevole (e in effetti alcune poesie del libro sono state suggerite a Jovanotti da Crocetti stesso).
Ripetiamo per Crocetti l’augurio che dal punto di vista economico l’operazione abbia buon esito. Ma per quanto riguarda il motivo sbandierato al Salone, quello di aumentare l’interesse per la poesia e l’abbattimento del muro coi lettori, sappiamo già che sarà un fallimento, a meno che non si intenda la poesia come una robetta alla Guido Catalano o Francesco Sole o altri youtuber/performer de noantri, che stanno alla poesia come un calciatore di parrocchia sta alla serie A. L’editore Crocetti lo sa bene. Raggranellati due soldi per ripianare il bilancio, speriamo che torni a fare il suo splendido lavoro, che non era quello di pubblicare poesie da spiaggia.
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