È risaputo che il Sessantotto italiano ha avuto origini all’Università Cattolica di Milano. La ricostruzione che di quei momenti hanno proposto alcuni protagonisti di allora poi diventati leader carismatici di tutto il movimento studentesco, a cominciare da Mario Capanna, ha collocato l’ateneo di Padre Gemelli in uno stadio mitico, anche se spesso superficiale.
Cosa sia accaduto e, soprattutto, perché, è questione cruciale che se nulla toglie al ruolo di apripista della Cattolica, rimanda ad un fermento culturale e spirituale, per quanto spesso disordinato, che ha radici molto profonde e soprattutto lontane.
Ed è proprio dall’interno dell’ateneo di Largo Gemelli che arriva un’approfondita ricostruzione, non solo dei fatti, ma del clima e della ragioni di tanto protagonismo. Ad occuparsene è Maria Bocci, ordinario di Storia contemporanea, autrice de L’ “anima cristiana” della contestazione da poco pubblicato da Studium che ripercorre, nell’arco di oltre un decennio, attese, speranze, inquietudini degli studenti cattolici milanesi, in relazione alle medesime sensibilità diffuse nella Chiesa italiana in profondo movimento, alla vigilia della stagione conciliare, nel dispiegarsi di profonde trasformazioni nel tessuto organizzativo, soprattutto giovanile, tra crisi d’identità delle tradizionali forme d’aggregazione (Azione Cattolica e Fuci) e nuove esperienze, soprattutto Gioventù Studentesca e poi Comunione e Liberazione.
È dunque la prospettiva della “lunga durata” di quel Sessantotto divenuto simbolo di una svolta, nel bene e nel male, che muove la ricerca di Maria Bocci che si è avvalsa soprattutto della documentazione, in gran parte inedita, interna all’ateneo dei cattolici italiani.
“All’appuntamento del ’68 – scrive l’autrice – la gioventù cattolica europea arriva seguendo indicazioni identitarie e tracce ideologiche che le sono peculiari”, con le loro specifiche appartenenze tradizionali, dalle parrocchie alle associazioni con un’abitudine a sguardi transnazionali, che gli altri giovani impegnati, più legati alle forme rigide dei partiti, non avevano. Dal punto di vista ideologico va considerato, come punto di partenza di un’inquietudine generalizzata, la crisi – o la fine – di quella che Pietro Scoppola aveva chiamato – facendo riferimento a Maritain – “la cultura del progetto”, ovvero l’”ideale storico concreto”, la “nuova cristianità”, il “regime temporale” cristianamente ispirato. Insomma, la convinzione, assai diffusa negli anni Cinquanta, di poter giungere ad una “ricostruzione della cristianità”, che – sul piano ideologico – si poneva come terza via tra capitalismo e comunismo, e che proprio in Cattolica, negli anni Trenta, aveva visto impegnate tante intelligenze, a partire da Francesco Vito con le sue riflessioni sulle possibili nuove forme di corporativismo economico e politico. Un ideale che, in una società profondamente secolarizzata, perdeva potenziale e significato.
D’altra parte si faceva sempre più pregnante la relazione complessa tra fede e mondo, tema che sarà centrale nelle riflessioni conciliari, che proprio le giovani generazioni cattoliche sentivano come dirimente. Se la fine del progetto maritainiano spingeva le tradizionali associazioni legate alla Chiesa, a cominciare dall’Azione Cattolica, ad una radicale scelta religiosa, per numerosi giovani tale scelta costituiva un “freno che rallenta il percorso ritenuto necessario per entrare nel vivo del travaglio del mondo contemporaneo”.
Sarà l’esperienza di Gioventù Studentesca, almeno finché essa fu guidata da don Luigi Giussani, ad offrire da una parte una risposta concreta a tante inquietudini e dall’altra a porsi come “una sorta di anticipazione del ’68”, con la sua “lotta al borghesismo e all’individualismo religioso e con l’insistenza sui caratteri comunitari del cristianesimo” e una spiccata attenzione al mondo. E l’ingresso di Gs in Cattolica, prima accanto alla Fuci e poi sempre più autonomamente, porterà un contributo significativo al fermento culturale che negli anni Sessanta andrà via via crescendo tra gli studenti dell’ateneo.
Il volume di Maria Bocci ripercorre i numerosi dibattiti che in quel decennio travagliato si susseguono all’interno dell’Università, non senza conflitti con le autorità accademiche e con gli assistenti spirituali. Sono soprattutto gli studenti residenti nei collegi maschile e femminile della Cattolica i protagonisti di tale fermento, che li conduce ad organizzare incontri, gruppi di studio, a promuovere letture, alla diffusione dei giornali nazionali e delle riviste, ad alimentare il confronto politico. Una maggiore consapevolezza generazionale che gli assistenti spirituali notano e di cui si preoccupano, a partire dai primi anni Sessanta, soprattutto laddove essa si manifesta nell’insofferenza per ogni forma di autorità.
Un ruolo specifico e significativo nel processo di maturazione di una consapevolezza studentesca in Cattolica e nel sempre più difficile rapporto con le autorità accademiche, lo hanno ricoperto l’Orsuc, l’organismo di rappresentanza degli studenti e il suo giornale Dialoghi, che a fasi alterne si pone come strumento di dibattito culturale e, spesso, di contestazione dell’autorità costituita in Università. Tra molti, il tema dell’identità dell’Università di padre Gemelli, soprattutto dopo la sua scomparsa nel 1959, diviene centrale, con un’attenzione particolare all’aggettivo “cattolica”. Tema ricorrente, tra l’altro, anche in altre fasi della storia dell’ateneo. La domanda sempre più pressante di risposte circa la natura dell’università e sul senso della proposta culturale, sul valore specifico dell’offerta educativa, sul rapporto tra studenti e professori, sul metodo di studio e di valutazione, diviene dunque il presupposto di un fatto che, per diventare storia, avrà bisogno di un innesco. A tutto ciò si aggiungono le suggestioni nazionali e internazionali che iniziano ad affascinare i giovani di tutta Europa: la lotta alle ingiustizie, l’imperialismo americano, le guerre, il sud del mondo, l’atomica, etc.
Se il rettorato di Francesco Vito, primo successore di Gemelli, s’era contraddistinto per una sostanziale freddezza e diffidenza nei confronti dei giovani studenti, nel 1965 il nuovo rettore Ezio Franceschini dà l’impressione di voler cambiare passo nelle relazioni tra le componenti universitarie, manifestando “spirito di apertura e volontà di collaborazione” e offrendo alla rappresentanza degli studenti una maggiore libertà e autonomia. Ma ormai la questione non è più attinente agli spazi di movimento dei giovani, ma – come aveva sottolineato lo studente Mario Napoli, all’inaugurazione dell’anno accademico 1967 – alla trasformazione dell’ateneo in “centro di elaborazione di cultura e luogo di formazione di intellettuali consapevoli, in grado di assumere il compito di orientare lo sviluppo sociale”. Lo studente della Cattolica – annota Maria Bocci citando Dialoghi – “non si accontenta più di protestare contro i disagi e carenze della sua università, ma ‘prende coscienza di un orizzonte più vasto in rapporto al quale […] imposta un’azione di responsabile verifica’”. E in tale rivendicazione, paradossalmente, gli studenti di Largo Gemelli, rimandano alle radici della loro università, convinti che “l’ateneo del Sacro Cuore fosse venuto meno ai compiti per i quali era stato fondato”.
La miccia viene accesa il 1° agosto 1967 quando il Consiglio d’amministrazione dell’Università delibera un aumento delle tasse universitarie del 50%. È ciò che serve a far esplodere quel che covava da qualche anno. A settembre esplode la polemica e gli studenti proclamano lo stato di agitazione permanente sostenuto ormai da ogni altro ateneo e da una buona parte dell’opinione pubblica. L’assemblea diviene l’organismo naturale di dibattito e luogo delle deliberazioni e, nonostante i tentativi del rettore di aprire a consultazioni e alla ridiscussione delle decisioni prese, il 17 novembre nell’assemblea generale degli studenti viene presa la decisione di occupare l’Università. Dieci giorni prima dell’occupazione di Palazzo Campana a Torino, in Largo Gemelli, che dopo alcuni scontri, nei mesi successivi verrà considerata la Valle Giulia di Milano, si apre il capitolo della contestazione e il ’68 si affaccia alla storia.
Il volume mette in luce i destini personali di alcuni protagonisti di allora. Accanto all’uomo simbolo della rivoluzione studentesca, Mario Capanna, il primo ad essere espulso dall’ateneo e trasferito d’ufficio alla Statale (con un soccorso economico da parte dello stesso rettore), vi sono le storie di Lidia Menapace, giovane lettrice di Lettere, allontanata per aver partecipato alla contestazione, o dell’assistente di Filosofia morale, Salvatore Natoli, o dello studente Francesco Schianchi, acceso da un fervore religioso rivoluzionario tanto da occupare con altri studenti il Duomo di Parma.
Spinte politiche e desiderio di cambiamento religioso, fede e prassi, chiesa e comunità, preghiera e letture composite, spesso disordinate, buoni e cattivi maestri: il mosaico emotivo, spirituale, culturale e operativo che Maria Bocci ricostruisce conduce ad un’immagine controversa e talvolta paradossale. Lo sbocco rivoluzionario, il desiderio di libertà, la rivendicazione di autonomia e di responsabilità, laddove si esaminano i presupposti teorici che accompagnano quest’esperienza unica nel suo genere, rimandano ad un’idea di cattolicesimo assai lontano dalle sensibilità contemporanee e persino dai sentieri imboccati dalla Chiesa conciliare. Un cattolicesimo non solo radicale, ma in qualche misura integralista. Se da una parte – scrive Maria Bocci – “Il Sessantotto potrebbe […] essere letto come ultimo tentativo di costruire un mondo ‘perfetto’ attraverso l’impegno sociopolitico, spostando la ricerca di assoluto dalla religione alla storia”, con accenti in parte riconducibili non solo a padre Agostino, il gran padre perduto, ma perfino a don Davide Albertario. Contraddizioni che, spenti i bagliori della battaglia, posizionati i destini personali di ciascuno, pare siano rimaste come eredità irrisolta di tanto cattolicesimo posteriore.
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