Qui m’ascolta o m’uccidi è un verso dell’opera Attila di Giuseppe Verdi su libretto di Temistocle Solera: il verso è una forte richiesta d’attenzione della protagonista al proprio promesso sposo. Con questo titolo, Sonia Arienta, ricercatrice all’Università di Grenoble, presenta il suo ultimo libro. È un saggio corposo, circa 430 pagine a stampa fitta, sul tema della “persuasione” nell’opera lirica da Mozart a Puccini, ossia dalla fine del Settecento ai primi decenni del Novecento.



È un saggio non strettamente musicale dato che riguarda essenzialmente i testi delle opere, ossia i libretti, ponendoli nel contesto in cui vennero scritti come elemento non secondario per dare corpo alla musica che li hanno rivestiti. I testi, una volta messi in musica, sono visti come strumento che influenza il pubblico man mano che l’opera lirica diventa forma di espressione musicale aperta ai più vari strati sociali. Con il diffondersi, la lirica – il saggio ipotizza – diventa fenomeno di massa ed incide sui comportamenti sociali.



Un aspetto in particolare viene sviscerato: quello della “persuasione” di cui viene tracciata una vasta tassonomia: dalla persuasione nella sfera pubblica, alla seduzione, all’intimidazione. Una ventina di categorie, a loro volta distinte in sotto-categorie. Un lavoro certosino, e dotto, di tassonomizzazione, anche se la ricerca ha come perimetro l’opera italiana, l’opera francese e l’opera tedesca. Sempre restando nel periodo tardo Settecento-inizio Novecento, si potrebbero citare casi molto interessanti di persuasione nell’opera della Russia, dell’Europa Centrale e nella zarzuela della Spagna. Ma il lavoro di ricerca e di analisi è già abbastanza compendioso.



Sonia Arienta fa ricorso a strumentazione di “psicologia sociale” e mantiene – come si è accennato – che la ricca tassonomia di “persuasione” dal palcoscenico incideva sempre più sul pubblico man mano che l’evoluzione storico-sociologica avanzava. Ad esempio, la “persuasione” indotta dal potere è importante all’inizio del Novecento quando cominciano a intravedersi sistemi autoritari. Non mi intendo di “psicologia sociale”, ma a me sembra che non si tenga in conto il fenomeno che i sociologi chiamano di “causazione circolare e cumulativa”, nelle sue varie declinazione, ossia palcoscenico (libretto, partitura, cantanti, orchestra) e pubblico, si influenzano a vicenda in una vera e propria escalation. Ciò avrebbe consentito di analizzare meglio il fenomeno e di mostrarne le sue sfaccettature drammaturgiche, sociali ed anche politiche.

Sarebbe stato necessario restringere il campo, ad esempio alla seduzione forzosa (da Don Giovanni e Zerlina a Scarpia e Tosca) con il mutare di tipologia di potere. Ciò avrebbe anche messo in luce la collinearità e, restando nel dominio delle scienza sociali (non delle discipline dello spettacolo), avrebbe permesso di indagare, con una serie di regressioni, sulle determinanti ed individuare le più importanti.

Circa dieci anni fa uno studio del genere è stato fatto con successo da Oliver Falck, Michael Fritsch e Stefan Heblich (Ifo Discussion Paper 5065) i quali hanno dimostrato che i teatri lirici sono stati la leva dell’urbanizzazione e del progresso in piccole città tedesche e non come si riteneva il contrario.

Limitando il campo alla persuasione-seduzione forzosa si sarebbe potuto anche approfondire ed aggiornare un lavoro che ebbe successo una quarantina di anni fa, tanto da avere alcune ristampe: L’opéra ou la défaite des femmes di Cathérine Clement (Paris, Grasset 1979, pp. 364). Non credo che l’autrice lo abbia consultato perché, nonostante sia un libro di sociologia e psicologia sociale, non è incluso nella pur ricca bibliografia.

Con questi limiti, il saggio testimonia un grande lavoro di ricerca ed è utile strumento per insegnare librettistica nei conservatori e nei numerosi DAMS di università italiane.

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