“Ma precisamente questo Kafkian chi è?”. A dispetto della sua comicità la frase – ultra famosa – del film Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo è invece terribilmente seria. Franz Kafka è una delle personalità più complesse e più ricche della contemporaneità. Chi ha creduto di poterne cogliere al volo i tratti più salienti, riconducendoli a un’infanzia tormentata o a un’adolescenza erotizzata o, in ultimo, a una nevrosi perennemente irrisolta, deve poi fare i conti con la potenza di un nome entrato di slancio nell’Olimpo della letteratura mondiale. Un nome, Kafka, che non ammette di essere ignorato se non al prezzo di una cocente vergogna, buona al massimo per ricavarci un witz.
Un aiuto a illuminare la “tana della talpa”, una delle molte metafore che lo scrittore ha creato per rendere a se stesso e al lettore i lati oscuri della propria esperienza, viene offerto dalla nuova edizione – per la prima volta integrale nella (anch’essa nuova) traduzione italiana – delle Lettere a Milena. Un lavoro magistralmente curato da Guido Massino e Claudia Sonino per i caratteri delle edizioni Giuntina. Le lettere di Franz Kafka a Milena Jesenská sono come un romanzo che si può leggere d’un fiato. Il romanzo di una relazione complessa, spinta da Milena sino al limite del triangolo amoroso, intensissima e astinente ad un tempo, dove il graffio della stilografica sulla carta da lettera tiene (quasi per intero) il posto del contatto erotico degli amanti.
Ma se di romanzo potrebbe trattarsi – non è un caso che una delle correnti carsiche delle Lettere a Milena sia il riferimento al triangolo amoroso narrato nel romanzo Marie Donadieu, di Charles-Louis Philippe – questo sarebbe sicuramente un romanzo storico. Una finestra spalancata, come rammenta Claudia Sonino, sull’“età ebraico-occidentale – l’epoca in cui la crisi dell’ebreo occidentale, senza radici, si sovrappone alla crisi dell’uomo moderno”. Le fanno da palcoscenico le città di Praga e Vienna, completamente risignificate dagli esiti della Grande Guerra che consegna Praga al suo nuovo destino di capitale politica e culturale, mentre a Vienna si consumano gli ultimi fasti di un impero defunto.
Una storia – prosegue Sonino – “di giovani ebrei praghesi, ebrei occidentali, attratti da giovani fanciulle cristiane, quasi fossero loro prede privilegiate, ma a loro volta attratte, quelle prede, dalla malia, dalla fascinazione, dall’intelligenza che questi Blender, questi illusionisti, geniali, malinconici, senza patria e nichilisti, esercitavano indubbiamente su di loro, un rapporto pericoloso per entrambi, in cui le vittime si possono trasformare facilmente in predatori”.
Franz e Milena sono esponenti di spicco di questa élite cosmopolita che si riunisce nei caffè e che turbina nottetempo per le città deserte confabulando di libero amore, di Kierkegaard e Nietzsche, delle avanguardie architettoniche, delle ultime novità letterarie o politiche. Galeotto, ancora una volta, fu il libro. Figlia di Jan Jesensky, brillante medico e professore universitario ceco, con la passione per il nazionalismo, il gioco d’azzardo e le donne e moglie del fascinoso intellettuale ebreo Ernst Pollak, Milena inizia la corrispondenza con Kafka dal suo “esilio” viennese proponendosi come traduttrice del racconto il Fuochista (1920).
Per Kafka si tratta della prima traduzione in una lingua diversa dal tedesco. Le primissime lettere riguardano questioni tecniche. L’esigentissimo Kafka non è molto soddisfatto del lavoro della giovane donna. Poi le lettere prendono fuoco e si infiammano di pathos. Lei gli confida i tormenti di una vita coniugale infelice, i problemi economici e infine di salute. Lui le manda dei soldi, la supplica di curarsi, di mangiare, di lasciare Vienna e il marito. In una lettera Kafka contrappone i sui “38 anni ebraici” ai “24 anni cristiani” di Milena. In realtà all’epoca non ne ha che 37 e il riferimento ai 38, lo nota con acume Guido Massino, allude all’episodio del paralitico nel Vangelo di Giovanni. Da quasi tre anni Kafka non scrive più nulla che ritenga meritevole di pubblicazione e la tubercolosi, che si era annunciata nel 1917 con un angosciante sbocco di sangue, sembra aver messo il sigillo a un’esistenza autointerpretata dallo scrittore come un fallimento a tutto tondo. Milena entra nella vita di Kafka come “una tempesta in una stanza”, come un “fuoco vivo” e rinnovatore. Il carteggio dura dal marzo al dicembre 1920 con qualche sporadica ripresa successiva. Milena è una donna impulsiva, piena di contraddizioni, “ma anche tenerissima, coraggiosa, intelligente”.
Il rivolgimento che il suo passaggio rappresenta per il “paralitico” Kafka è reso ammirevolmente dall’autore della Metamorfosi (1915) in una lettera scritta a maggio da Merano: “a un passo da me era caduto sul dorso un insetto ed era disperato, non riusciva a raddrizzarsi (…) solo una lucertola mi rese di nuovo attento alla vita intorno a me, il suo cammino la portò sopra l’insetto, che era già completamente immobile, (…) quando la lucertola scivolò via vidi che così facendo lo aveva raddrizzato”.
Come noto Kafka non è nuovo alle metafore con insetti e animali, in questo caso la lucertola salvifica rinvia alla Beatrice de La Vita Nuova di Dante con la precisazione che “la Beatrice di Kafka si è smarrita in un’epoca fosca ed è lei stessa bisognosa di salvezza”. La scoperta in Kafka dei sottili rimandi tra la Beatrice di Dante e l’angelica Milena è da ascriversi a Giudo Massino, che riconosce nella Commedia e nella Vita Nuova “una segreta struttura portante” delle Lettere “che ci pone di fronte a un gioco di associazioni complesso, non sempre decifrabile”.
Infine, i curatori hanno pensato di coccolare il lettore mettendogli a disposizione un prezioso apparato critico. Una sorta di libro nel libro, una guida sapiente per addentrarsi nella selva delle Lettere, “una delle ultime testimonianze della triplice anima ceca, tedesca ed ebraica di Praga”, ma nello stesso tempo una sorta di labirinto (ragionato) nel quale perdersi piacevolmente. Un ulteriore pregio dell’opera è quello di riflettere la tenebrosa luce di Kafka su Milena, catturando la curiosità del lettore per questa donna, “troppo donna”, come lei stessa scriverà a Max Brod, per rinunciare all’amore di Kafka e “troppo donna” per sposarlo.