Potrebbe essere un’ennesima favola di Natale questo libretto, pur in totale assenza degli scintillii e delle sdolcinature sentimentali di quel genere letterario. Piccole cose da nulla di Claire Keegan (Einaudi, 2022) è un racconto ambientato nella profonda Irlanda, in quella fredda e dura campagna dove la vita scorre sempre uguale, legata a usi e tradizioni ancestrali. Il protagonista è Bill Furlong, alacre commerciante che gira continuamente per fattorie e villaggi con il camion pieno di torba, di legna e di carbone da consegnare. Ha una moglie, Eileen, anche lei avvezza al duro lavoro di ogni giorno, dal carattere determinato e senza grilli per la testa, che pensa alla casa e a crescere come si deve le cinque figlie avute da Bill. Anche le riflessioni, i pensieri e i ricordi del marito non sembrano trovare molto spazio nella mente di lei.
Ad un certo punto si assiste all’ingresso nella storia del Convento, un edificio possente e imponente, dal grande giardino sempre curato. La vita delle suore che lo abitano è avvolta nel mistero: ospitano delle educande, o delle giovinette di dubbia reputazione da rieducare, o ancora – si dice – delle ragazze madri i cui bambini vengono loro tolti per essere dati in adozione a famiglie facoltose. Quello che è certo è solo che le suore gestiscono un’ottima lavanderia dalla quale si servono molte famiglie del circondario.
Furlong si reca a consegnare la sua merce al Convento e si spinge incuriosito a spiare quel che accade lì dentro. Una volta, entrando in una piccola cappella, trova una decina di ragazze, scalze e vestite di grigi camicioni, intente a sfregare carponi il pavimento per lucidarlo. Una di queste gli chiede disperata di portarla al fiume, o a casa sua, o almeno di farla uscire di lì. Ovviamente Bill non può accontentarla e altrettanto ovviamente parlandone con la moglie i suoi scrupoli vengono messi a tacere.
L’antivigilia di Natale, arrivato al Convento prima dell’alba, trova nella carbonaia una ragazza malconcia, infreddolita e sporca di carbone, appena in grado di reggersi in piedi che ha un bambino di quattordici settimane e gli dice: “Me l’hanno portato via ma adesso magari me lo lasciano allattare. Io non lo so dov’è”. La superiora, subito accorsa e quanto mai cordiale, cerca di riportare la faccenda della ragazza alla normalità: forse per uno scherzo è rimasta chiusa nella carbonaia, ma adesso la fa ripulire e cambiare, le offre una buona colazione insieme a Furlong davanti ad un bel caminetto acceso. Solo il giorno dopo, mentre lottano dentro di lui il coraggio e l’istinto di lasciare le cose come stanno, girandosi dall’altra parte, il protagonista alla fine decide di andare a prendere la giovane e di portarsela a casa, a piedi nudi nella neve. “…Si ritrovò a domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l’uno con l’altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com’erano e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio?”
L’autrice, Claire Keegan, nata in Irlanda nel 1968, dichiara che la sua è un’opera di fantasia, ma la verità è che nel suo paese l’ultima di queste lavanderie, Magdalene Laundry, è stata chiusa nel 1996. Non si sa quante donne e neo-mamme vi sono state chiuse e costrette a lavorare, e quanti bambini sono morti o sono stati dati in adozione all’insaputa delle madri. Certamente sono numeri molto alti.
Il tema è noto al grande pubblico anche grazie al bel film Philomena (2013), che racconta una storia vera e drammatica.
Ma qui ciò che è in questione non è tanto – o soltanto – la crudeltà di certe situazioni, quanto la capacità del singolo di accettarne la provocazione. Il protagonista non decide per la scelta più semplice e più comoda, anzi sfida l’ipocrisia della mentalità comune e la propria tranquillità perché non sa cosa comporterà questo atto in futuro. Il tutto è raccontato dall’autrice con uno stile essenziale, senza sentimentalismi, e nel contempo coinvolgente, che – è stato detto – ricorda Cechov.
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