Lo dico e lo ripeto sempre: per capire il nostro tempo, il postmoderno o la modernità “liquida”, come direbbe un famoso sociologo, leggiamo Luciano. Che cosa c’entra con la modernità “liquida” un autore vissuto oltre diciotto secoli fa come Luciano di Samosata? Perché il suo tempo è straordinariamente simile al nostro: un tempo fluido, in cui, tramontate le piccole entità statali autonome e l’esperienza della città-stato, il Mediterraneo è tutto sotto il dominio dell’Impero romano, sotto il quale si sperimenta una sorta di globalizzazione ante litteram. E ciò non vale soltanto per quanto riguarda la situazione politica ed economica: anche la cultura in questo periodo sperimenta qualcosa di molto simile a quanto viviamo nei tempi attuali. Gli intellettuali e gli autori, infatti, ritornano da angolazioni e prospettive diverse
Luciano, nato attorno al 120 a Samosata, una delle più ricche città della Siria settentrionale, vissuto quindi nel II sec. d.C., fu un poligrafo eccezionalmente fecondo. Gli si attribuiscono 86 opere di genere diversissimo fra loro: La dea Siria, a cura di F. Sorbello, con prefazione di Anna Beltrametti (edita da La Vita Felice, 2019), è uno dei titoli con i quali Luciano ci parla della sua terra natale, e, in particolare, della città nota come Hierapolis Bambyce. L’origine incerta della città potrebbe risalire al periodo ittita, ma la fase più certa della sua storia comincia nel III sec. a.C., sotto il regno dei Seleucidi, che la arricchirono e la ellenizzarono, rendendola un centro religioso e politico di grande importanza, intorno al santuario della dea Siria, che sarebbe stato assai frequentato anche in età romana fra I e II sec. d.C.
La città sacra venne ricordata anche da Strabone, Tolomeo, Plinio, Plutarco ed Eliano, ed è al centro della descrizione di Luciano. Le capacità mimetiche di Luciano sono straordinarie, ed egli modella la sua prosa, in quest’opera, su quella di Erodoto.
Lo scritto si articola in sezioni ben distinte: dapprima, si racconta il viaggio da sud a nord nella Siria del II sec. d.C., attraverso le città e i santuari di Tiro, Sidone, Biblo, sino a Hierapolis (capitoli 1-9); segue la descrizione di Hierapolis e del suo santuario, accompagnata dai diversi miti di fondazione e di origine del culto della dea Siria (10-6). Le successive sezioni raccontano la costruzione del tempio, ad opera di Stratonica, la moglie di re Seleuco, e poi di Antioco, figlio di quest’ultimo, e di Combabo, fedelissimo del re e iniziatore della pratica di autoevirazione dei Galli sacerdoti della dea (capitoli 17-27); la descrizione particolareggiata delle architetture e delle statue del tempio, della statua semovente di Apollo e dei sacrifici offerti (28-449); infine, la descrizione del lago e dei pesci sacri, delle feste del fuoco, dei riti dei Galli e della loro sepoltura, oltre che dell’offerta dei capelli dei bambini nella piccola urna argentea (45-60).
In sede di studi critici, il testo ha sollevato varie discussioni in ordine alla sua credibilità: gli studiosi, pur orientati, sulla base dei caratteri formali, ad attribuirlo a Luciano, hanno però posto il problema del punto di vista e del registro adottati dall’autore in questo logos arcaizzante e di stampo ionico. In effetti, questo testo, di gusto arcaizzante, si discosta decisamente dai toni e dagli intenti irridenti e, anzi, spesso dissacranti tipici delle altre opere di Luciano, come i Dialoghi degli dèi e i Dialoghi dei morti: il tono serio, ammirato, e a volte anche devoto che prevale in quest’opera è autentico oppure ironico?
La questione va forse posta, in modo più corretto, in termini diversi, non tanto con domande inerenti alla verità storica di quanto racconta Luciano, anche perché non ci troviamo nell’ambito della storiografia tout court. Infatti, Erodoto, nelle Storie, in special modo nelle sezioni etno-geografiche, riposta tradizioni e memorie su cui, talvolta, dice esplicitamente di nutrire forti dubbi, o sulle quali lascia intendere un franco ed esplicito distacco.
L’intento di Erodoto, come quello dei periegeti (pensiamo a Pausania, contemporaneo di Luciano, e autore della Periegesi della Grecia in dieci libri), infatti, è principalmente quello di documentare le varie memorie culturali, la loro genesi, la loro lunga storia, e le loro divergenze, nella consapevolezza di come, dietro la molteplicità e, a volte, dietro la mistificazione delle tradizioni, si celi una verità per lo più inattingibile. Di fatto, in questo scritto l’intento di Luciano è quello di documentare e attestare tradizioni e leggende che circolano intorno a un luogo di culto rinomato e collocato al crocevia di diverse culture, non lontano dalla nativa Samosata.
Per i viaggiatori e i lettori la Siria, col grande tempio di Hierapolis e le tracce di presenze divine ed eroiche semitiche o greche, doveva perpetuare l’immagine favolosa di una regione che non era più un regno autonomo, ma da molto tempo era una provincia dell’impero, ma sempre ricchissima, materialmente e di bellezze, oltre che di storia. Per noi, oggi, le descrizioni lucianee possono aiutarci a superare la desertificazione operata dal clima e dalla guerra che ha devastato quei luoghi densi di storia: sul luogo dove sorgeva Hierapolis, infatti, ora si erge quel che resta di Manbij, luogo desolato, devastato dalla violenza e da feroci stragi nell’estate 2016.
E così, quest’opera, in cui Luciano dispiega i suoi interessi relativi alla storia dell’arte e degni di un antropologo dei nostri giorni, può contribuire a darci la misura della grandezza e della bellezza perdute di queste zone.
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