Ottant’anni fa un uomo esalava lo spirito nel Lager di Oranienburg-Sachsenhausen. Il suo nome è Paul Ludwig Landsberg, secondogenito di Ernst Landsberg e Anna Silverberg, una famiglia ebraica. Nato a Bonn nel 1901, due anni dopo per decisione del padre riceve tuttavia il Battesimo nella Chiesa luterana. In età adulta entrerà infine nella Chiesa cattolica, accostandosi ai Sacramenti e al movimento liturgico sorto intorno all’Abbazia benedettina Maria Laach.
All’inizio degli anni Venti la casa dei Landsberg è frequentata da pensatori e autori del calibro di Romano Guardini, Max Scheler, Thomas Mann. Dopo la maturità umanistica (1919), il giovane Landsberg studia filosofia a Friburgo presso Edmund Husserl e, in seguito, a Colonia presso Max Scheler. Ma ben più che Husserl e Scheler, il vero maestro nella vita e nel pensiero di Landsberg è Guardini. Conseguito il dottorato e l’abilitazione alla docenza universitaria, è professore di filosofia nell’Università di Bonn dal 1928 al 1933, anno in cui, in seguito alle disposizioni razziali, il ministero dell’Istruzione gli revoca la libera docenza. Nello stesso anno sposa Magdalena Hoffmann a Zurigo e, presentendo la tragicità degli eventi che si sarebbero consumati di lì a poco, abbandona la Germania. Dal 1934 al 1936 insegna filosofia nelle Università di Madrid e di Santander. Ma lo scoppio della guerra civile lo persuade ad interrompere il suo soggiorno spagnolo e a rifugiarsi in Francia, dove intensifica la collaborazione con la rivista Esprit e con il suo direttore, Emmanuel Mounier, il quale definirà Landsberg “una delle pietre d’angolo di Esprit”, che avrebbe contribuito in modo decisivo a salvare il gruppo di amici e pensatori francesi da “tentazioni utopiche”.
Nel maggio del 1940, a seguito delle operazioni militari della Wehrmacht in Francia, Landsberg e sua moglie, in quanto tedeschi su suolo francese, vengono internati in due differenti campi di prigionia, lui ad Audierne (Finistère), lei a Gurs. Magdalena, a causa del trauma per la separazione dal marito e per l’internamento, è ricoverata in un ospedale psichiatrico a Pau. Lui, evadendo coraggiosamente dal campo, si mette subito in cerca della moglie, di cui ha perduto ogni traccia. Max Horkheimer e Jacques Maritain gli procurano un contratto di docenza universitaria negli Stati Uniti e un visto per l’espatrio, ma egli rifiuta di fuggire da solo e decide di trasferirsi nei pressi di Pau, sotto lo pseudonimo di Paul Richert, per rimanere vicino a sua moglie, ancora inferma. Diviene membro operativo della Résistance, lavorando al servizio d’informazione di Combat (Movimento di Liberazione Nazionale). Infine riesce a ricongiungersi con Magdalena, conclusa la degenza ospedaliera di lei.
Pur vivendo gli ultimi anni dell’esilio dal suolo patrio in una situazione-limite, sotto la martellante pressione quotidiana di essere ricercato, braccato come preda inerme, stanato e fatto fuori dai nazisti, non oltrepassa quel confine varcato il quale si accede alla disperazione, ma rimane saldo nella speranza e nell’obbedienza filiale a Cristo. Il 23 febbraio 1943 viene scoperto a Pau e arrestato dalla Gestapo. Trascinato in vari campi di detenzione e sottoposto a molteplici vessazioni fisiche e morali, da ultimo è condotto nel Lager di Oranienburg-Sachsenhausen (Berlino), dove muore al limite estremo dei propri patimenti, di fame e di una tubercolosi feroce. È il 2 aprile 1944, Domenica delle Palme e della Passione del Signore.
Oggi si conserva e si onora ancora poco la memoria della vita e dei patimenti di questo uomo, cattolico di origine ebraica e filosofo e, ancor meno, nella ricezione del pensiero del Novecento è debitamente accolta l’eredità dei suoi scritti, composti tra Germania, Spagna e Francia, talora in condizioni di grande travaglio. Non è la Germania ad avere intrapreso la pubblicazione delle sue Opere complete, bensì l’Italia: P.L. Landsberg, Scritti filosofici, vol. I. Gli anni dell’esilio (1934-1944), a cura di M. Bucarelli, San Paolo, Milano 2004 (al riguardo, si veda la bella recensione di M. Borghesi, La verità è se opera, in 30Giorni, n. 6, 2005).
Il pensiero di Landsberg si distingue per un intenso amore e una ricerca inesausta del “vero”, che egli ritiene vada inteso “in un senso molto più profondo di quello della lezione di logica, come qualcosa che, secondo l’insegnamento di Aristotele, solo nel patire e non nello studiare, ci diviene accessibile quale nucleo delle cose” (Chiesa e paganesimo, 1924). Il cuore pulsante del suo pensiero è la verità dell’uomo e del suo essere persona nel Mistero di Cristo. Nell’articolo Qualche riflessione sull’idea cristiana di persona (Esprit, 1934), Landsberg dichiara di avere dedicato i precedenti dieci anni della sua vita a meditare a fondo le vite spirituali dei santi, in particolare di sant’Agostino e dei mistici spagnoli. Seguendo santa Teresa d’Avila (ad es. Vida, XI, 298) egli descrive l’umile riconoscimento, da parte della persona umana, della sua dipendenza da Dio in ogni istante, come un andar en verdad, un “camminare nella verità” che consiste “nel mantenersi cosciente e continuo di fronte a questa presenza creatrice di Dio in noi stessi, disposizione che ci rischiara e ci fa vedere che da noi stessi noi non esistiamo e non siamo nulla. Da questo punto di vista l’attività della personificazione si presenta come un’esperienza, come lo stato del subire una attività divina. Per questo la singolarità della persona non viene ad essere minacciata più di quanto la singolarità dell’opera d’arte lo sia dall’atto creativo dell’artista e dagli atti di comprensione degli spettatori che le donano esistenza” (ivi).
Meditando sul pensiero di san Bonaventura, Landsberg scrive: “La Presenza agente di Dio condiziona l’uomo in tutte le sue attività. […] In ogni conoscenza vera lo spirito partecipa immediatamente della verità del Logos e sfiora conseguentemente la seconda Persona della Trinità. Il cristocentrismo mostra in questo caso tutto il suo significato filosofico. […] Era necessario che Cristo si facesse, per la nostra anima, scala riparatrice della scala precedente, che era stata spezzata in Adamo” (La filosofia di un’esperienza mistica. L’Itinerarium di san Bonaventura, 1937).
L’unico specchio che restituisce all’uomo la sua vera identità non è l’indefinita successione dei “rispecchiamenti” dei propri stati di coscienza, e non sono nemmeno gli altri con i loro volti e i loro sguardi (con buona pace dei “neuroni-specchio”), ma è Cristo che pende dal legno della Croce: “La vita tua pende davanti a te, affinché in essa, come in uno specchio, tu guardi te stesso. […] Se guarderai bene, qui potrai conoscere quanta sia la dignità, quanta l’eccellenza di colui per il quale fu pagato un tale prezzo senza prezzo. Da nessuna parte l’uomo può comprendere la propria dignità se non nello specchio della Croce” (sant’Antonio da Padova, Sermone nella Festa del ritrovamento della Santa Croce).
Landsberg non solo immerse il proprio sguardo in questo Specchio santo, ma obbedì a Cristo, il quale, “pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che Gli obbediscono” (Eb 5,8). Così ricevette e accolse la sua vera identità, dignità ed eredità di figlio, perché prese parte veramente ai patimenti del Crocifisso Risorto per aver parte anche della Sua gloria (Rm 8,17). Mistero della figliolanza.
(1 – continua)
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