Era la fine del luglio 1954, avevo 12 anni e venivo accompagnato da mia nonna, in autobus (come si usava allora), alle Terme di Caracalla. Avevo riposato nel pomeriggio perché lo spettacolo iniziava alle 21,15 e si tornava a casa sempre in autobus (l’Atac, azienda romana per il trasporto pubblico aveva alcune linee speciali che dopo lo spettacolo, portavano nei principali quartieri di Roma). Mia nonna mi sussurrava: Ascolterai, è la migliore Floria Tosca vivente. Sono passati oltre sessanta anni; eppure, ho un ricordo vivido dello spettacolo, del pubblico che acclamava e, nell’enorme palcoscenico delle Terme di Carcalla, dove Renata Tebaldi che, stesa per terra, cantava Vissi d’Arte. Il suo Cavaradossi era Mario del Monaco, Scarpia Pietro Guelfi, in buca Ottavio Ziino, regia tradizionale di Eugenio Antoni, scene (a me parvero stupende) di Camillo Parravicini.



Inizio con questo ricordo a trattare della nuova biografia della ‘Signorina’ (volle essere sempre chiamata così) di Vincenzo Ramón Bisogni (Renata Tebaldi, «dolce maestà». Figlia. Donna. Icona pp. 244 € 25) appena uscita per i tipi di Zecchini Editore. E’ la sedicesima di un catalogo ricco che conta monografie uscite non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nella Repubblica Ceca. Ce ne era bisogno? C’è non solo l’occasione celebrativa – ricorrono i 75 anni dal debutto in teatro ed i 15 anni da quando lasciò questo mondo per andare a cantare nei teatri dei Cieli. Ma, soprattutto il lavoro di Ramón Bisogni aggiunge aspetti importanti ai libri precedenti non sotto il profilo dell’aggiornamento di alcuni elementi biografici.



Dal libro si evince come la grade cura del proprio strumento vocale, frutto di continuo ed indefesso studio, abbia consentito alla «dolce maestà» di una vera una doppia carriera: una estrema rarità per le doppie cantanti. Nella prima, dal debutto nel 1946 all’inizio degli anni sessanta, fu improntata a grande versatilità che le consentiva di andare da Wagner (che allora si cantava in italiano), a Spontini, a Mozart, a Verdi, a Puccini, cantando in tutto il mondo – in Italia principalmente al San Carlo di Napoli, negli Stati Uniti soprattutto al Metropolitan di New York ed alla Lyric Opera di Chicago. Nel 1963 prese un periodo di riposo, anche a causa di un momento difficile dovuto alla sfortunata relazione con il direttore d’orchestra Arturo Basile, riprese a cantare nel 1964, dopo un anno di silenzio, interpretando La bohème a Philadelphia. Da quel momento iniziò una seconda carriera, sempre più indirizzata al repertorio drammatico, con l’adozione dell’emissione di petto, a costo di accentuare l’indurimento del registro acuto.



Nel 1966 debuttò con grande successo come protagonista de La Gioconda sulle scene del Metropolitan appena aperto nella nuova sede al Lincoln Cente. Altrettanto successo le fu tributato nel 1970, sempre al Metropolitan, quando vestì per la prima volta i panni di Minnie ne La fanciulla del west (già eseguita in disco nel 1958). Cantò l’ultima opera nel 1973 interpretando Desdemona nell’Otello, ancora sulle scene del massimo teatro newyorkese. Successivamente l’attività si limitò ai concerti, dove privilegiò progressivamente pagine cameristiche con accompagnamento del pianoforte e, abbandonando ogni forzatura nel registro grave a favore di un’emissione più fluida, simile a quella degli esordi, dette ancora prova di elevata classe interpretativa. Fra le esibizioni all’estero si annoverano quelle nella stagione 1975-76 in Unione Sovietica. Si ritirò dalle scene nel 1976 dopo un trionfale concerto di beneficenza alla Scala a sostegno dei terremotati del Friuli, festeggiatissima dal pubblico che l’aveva seguita dagli esordi. La doppia carriera di Renata Tebaldi, ben analizzata nello studio di Ramón Bisogni è densa di insegnamenti per le cantanti di oggi che spesso usurano rapidamente la propria voce, non cogliendo a pieno quando se e quando (e come) passare da una vocalità ad un’altra.

Il secondo aspetto importante è che il libro, imperniato su Renata Tebaldi, non tratta solo del magnifico soprano ma anche nel contesto in cui si svolsero le sue due magnifiche carriere, principalmente in due continenti (Europa e Nord America). Quindi, rievoca non solo la sua voce dal timbro cristallino, opulenta, morbida, vellutata (è stata coniata l’espressione “velluto della Tebaldi”) e nel contempo penetrante, da autentico soprano lirico spinto, ma anche il contesto in cui si svilupparono, e, quindi, l’ambiente dei teatri, la sua evoluzione ed anche l’evoluzione politica e sociale del mondo della musica nella seconda metà del Ventunesimo Secolo.