Le morti ravvicinate di Stalin in Urss e Gottwald in Cecoslovacchia nel marzo del 1953 avevano portato i rispettivi regimi a rivedere i propri metodi repressivi, allentando parzialmente la stretta sui perseguitati politici e religiosi. Questo non significava certo che le persecuzioni fossero finite: il trattamento nelle carceri e nei campi di lavoro era solo meno disumano e opprimente.
Le delazioni dei detenuti venivano ancora utilizzate come strumenti per poter infliggere castighi e torture ai prigionieri. Spesso gli aguzzini provocavano i perseguitati spingendoli a tentare la fuga verso le recinzioni dei campi, dove avrebbero potuto sparargli. Il ricorso al lavoro forzato era un mezzo con cui il regime cercava di “rieducare” i cittadini al socialismo oppure sfruttarli fino allo sfinimento.
Per Silvester Krčméry il lavoro nei campi era solo un’ulteriore occasione per comportarsi da buon cristiano, testimoniando la propria fede con le azioni concrete, proprio come aveva imparato negli incontri con Kolakovič da ragazzo. E quando gli venne data la possibilità, nel terribile complesso di campi di Jáchymov, di lavorare come medico, non resistette a lungo. Non gli sembrava giusto di avere un destino migliore di quello di tanti suoi compagni di prigionia che rischiavano quotidianamente la vita nelle miniere di uranio. Voleva soffrire esattamente come loro. Stargli vicino e condividere ogni difficoltà. Fu accontentato.
Un argomento sempre molto dibattuto tra i prigionieri era la possibilità di liberazione per amnistia o grazia presidenziale. In svariate occasioni il regime decise di lasciare in libertà un certo numero di detenuti (spesso in condizioni fisiche tali che sarebbero morti in breve tempo, o avrebbero comunque sofferto gravi malattie e impedimenti per il resto della propria vita), sfruttando lo strumento dell’amnistia. In alcuni rarissimi casi ai detenuti che facevano domanda di grazia veniva concessa la libertà condizionata, a patto che giurassero solennemente di essere stati rieducati alla dottrina socialista e di rigettare qualunque altra ideologia o credo religioso.
Per Krčméry nessuna delle due possibilità era praticabile. Il motivo era semplice: in entrambi i casi sarebbe stato come ammettere implicitamente che avesse fatto qualcosa di sbagliato. Per questo motivo, quando nel 1964 gli fu offerta la possibilità di richiedere il rilascio anticipato, rispose categoricamente: “Non ho richiesto il rilascio condizionale e non ho idea di come si sia giunti a dover discutere di questa cosa. Non ho richiesto nessuna revisione del giudizio a me comminato, in nessun modo. Dato che però non ho mai commesso nessun ‘alto tradimento’ e la pena di 14 anni che mi è stata inflitta non ha nessun fondamento legale, non posso aver avuto la possibilità di ‘redimermi’ e iniziare a condurre una normale ‘vita da lavoratore’, dato che quel tipo di vita non ho mai smesso di condurla”.
Il collegio giudicante decise comunque che ne aveva abbastanza di quel fastidioso provocatore e decise di rimetterlo in libertà. Non prima di aver tentato di fargli firmare un accordo di segretezza su tutte le malefatte subite in carcere, e su tutto quello cui aveva assistito. Silvo, naturalmente, rifiutò di firmare, e pare che dovettero spingerlo a forza fuori dalle porte della prigione.
Una volta libero, Krčméry iniziò a lavorare come radiologo a Bratislava. La lezione appresa attraverso gli incontri con Kolakovič ispirò Silvo e il suo grande amico Vladimir Jukl a cercare di costruire una comunità di cristiani che potesse liberalmente trovarsi a pregare senza dare nell’occhio. Il successo del movimento, chiamato Fatima, si basava sul fatto di organizzarsi in piccoli gruppi sparsi in tutto il paese. Insieme a Krčméry e Jukl c’era anche Ján Chryzostom Korec, all’apparenza un mite operaio, ma in realtà un sacerdote, consacrato segretamente vescovo nel 1955. L’attività dei tre uomini valse spesso perquisizioni e maltrattamenti da parte della polizia segreta, ma non si arresero mai. Quella grande comunità costituita da tanti piccoli gruppi prese il nome di “Chiesa del Silenzio” e non si limitava a organizzare incontri clandestini di preghiera, ma si impegnava anche nella produzione di samizdat e letteratura religiosa (che il regime proibiva).
Un aspetto che non viene spesso menzionato è il respiro internazionale che aveva questa attività sia culturale che religiosa: non era insolito stampare testi religiosi che venivano poi anche contrabbandati nei paesi vicini. Silvo si impegnò in prima persona ad aiutare i reietti di quella società che il regime dipingeva come perfetta: alcolizzati, drogati, carcerati. La grande unità che caratterizzava i gruppi della comunità Fatima, insieme al carisma di Silvo e dei suoi amici, avrebbe portato la Chiesa del Silenzio a protestare per le violazioni dei diritti umani e della libertà religiosa in Cecoslovacchia.
In un’occasione Silvester si presentò negli uffici della polizia segreta chiedendo di essere arrestato al posto di un gruppo di fedeli di cui si sentiva personalmente responsabile. Ultimo grande gesto in tal senso, prima della caduta del regime a cui contribuì sensibilmente, fu la Manifestazione delle Candele del 25 marzo 1988.
Dopo la Rivoluzione di Velluto del novembre 1989 il carisma di Silvester Krčméry avrebbe continuato a essere una luce splendente nel variegato cosmo della Chiesa cattolica slovacca che doveva fare i conti con una libertà a cui non era abituata. Silvo si sarebbe speso fino all’ultimo per testimoniare alle giovani generazioni quella fede semplice ed efficace che aveva conosciuto e fatta sua da ragazzo, e che lo avrebbe accompagnato e confortato nel corso della sua lotta con il regime. Poco prima di morire, Krčméry disse a un amico: “Se credi che io abbia fatto qualcosa di buono, sarei contento se ti sarà di ispirazione. Ma ti scongiuro, se vedi che ho fatto qualcosa di sbagliato, dimmelo!”
Sarebbe un errore limitarsi a vedere in Silvo un personaggio che lottò semplicemente per la Chiesa cattolica. Il valore del suo sacrificio e della sua dedizione vanno decisamente oltre. La libertà religiosa rimane un diritto umano fondamentale e la libertà di coscienza in ogni campo ne è la sua estensione anche in termini laici. Krčméry ci ricorda anche l’importanza di dedicarsi agli altri, indipendentemente da chi siano o da dove vengano. Anche in questo caso non si tratta di un valore strettamente cristiano, ma di qualcosa che dovrebbe appartenere a tutta l’umanità.
Ma soprattutto, la grande testimonianza di Silvo ci insegna oggi a cercare e riconoscere quella Verità che è più forte di qualsiasi potere e di qualsiasi menzogna. Una verità che unisce invece di dividere, e che ci permette di scoprire l’importanza delle nostre comunità nella vita di tutti i giorni.
(4 – fine)