In un’epoca di lupi in cui sembra, talvolta, di viaggiare all’interno di un bestiario medievale popolato da pipistrelli, serpenti scitale, basilischi e scimmie, la lettura de La cagnetta (Adelphi, 2013) di Vasilij Grossman è davvero disarmante e sorprendente. Il celebre autore di Vita e Destino, infatti, mette in luce con il suo personaggio un modo diverso e nuovo di stare al mondo.
La protagonista del racconto, una bastardina, è un essere che non ha una concezione ingenua della vita. Conosce la forza distruttiva delle auto e dei treni. Distingue nitidamente i suoni: fischio, fragore, rombo. L’ acuta percezione dei suoni le serve, infatti, a tutelare la sua vita dal pericolo. Chi nell’infanzia ha accolto la mistica promessa di un bene futuro sente l’importanza del suo respiro. La cagnetta sceglie perciò di vivere, in modo randagio, senza tetto né legge sulla strada. La sua libertà vagabonda, fiduciosamente anarchica, è la sola protezione da un mondo popolato da lupi travestiti da agnelli: “Rinunciare a una vita randagia significava morte sicura. Diventando sedentaria, avrebbe avuto a che fare con una persona d’animo buono e cento malvagie. E ben presto sarebbe apparsa, subdola, la morte, porgendo con una mano un pezzo di pane, e tenendo nell’altra una rete di tela ruvida. Cento cuori malvagi sono più forti di un cuore buono”.
Tuttavia, la sua erranza nulla può contro il Potere. “La presero di notte, nel sonno. Non la uccisero, la portarono nell’Istituto”. Il cuore del Potere all’inizio tratta bene la cagnetta: igiene, nutrimento, accudimento. Tutte le concessioni date e tutte le positività mai sperimentate prima non placano, però, il suo presentimento di morte. La cagnetta ha ben chiaro che la libertà non è provare nuove cose, ma fare esperienza di cose vere.
E in effetti emerge l’inganno. Il Potere rivela, presto, il suo volto meduseo e la cagnetta diventa Pestruška. Sarà un obbediente cane da laboratorio preparato dal fondatore dell’esobiologia per un’impresa eccezionale: addentrarsi nello spazio cosmico a oltre centomila chilometri dalla terra.
Pestruška, ora, non vive più il tempo della libertà, ma viene condannata allo spazio chiuso di centrifughe e altri marchingegni. Viene sottoposta a test stressanti e continui. Il suo dominatore e persecutore ha un segreto: è il centro dei suoi legami. Nessuna relazione va bene, neanche quella con sé stessi. “Ora ho proprio stufato tutti, anche me stesso”. C’è però un legame che fa resistenza al suo usa e sfrutta: viene proprio da chi è gettato come cavia in una capsula. Nonostante prigionia e tribolazioni: “Lei, come Cristo, rispondeva al male con il bene, gli dava amore in cambio delle sofferenze che lui le causava”.
Aleksej Georgievič, capo dell’Istituto, ha in qualche modo bisogno totale del suo animale. Vuole vedere che cosa vedrà la cavia, Pestruška. Il Potere, infatti, ha le sue logiche: vuole arrivare al fine attraverso un mezzo. E il mezzo è un vivente, quel vivente addestrato e sottoposto a un’idea superiore. “Aleksej Georgievič sentiva che al ritorno gli avrebbero trasmesso ciò che avevano visto. Leggendo quegli occhi, egli avrebbe capito il più criptico degli elettrocardiogrammi, l’arcano cardiogramma dell’universo”.
Il volo spaziale fu effettuato e tutto funzionò perfettamente. Non si è potenti per caso, ma per organizzazione, programmazione e forza di volontà. Pestruška rientrò sulla terra e l’esobiologo finalmente la vide: “gli occhi annebbiati, impenetrabili di un povero essere dalla mente confusa e dal cuore tenero e mansueto”.
L’esperimento, alla fine, per Grossman, cede il passo all’esperienza di chi non ha potere. La forza del potere c’è, proprio tutta. Spezza le menti delle persone, ma non ha il potere definitivo. Quello del cuore resta imbattibile. Solo in esso c’è il segreto dell’universo.
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