Romanzo balneare non vuol dire “romanzo da spiaggia”, se con l’espressione si intendono quei romanzetti light che fanno ottima compagnia nelle pigre giornate sotto l’ombrellone vista mare; ma non pensate allora nemmeno al un “romanzo impegnato”, se con queste parole si indica il classico malloppo “formato laterizio” come diceva un amico libraio, sul quale ciondolare semi-addormentati per decine di sere, prima di accantonarlo per un bel Simenon. No, L’Alsìr (Fernandel, 2023) di Jacopo Gardelli è un romanzo “di spiaggia”, nel senso che il punto di vista da cui l’autore conduce la narrazione è l’omonimo stabilimento balneare della riviera romagnola: uno stabilimento balneare per famiglie, dove, di anno in anno, tornano sempre le stesse famiglie, padri, madri, nonni e bambini.
Qui, dal 1994 al 2012, si incrociano le vicende di due generazioni, padri e figli, rappresentati da due famiglie: i Malagola, benestanti milanesi, il cui capofamiglia, medico, ogni anno torna con la moglie Teresa, sempre scontenta, alla villetta per la tanto rilassante villeggiatura, e i Montanari, di estrazione più umile: Ivan è un portuale, la moglie, Caterina, una maestra d’asilo. Nelle prime pagine del romanzo, Ivan viene finalmente assunto come portuale: quella è una categoria di lavoratori particolare, un mondo a parte, con le sue peculiarità. Il giovane, del resto, è quello che si direbbe un ragazzo con una formazione politica solida, molto politicizzato, un ragazzo che ha assistito con preoccupazione e interesse alle trasformazioni del vecchio Pci dei nonni e dei padri, che vuole capire che cosa succede nel mondo, e in Italia, nel momento in cui sembra che il “miracolo italiano” tanto strombazzato sia lì lì per arrivare.
Ma questo che cosa comporterebbe, di fatto? Ecco come si sente smarrito dopo un incontro con un dirigente: “Aveva ringraziato (…) per i ragguagli e se n’era andato ad ali basse, perché il succo del discorso era che non erano più padroni di loro stessi e anche i portuali avevano calato le braghe al nuovo ordine. I privati avrebbero deciso i modi e i tempi del lavoro, ma a lui non stava bene di fare l’impiegato, di competere come un mulo contro un altro portuale come lui. Li volevano mettere l’uno contro l’altro, come un tempo, spremerli in nome del profitto e del mercato: cosa facevano tutti, dormivano? (…) L’efficienza, questa parola che sentiva ripetere tutti i giorni, anche dai sindacalisti, a chi serviva davvero? Al Paese o ai padroni? Quanto dovevano ingrassarsi ancora? Come l’Italia (…) costretta a tavola a mangiare, mangiare: anche se da anni non aveva più appetito, la costringevano a rimanere lì, scoppiavano le bombe e lei rimaneva lì, a mangiare con la testa nel sacco” (p. 27)
Per alcuni anni, sembra che nulla cambi: i figli di Ivan e quelli di Berto, il dottore, il “luminare” di Milano, giocano insieme; le mogli, Teresa e Caterina, chiacchierano dei bambini e delle faccende della famiglia. Poi, il tempo passa: Alessandro, il figlio di Berto e Teresa, diventa uno studente brillante, avviato a una luminosa carriera, universitaria e non solo; Elena, sua sorella, diventa un’adolescente taciturna, apparentemente indifferente a tutto, anche ai bei vestiti, con gran dispiacere della madre, che a un certo punto prende a lavorare in una boutique di lusso, aperta con amici nel centro di Milano. Se Elena frequenta con scarso successo il liceo artistico, per diventare poi un’ancor più svogliata studentessa, o meglio, un’iscritta all’Accademia di Brera, Guido, il figlio di Ivan, sembra preso dalla smania di capire il mondo: per prima cosa, e a differenza del padre, non con la politica, ma attraverso i libri, di cui è un accanito consumatore, e di cui discute serratamente con Berto. Però, l’idea di iscriversi a lettere a Milano, complice anche il sentimento nascente per Elena, naufraga a causa delle scarse disponibilità economiche familiari: meglio essere realisti, meglio una laurea in giurisprudenza, più spendibile nel mitico “mondo del lavoro”; e poi, perché andare fino a Milano, quando a poca distanza c’è l’Alma Mater Studiorum, l’Università di Bologna? E poi, in città Ivan ha già trovato al figlio una sistemazione d’occasione, da baciarsi i gomiti: perché lanciarsi in un’avventura senza rete, e soprattutto così costosa?
Gardelli, in questo suo debutto nel genere romanzesco, illustra i cambiamenti politici e sociali di un’Italia sempre più scettica e smarrita: e se Ivan sente dolorosamente questo smarrimento, Berto, più fatalista, o forse, da sempre, meno rigido, sembra più disincantato e conciliante, o forse ha deciso ben prima del suo amico che non vale la pena di infervorarsi e di lottare: in nome di che cosa, poi?
L’Alsìr è un romanzo di belle ambizioni e di svelta lettura, un affresco dolceamaro di vent’anni della storia d’Italia, scritto in una lingua che è tutta da scoprire, tanto che ci si trova spesso a leggere e ripetere ad alta voce alcune parole, per assaporarle meglio, e per fissarle nella memoria. Una lettura estiva, nel senso migliore del termine.
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