Un elemento importante da sottolineare è che la Bibbia ebraica non esisteva in una forma canonica prima dell’inizio del II secolo d.C. Fino a quella data c’erano alcuni libri che nella comunità ebraica avevano sicuramente un ruolo canonico, ma lo status di altri libri, che alla fine entrarono nel canone della Bibbia ebraica, era variabile.



Tutti gli ebrei, almeno dal IV secolo a.C., accettarono l’autorità della Torah di Mosè. La maggior parte ammetteva nel canone anche i libri dei Profeti, compresi i libri storici (da Giosuè ai Re). La comunità ebraica che viveva a Qumran, per esempio, probabilmente non aveva accettato il libro Ester come canonico. Lo sappiamo perché non è stata trovata nessuna traccia di tale libro nelle grotte e la comunità di Qumran non celebrava la festa di Purim, che racconta appunto i fatti narrati nella Meghillah di Ester.



Un caso interessante relativamente alla pluralità di canoni, che abbiamo già toccato in precedenza, è quello del Pentateuco samaritano. La comunità samaritana, che viveva in quello che era stato il Regno settentrionale di Israele, accolse infatti solo il Pentateuco come libro canonico. La separazione dei samaritani dagli ebrei, secondo quanto ci rivelano i testi di Qumran, avvenne nel periodo del Secondo Tempio durante la dinastia Asmonea (104-37 a.C.) quando il santuario del monte Gerizam venne distrutto da Giovanni Ircano.

Il Pentateuco dei Samaritani risale a quel periodo dello scisma ed è redatto in una scrittura derivante da una forma di ebraico antico dell’epoca Asmonea. Questo Pentateuco differisce da quello masoretico in circa 6mila punti. La maggior parte delle varianti sono solo ortografiche o comunque senza rilievo per il significato, ma in 1.900 punti la differenza è sostanziale. Inoltre in 2mila dei punti in cui il testo masoretico si discosta da quello samaritano, quest’ultimo coincide con la traduzione greca della Settanta.



Come orientarsi in questa selva di testi, fonti e tradizioni, scritte e orali, delle loro trasmissioni e interpretazioni? Come muoversi fra i vari manoscritti e le loro storie testuali? La disciplina che tradizionalmente si occupa dello studio e comparazione dei manoscritti antichi per risalire il più vicino possibile all’originale è quella branca della filologia che si chiama ecdotica o critica testuale, perché è la disciplina che nasce con lo scopo di tornare in possesso dei testi dell’antichità classica.

Il metodo più noto è quello teorizzato a metà dell’Ottocento da Karl Lachmann, che stabilì le procedure per l’edizione dei testi antichi basandosi su criteri il più possibile oggettivi, fondati sulla presenza dello stesso errore in tutta la tradizione con lo scopo di ricostruire l’archetipo, cioè il punto di partenza della tradizione manoscritta.

La critica testuale è stata usata anche per i testi biblici, tuttavia la domanda da porsi è se sia possibile utilizzare il metodo di Lachmann per ricostruire il testo biblico. Un testo che, come abbiamo visto, è in realtà una biblioteca costituitasi nel corso dei secoli con vari autori, vari generi e lingue. Un testo per il quale la questione non è tanto quella di ricostruire una versione che si avvicini il più possibile all’originale, ma che, per sua stessa natura, ha più originali.

Per la Bibbia ebraica, dunque, la prospettiva della critica testuale è necessariamente diversa da quella che riguarda i classici, cioè riuscire ad avere un testo che sia vicino al testo autografo, perché un autografo nel senso più proprio del termine non esiste. Ricordiamo ancora una volta che il testo biblico è stato trasmesso da molte fonti antiche e medievali attraverso manoscritti in ebraico e in altre lingue, oltre a frammenti di cuoio e rotoli di papiro vecchi di duemila anni o più. Tutti questi testimoni differiscono l’uno dall’altro in varia misura e nessuna fonte testuale contiene quello che potrebbe essere chiamato “il” testo biblico.

Non possiamo, dunque, stabilire le parentele e le filiazioni dei manoscritti biblici costruendo il loro albero genealogico grazie al quale abbiamo il punto di partenza da cui provengono tutti. Possiamo invece avvicinarci al testo biblico ricordando che c’è stato sempre un certo pluralismo testuale, l’esistenza fin dall’inizio di vari originali, i cui discendenti trasmettono una grande ricchezza di tradizioni storiche e teologiche.

La Bibbia è esistita di epoca in epoca, di trasmissione in trasmissione, di traduzione in traduzione, nella relazione con le comunità che hanno letto quei testi e li hanno fatti diventare parte essenziale della loro esperienza di vita e su questa base ne hanno determinato i canoni e i criteri di lettura.

(4 – fine)

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