Che ci piaccia o no, oggi  siamo irrimediabilmente dipendenti gli uni dagli altri. Lo stiamo imparando nel quotidiano, le file da rispettare fuori dai negozi, i posti ovunque contingentati e marcati, la mascherina che indossi per proteggere l’altro, il bar o l’artigiano dove forse rimetti piede per dare anche tu una mano a non chiudere. Tutto rende evidente che per ripartire serve una responsabilità comune, un farsi carico gli uni degli altri. È come se oggi parlare di bene comune fosse meno scontato, non un refrain da esibire, ma un bisogno inevitabile a cui rispondere con tutte le proprie forze.

Come appare tragica questa conflittualità esasperante che vediamo riemergere di fronte ad ogni scelta! Come se si fosse tutti l’un contro l’altro armati, regioni, forze sociali, politici, istituzioni nazionali e sovranazionali, categorie economiche, professionisti, in un proliferare di interessi contrapposti e mai sazi. Questo rende ancora più evidente che il bene o sarà per tutti o non sarà, o sarà l’esito di una tensione comune, realistica, appassionata, e perché no anche capace di sacrifici, o sarà difficile ricostruire. Dovremo mettere in campo desiderio di confronto, capacità di dialogo, stima delle diversità, gusto della democrazia e del pluralismo.

Insomma dovremo essere uomini migliori, più buoni. Ecco, questa è la questione! Eliot ci ha sempre ricordato che gli uomini hanno cercato “di evadere dal buio esterno e interiore” (cioè dalla loro cattiveria) “sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono”. Questi sistemi perfetti, lo sappiamo, hanno alimentato utopie e tragedie. Fino a consegnarci l’ illusione che la scienza e la tecnica ci avrebbero garantito di essere invulnerabili padroni del mondo.  “Che siamo vulnerabili non è una novità – ci ricorda Julián Carrón nel suo recente Il risveglio dell’umano –. È una condizione che ci troviamo cucita addosso dalla nascita; ma in tempi di orgoglio tecnologico, in cui tutto sembrava nelle nostre mani, l’avevamo in qualche modo dimenticato, lasciato da parte, smarrendo la percezione di quello che siamo. È stata la dirompenza della realtà a restituirci la consapevolezza di qualcosa che, come vediamo, è palese ma non scontato”.

Ma ecco allora che, all’orizzonte della nostra brama di sicurezze, appare una nuova illusione, quella di essere diventati più buoni, più capaci di stare insieme e di volere bene agli altri. Con realismo e disincanto Alain Finkielkraut si riferisce a questa nuova illusione, quella dei “cretini sorridenti”, come li ha definiti, che pensano “che ieri eravamo tutti cattivi e domani, passata questa terribile prova, diventeremo tutti buoni”. Mentre, aggiunge, “il mondo che ci aspetta non sarà né migliore né peggiore”.

Siamo veramente allo scoperto, riusciamo a desiderare il bene di cui abbiamo bisogno, vediamo che dovremmo essere uomini nuovi e diversi per realizzarlo, ma non siamo in grado di fabbricare con le nostre mani né questo bene né questa umanità diversa!

Allora possiamo solo fare festa quando incontriamo sulla nostra strada uomini che non hanno smesso di desiderare lo stesso bene che anche noi desideriamo e scoppiare di contentezza se qualcuno di loro è “diverso”, perché in loro compagnia anche la nostra vita può essere diversa. E queste persone ci attraggono e ci fanno venire in mente Uno che nella storia ci ha promesso la novità non con sistemi perfetti, né con facili buonismi, ma morendo per risuscitare e restare con noi per sempre.