Sembra che negli ultimi tempi Antonio Scurati, l’autore della celebre trilogia su Mussolini, sia stato investito (o si sia auto-investito) del sacro ruolo della difesa della democrazia, in nome di un nuovo antifascismo militante. Sono diversi gli episodi in cui lo scrittore si erge a censore delle dichiarazioni e dei comportamenti degli esponenti dell’attuale maggioranza di governo, che a dir suo vogliono tornare ai fasti del Ventennio.
Le sue dichiarazioni vengono costantemente riprese dai media progressisti, che in questo modo ampliano la grancassa mediatica, sollevando un polverone dietro l’altro, sperando di rosicchiare, goccia dopo goccia, il solido consenso di cui gode la compagine governativa. Non è che le posizioni di tanti malandati politici di FdI siano corrette, anzi spesso esprimono posizioni talmente paradossali che viene il dubbio se costoro abbiano una strategia comunicativa, oppure se la parola preceda il pensiero. Fatto sta che a ogni occasione il buon Scurati da Milano apre le danze. Un episodio significativo lo ha coinvolto direttamente. La presunta censura al suo monologo in occasione del 25 Aprile è stata l’occasione per scaricare i suoi fulmini democratici. Ma veramente lo hanno scandalosamente zittito perché parlava del regime totalitario che portò alla rovina l’Italia?
A guardar bene quel breve testo, più che una prolusione storica, era uno scritto polemico con un attacco diretto all’attuale presidente del Consiglio, rea di essersi “pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza”. Il vate ha espresso la sua opinione, mascherando la celebrazione del 25 Aprile con le sue legittime, ma parziali opinioni e con l’intento di attaccare frontalmente l’attuale compagine di governo, facendo anche un’equazione storica di scarso valore per cui il 1924 è uguale al 2024.
La Rai dice di non averlo censurato e ha trovato un escamotage di tipo economico per non far leggere quel breve testo, per la verità poco storico e molto ideologico. C’è comunque da chiedersi se si possa far tacere un vate. Si poteva, oltre un secolo fa, emarginare D’Annunzio? In occasione del suo racconto mancato, Scurati ha chiarito maggiormente il leitmotiv del suo pensiero: la destra di governo – ha dichiarato – poteva “ripudiare il suo passato neofascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via”.
Il noto scrittore è ossessionato dalla riscrittura della storia, come se di storie ce ne fosse una sola, indiscutibile e tetragona. Ha ripreso la questione alcuni giorni fa in un’intervista a Repubblica per rispondere sul piano storico a una valutazione politica di Federico Mollicone sulla strage di Bologna. Mollicone (povera oggi è la cultura se gli è affidata l’omonima commissione parlamentare), in una tesi senza alcun fondamento, ha di fatto negato che la strategia della tensione degli anni Settanta fosse attuata per condizionare gli orientamenti politici della repubblica. Ma anche senza alcun fondamento è quanto sostenuto da Paolo Bolognesi nel discorso di commemorazione della strage alla stazione di Bologna, che ha causato una ferma reazione da parte di Giorgia Meloni. Il presidente dell’Associazione familiari delle vittime della Strage di Bologna ha infatti sostenuto che “Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo”, aggiungendo che la politica giudiziaria del governo si ispira alla P2.
Il paladino Scurati, oltre che con Mollicone, dovrebbe prendersela anche con Bolognesi, che nel suo discorso celebrativo, alla presenza della segretaria Elly Schlein, ha di fatto proposto una nuova interpretazione della storia italiana recente. Una riscrittura a sinistra si può fare? Ma si sa, i vati, spesso infervorati nella loro missione salvifica, usano due pesi e due misure. Poi gli dobbiamo ricordare che i popoli vivono la storia, non la scrivono, compito che tocca agli studiosi (gli storici sono pochissimi, anche se oggi tanti che si occupano del passato si fregiano del titolo), e che i magistrati redigono le verità giudiziarie, che spesso sono dissimili da quelle storiche, e gli intellettuali commentano, ma spesso sono a servizio o della mentalità alla moda o di un potentato.
Questa posizione dovrebbe ricordarsela anche l’altro grande vate contemporaneo, Marco Travaglio, che da anni confonde verità storiche e giudiziarie. Anche Scurati quando ha scritto “M” ha fatto un’operazione di riscrittura della storia, si è basato sui fatti, sui documenti e l’ha interpretata. Tutti lo sanno, nessuno si scandalizza. Sono questioni metodologiche che si studiano al primo anno di una qualsiasi facoltà in cui si insegnano i fondamenti del metodo storico. Il grande storico Cinzio Violante, a sentire le dichiarazioni di Scurati, si rivolta nella tomba. Inoltre Scurati si dimentica, così accomodato nelle sue verità, che la storia si riscrive sempre, che gli studiosi correggono se stessi e si correggono l’un l’altro, perché il dibattito storiografico è il sale della ricerca. Non si dimentichi che gli eventi del periodo contemporaneo sono iper-documentati e l’analisi è più complicata a causa dell’abbondanza delle fonti.
Bisogna poi ricordarsi che se ci occupiamo di fatti risalenti a qualche decennio fa, la confusione tra storia e cronaca è massima. Il rischio di leggerli con la lente dell’ideologia, della partigianeria, da una parte e dall’altra, oscura il fragile tentativo di illuminare il passato. Ma un vate, investito del compito di salvare la democrazia, può occuparsi di questi problemi? A un politico anche di rilievo, interessa la cultura del popolo o vuole solo propaganda? Ai politici interessa il consenso. Per ottenerlo, per far venire dalla propria parte gli indecisi, non usano le argomentazioni, ma gli slogan e passano per la fidelizzazione dei vicini.
Allora è giunto il momento di fermarsi e di fare un passo indietro. Nel settantesimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi, nell’uomo che, pur contrastando Togliatti e polemizzando con Nenni, li stimava come avversari politici, prevalevano le ragioni delle proprie convinzioni e l’argomentazione era alla base della sua comunicazione. A differenza di oggi, era un politico che riconosceva dignità agli avversari. Ecco perché nella contesa politica non c’è spazio per la riscrittura della storia e la verità storica assoluta lasciamola al Novecento e ai suoi Vati. Superiamo la logica pubblicitaria del convincimento all’acquisto, cerchiamo di non rendere tutto come un grande talk show, dove tutti dicono il contrario di tutto e nessuno capisce nulla. I politici dicano le proprie verità, i giornalisti informino, gli intellettuali spieghino, ma senza rompere il giocattolo. Altrimenti saranno dolori. In Serbia, in Ruanda, in America latina e in tanti altri posti ne sanno qualcosa e ora anche negli Usa cominciano a sperimentare lo scontro senza sconti.
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