Scriveva don Giussani a un certo punto di un libro, Io, il potere e le opere, che bisognerebbe rileggere spesso: “Quando l’impegno con il bisogno non rimane pura occasione di reazione compassionevole, ma diventa carità, come coscienza di appartenenza a una unità più grande, imitazione nel tempo del mistero infinito della misericordia di Dio, allora l’uomo diventa per l’altro uomo compagno di cammino. Diventa un cittadino nuovo”.



Queste parole hanno una grande radice nella fede cristiana, ma contengono anche un incredibile obiettivo laico. Per chi legge, diventa inevitabile pensare che quel “nuovo cittadino” sia una speranza e un traguardo civile e sociale.

Viene in mente questo passo di Giussani quando si legge il libro di Valter Izzo Mi faccia dire un’Ave Maria, edito da Itaca (2019) e con una prefazione di Giorgio Vittadini. L’autore ha imparato bene la lezione di don Giussani. Valter Izzo non è un personaggio facile e semplice, per sua stessa ammissione. Ma in questo libro è come se si confidasse in modo personale, con benevolenza anche verso se stesso ma soprattutto con quante persone ha incontrato nella vita. È come se volesse ripercorrere la sua strada (ed è come un paradosso anche la sua “Strada”, una grande opera) per fare una testimonianza non solo da cristiano, ma proprio da cittadino nuovo, da uomo che guarda alla realtà, che è immerso nel mondo così come è fatto. E come al solito, sia come uomo che vive il mistero della carità, sia come semplice cittadino, si rivolge agli altri uomini, soprattutto a quelli che vivono nel disagio e che hanno dei bisogni materiali e spirituali.



Izzo si è sempre dedicato con passione a quelli che vivono ai margini di una società, che “fa programmi”, che ha in mente “strutture ben congegnate”, ma poi si perde in regolamenti e leggi che hanno poco a che fare con quello che muove veramente gli uomini alla carità. Alla fine, seguendo programmi stabiliti da interventi burocratici, quelli che erano ai margini restano sempre ai margini.

La carità ha ben altro spessore che i regolamenti, le delibere e persino le leggi scritte. Nelle sua prefazione Vittadini offre una sommaria indicazione del superamento della “carità programmata” proponendo quasi un titolo sostitutivo al libro di Izzo: “Storia di un’anima in piena”.



Nella stessa presentazione, Daniela Notarbartolo spiega la missione di questo testo arrivato nelle librerie: “Valter, ma tu queste cose le devi scrivere! Lo devi al don Gius e a tutti noi”.

Simpaticamente impertinente, Valter Izzo ti spiazza con questo libro, perché il suo titolo, Mi faccia dire un’Ave Maria, ricorda la richiesta, quasi stravagante e perentoria, di una donna che un giorno arriva in una delle tante opere di carità che Izzo ha promosso e diretto. Ma Izzo spiazza il lettore anche con l’incedere del racconto del suo libro.

All’inizio ti sembra di immergerti in un’autobiografia, che parte da un incontro problematico con don Giussani. Il primo incontro è quasi uno scontro, “Quale è il problema ?” Izzo risponde: “Ah, io non ho nessun problema, sono gli altri che hanno un problema con me: il prete mi butta fuori dall’oratorio, a scuola mi mandano fuori dalla classe, mia mamma prega Santa Rita perché io non faccia una brutta fine”. La sentenza di Giussani resta un atto di fede e di speranza; “Se il Padreterno ti ha fatto così , avrà avuto i suoi motivi”.

Ma lo spiazzamento del racconto è che da un inizio che sembra autobiografico si passa a riflessioni che si accavallano, che si rifanno ad altre esperienze, che anticipano analisi dettagliate di alcune situazioni e autentiche battaglie per difendere il metodo migliore e più adatto a una determinata realtà, per affermare il mistero e l’ampiezza della carità di cui l’uomo è capace.

Ma non è tutto, perché c’è una serenità insospettabile in Valter Izzo nell’incrociare l’attività e gli scontri (anche con autorità ecclesiastiche), su come condurre opere di carità e di aiuto concreto agli uomini, e la sua stessa vita, tutt’altro che semplice, piena di incidenti personali con la salute e di drammi sofferti nella sua famiglia.

Di fatto, Izzo offre uno spaccato (attraverso questo libro che si legge con crescente interesse, tra una scoperta e l’altra) della vita di un uomo che si è dedicato principalmente a uno scopo, ma non dimentica nulla di quello che ha vissuto insieme ad amici che si ricorda con affetto, a un personaggio come don Giussani ai tanti che ha aiutato.

Diventa quasi incredibile e una “sveglia positiva” per una società soffocata dalla burocrazia asfissiante, leggere un libro dove si parla di una vita vissuta a cento all’ora, saltando dalle vacanze alla Maddalena con due grandi personaggi della Chiesa dei nostri tempi, alla battaglia per salvare un’istituzione come l’Asilo Mariuccia, dopo aver “cementato” l’intuizione de “La Strada”, e nello stesso tempo ricordare la sua permanenza all’ospedale, tra trapianti, cure e discorsi con medici e pazienti.

È un invito a considerare sul serio, anche in quest’epoca fatta soprattutto di teorie astratte, la necessità di un tuffo nella realtà e nella voglia di vivere.