Il 30 dicembre 1989 moriva a Roma Augusto Del Noce, uno dei più insigni filosofi cattolici italiani del dopoguerra. Per l’autore di opere fondamentali, come Il problema dell’ateismo o Il suicidio della rivoluzione, il trentennale della morte è passato pressoché inosservato. Qualche incontro senza pubblicità e qualche articolo di giornale. Solo la rivista Studium gli ha dedicato un dossier firmato dai migliori specialisti sull’argomento: Buttiglione, Dessì, Paris, Randone, Riconda. Per il resto il nome di Del Noce riemerge, di tanto in tanto, per lo più ad opera di autori che utilizzano il suo pensiero per la critica al progressismo ideologico-religioso. Con il risultato di offrirne, nei media, un’immagine conservatrice, affine alla destra politico-religiosa. La stessa che oggi vede nel papato l’avversario da battere, il punto di crisi della tradizione ecclesiale.



Così Del Noce, che ha ha avuto una influenza decisiva sul pensiero democratico di uno dei pensatori chiave dell’America Latina, Alberto Methol Ferré, il filosofo amico di Jorge Mario Bergoglio, diviene un autore usato per criticare la Chiesa di Francesco. Si tratta di una strumentalizzazione che non può trovare alcuna giustificazione.



Nel 2011, ben prima dell’attuale papato, ho pubblicato un volume, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, in cui la versione conservatrice e tradizionalista del filosofo piemontese viene confutata alla radice. Dopo di esso la versione del filosofo Del Noce di “destra” ha perso di ogni credibilità. La critica delnociana al progressismo, dominante negli anni 70-80 segnati dall’egemonia marxista a livello mondiale, deve essere completata mediante la critica alla reazione. L’ideologia reazionaria costituisce il rovesciamento della posizione progressista, non il suo superamento.



In tal modo chi vuole dare ragione del pensiero di Del Noce deve dare conto di entrambe gli aspetti che, in lui, descrivono due lati di un problema la cui soluzione rappresenta il compito del pensiero cattolico contemporaneo. Un pensiero a tutt’oggi impigliato nella dialettica tra progresso e reazione, modernismo e antimoderno. Con il risultato di mancare sempre l’appuntamento con la storia e di essere subalterno ai poteri o ai contropoteri di turno. Ne è prova lampante l’attuale critica teologica al pontificato, caratterizzata da una perfetta identificazione con la destra politica. Papa Francesco diviene il capro espiatorio di mezzo secolo di post-Concilio. Tutte le riserve del tradizionalismo ecclesiale si scaricano sul Pontefice con il segreto desiderio di liquidare con lui tutta la stagione conciliare. Di contro la riflessione delnociana, soprattutto quella degli anni 50-60, conserva la sua attualità proprio perché si muove lungo la stessa lunghezza del Concilio Vaticano II: trovare un punto d’incontro tra l’umanesimo cristiano e le libertà moderne, tra cattolicesimo e modernità. Come scrive nel 1967:

La posizione reazionaria, […] è la negazione radicale del mondo moderno, così nel suo momento liberale, come in quello socialista. Per me, invece, c’è un valore essenziale che si è chiaramente affermato soltanto nel mondo moderno e che il cristianesimo può assumere ed elevare nella sua purezza, il momento liberale. […] Rispondo che la mia posizione è estremamente simile a quella di Maritain, quando essa sia correttamente interpretata”. (Del Noce, 1967)

Si tratta di una direzione di ricerca che poneva l’autore fuori dal mondo della neoscolastica, contrassegnato da un rifiuto complessivo del pensiero moderno. L’autore chiave è qui Jacques Maritain. Del Noce lo scopre nella sua novità nel 1936, al tempo dell’invasione mussoliniana dell’Etiopia, l’evento che suscita in lui l’inizio dell’opposizione morale al fascismo come imperio della forza.

Maritain era allora, almeno fra i cattolici, un autore alla moda. Io cominciai col leggere il suo Riflessioni sull’intelligenza, pubblicato nei primi anni Venti. Poi seguì tutta la sua opera, dai Tre riformatori all’Antimoderno. Ma il libro del filosofo francese che più mi colpì, tanto che lo studiai quasi a memoria, fu Umanesimo integrale; lo lessi nel 1936, appena pubblicato in Francia… Credo di essere stato uno dei suoi primissimi lettori italiani” (Del Noce, 1984).

Da questo punto di vista lo studio e il confronto con l’opera di Maritain assumono, nella biografia speculativa delnociana, un valore decisivo. Maestro mai rinnegato, anche quando a partire dagli anni Sessanta sottoporrà a critica talune sue posizioni, Maritain è stato per Del Noce il filosofo dell’antifascismo e, insieme, colui che, con Umanesimo integrale, riconciliava il pensiero cristiano con la democrazia moderna. Come scriverà nel 1982, la lezione di Maritain consisteva nella

liberazione della filosofia cattolica della storia dall’‘utopia archeologica’, che prendeva la forma dell’opposizione della società medievale alla società moderna, o del sogno romantico della restaurazione del Sacrum Imperium” (Del Noce, 1984).

Nel 1936 questa lettura consentiva di tagliare i ponti, da parte cattolica, con ogni atteggiamento pro-fascista, rompendo con l’illusione che il fascismo fosse un possibile alleato nella critica e nel superamento del mondo moderno.

Stranamente il medievalismo cattolico subiva, pur nell’opposizione, elementi della modernità in quel suo significato laicistico […]. Intendo dire che la speranza della restaurazione cattolica attraverso le vie del fascismo – attitudine che oggi è difficile da intendere per i giovani, ma per la cui realtà basterebbe rileggere alcuni scritti e discorsi del Padre Gemelli – non poteva non accompagnarsi a una reviviscenza di quel machiavellismo ad maiorem Dei gloriam che caratterizzò l’età barocca, e che Maritain ha criticato, oltre che in Umanesimo integrale, in uno scritto degli anni di guerra sulla fine del machiavellismo. Di questo profascismo cattolico Umanesimo integrale rappresenta certo la critica definitiva” (Del Noce, 1984).

Letto in questo contesto, il volume di Maritain chiarisce a Del Noce l’inconciliabilità ideale tra cattolicesimo e totalitarismo. Esso di fatto liberava i cattolici dall’utopia “medievalista”, antimoderna, che spingeva molti di loro a un’adesione al fascismo, inteso, erroneamente, come una forza conservatrice, una sorta di prezioso alleato nella lotta contro la modernità. Maritain è colui che, tra il 1943 e il 1945, libera Del Noce dal “complesso” di Benedetto Croce, secondo cui i cattolici, in quanto cattolici, non potevano, a causa della loro fede (integralista e autoritaria), essere liberali e antifascisti al pari dei laici. Maritain dimostrava, al contrario, che solo la prospettiva religiosa poteva salvaguardare la libertà e i diritti della persona. Allo scopo bisognava, però, distinguere tra cristianesimo e cristianità, tra la fede e le sue realizzazioni storiche, sempre contingenti. Compresa la cristianità medievale assunta a modello da quei cristiani che guardavano con diffidenza l’intero mondo moderno e contrapponevano verità e libertà, finendo per sposare ogni possibile autoritarismo clericale. Per Maritain, in ciò seguito da Del Noce, la modernità, che viene dopo le guerre di religione e la divisione della Chiesa, non può più presupporre la fede come “a priori”, come paradigma comune già prefissato e pacificamente accolto. Il moderno è il tempo in cui la verità può e deve essere cercata e proposta nella libertà.

Questa persuasione è il punto cardine che sta all’origine della “legittimazione critica del moderno” di Del Noce. È il criterio che lo porta ad una revisione dell’intero quadro del pensiero moderno: quello codificato da Hegel e dall’idealismo, accettato dal marxismo e condiviso, sia pure nell’opposizione, dalla neoscolastica tomista. Per esso il moderno sarebbe il tempo della secolarizzazione (o dell’ateismo) in cui l’emancipazione e la libertà dell’uomo viaggiano di pari passo con il suo allontanamento da Dio e dalla fede. È il quadro codificato da Cornelio Fabro nel suo Introduzione all’ateismo moderno. Tra il 1954 e il 1958 Del Noce corregge e ribalta questa prospettiva.

In che modo? Riconoscendo che la modernità non è una, è “duplice”. Da Cartesio non parte solo il filone del razionalismo culminante in Hegel e Marx. Da Cartesio parte anche un filone agostiniano, cristiano-moderno, che passa attraverso Pascal, Malebranche, Vico, e culmina in Antonio Rosmini, il pensatore in cui cattolicesimo e libertà trovano la loro sintesi. È il filone personalistico del moderno, che collega la libertà dell’uomo all’esistenza di Dio, contrapposto a quello spinoziano-hegeliano, in cui panteismo e ateismo culminano nel totalitarismo politico. Si tratta di una vera e propria scoperta per la quale la posizione reazionaria veniva definitivamente superata e l’incontro tra cristianesimo e democrazia liberale e personalistica poteva alfine ottenere la sua legittimazione. Donde la pertinenza di quanto osserva Buttiglione, e cioè che “l’ambizione segreta di Del Noce sia sempre stata quella di offrire la via di quella conciliazione di cattolicesimo e modernità che il modernismo aveva fallito”.

Un traguardo che spiega la sua decisa opposizione al pensiero reazionario il quale, in ogni sua forma, risulta essere subalterno proprio al progressismo che intende criticare. E questo a cominciare dal quadro della modernità che, invece di problematizzare, esso accoglie nella sua ricostruzione storiografica operata da Hegel e dal razionalismo laico dell’800. Così non sorprende vedere il tradizionalismo cattolico accogliere, supinamente, l’idea di una modernità atea, totalmente irreligiosa ed anticristiana. Una modernità contrassegnata interamente da una secolarizzazione scandita dall’idea gioachimita delle tre ere del mondo.

Non c’è certo da meravigliarsi se il simbolo gioachimita, nella sua forma laicizzata, abbia dominato la filosofia della storia razionalista da Lessing in poi, e condizionato la storia della filosofia. Quel che desta stupore è l’osservare che in fondo ha permeato anche il pensiero storico cattolico, si eccettui Rosmini, e la sua mirabile critica del perfettismo. La veduta storica del pensiero reazionario cattolico ha subìto invece completamente la visione storica laica, e accettato di fatto, limitandosi ad invertirne il segno di valore, lo schema triadico del periodizzamento storico. Cosicché, ogni interpretazione cattolico-reazionaria della storia è stata portata a rovesciarsi (da Lamennais in poi) nel modernismo”. (Del Noce, 1968)

La destra religiosa, reazionaria, è, nella sua critica manichea verso la modernità – una modernità che troverebbe la sua supina attuazione nella Chiesa del Concilio Vaticano II –, pienamente subalterna alla posizione modernista che vuole combattere. E questo non solo perché il reazionario ha bisogno, per esistere, del modernista così come il modernista del reazionario. Ma, anche, e soprattutto, perché il reazionario dipende dalla visione del moderno che è stata confezionata e prodotta dal pensiero laico dell’800. Per questo la difesa della tradizione non può essere condotta da “destra”, perché la destra accetta acriticamente il quadro “progressista” dell’Europa moderna senza tentarne una decostruzione. Si spiega così perché

L’opposizione alla società del benessere non può essere condotta da un punto di vista reazionario, e ciò semplicemente perché l’opposizione di progressivo e reazionario è interna al suo linguaggio. Reazionario è chi si oppone al progressivo, nella convinzione, in fondo, di aver già perduto. Criticare realmente la società del benessere, è andar oltre l’opposizione del progressivo e del reazionario” (Del Noce, 1970).

Il progressismo, il relativismo etico-religioso dell’era della globalizzazione, non può essere criticato da destra. Occorre, in sede politica come in quella ecclesiale, una posizione capace di sottrarsi alla dialettica tra modernismo e reazione. In questo risiede la lezione delnociana e la sua attualità in un contesto, quello attuale, governato ancora una volta dal manicheismo teologico-politico.