Merito, non secondario, del poderoso volume di Luciano Lanna, Attraversare la modernità. Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce (Cantagalli, 2024), introdotto da Giacomo Marramao, è di rilanciare la figura e l’opera del grande pensatore, scomparso nel 1989, nel panorama culturale odierno. Il testo riporta in Appendice anche un inedito  del 1961 che appartiene alla fase “giobertiana” di Del Noce. L’eco che il libro di Lanna ha avuto nella stampa, con numerose recensioni, documenta come l’impegno dell’autore sia stato ampiamente ripagato. Il pensiero di Del Noce, contrariamente a quanto è accaduto ad altri noti intellettuali italiani, non ha perso il suo interesse dopo la caduta del comunismo. Da questo punto di vista la sua riflessione costituisce un’eccezione. Lo documenta anche il recente studio di Francesco Perfetti Dove va la storia contemporanea. Augusto Del Noce e l’interpretazione transpolitica (Aragno, 2024).



Il fatto è che Del Noce, oltre ad essere un lucido critico del marxismo e del pensiero di Gramsci in particolare, è stato anche un acuto diagnostico della società opulenta, della mentalità positivistico-tecnocratica post-marxista. Le sue analisi consentono di inquadrare il mondo della globalizzazione, lo stesso che oggi è dilaniato da profonde polarizzazioni.



Comunque sia il lavoro di Lanna non si limita a questi aspetti, pur rilevanti, del pensiero delnociano, ma vuole restituirci il quadro complessivo della sua speculazione, un quadro che è dominato da un tema di fondo: quello dell’interpretazione dell’era moderna. Formatosi nell’Italia fascista degli anni Trenta, quella della conquista dell’Etiopia e dell’Impero, Del Noce reagisce al primato della violenza e della forza glorificate dal Regime. Trova nel Maritain di Umanesimo integrale, di cui fu uno dei primi lettori in Italia, la chiave per dissociare cattolicesimo e fascismo. Una chiave che si approfondisce, a partire dal 1944, dopo la parentesi cattolico-comunista con Rodano e Balbo, nell’approfondimento del valore delle libertà moderne, del nesso, indissolubile, tra cattolicesimo, democrazia, libertà. È a partire da questa consapevolezza che Del Noce svilupperà il suo personale confronto con il moderno, sensibilmente diverso rispetto a quello della cultura cattolica allora dominante.



All’antimoderno cattolico, dipendente dall’orientamento neoscolastico, che aveva portato a guardare con simpatia il fascismo considerato erroneamente come antimoderno, il giovane intellettuale contrappone una visione fatta di critica e, insieme, di accettazione. Il moderno porta con sé il seme del totalitarismo, epperò, al contempo, anche il vento delle libertà civili e religiose. Si tratta di una prospettiva che lo porta all’incontro ideale, oltre che politico, con la persona di Alcide De Gasperi. È da questa “svolta”, preparata dall’opposizione morale al fascismo nella seconda metà degli anni Trenta, che occorre partire per comprendere il “pensiero” di Augusto Del Noce. Gli stessi studi sul pensiero cattolico francese del Seicento della seconda metà degli anni Trenta, dedicati a Cartesio e Malebranche, assumeranno il loro valore peculiare solo a partire dal nuovo contesto ideale e politico del dopoguerra. Configureranno un problema aperto: quello del dualismo tra vita spirituale e storia che il nuovo partito dei cattolici, la Democrazia cristiana, doveva superare per essere in grado di guidare il Paese.

Lo studio di Lanna ha il pregio di concentrarsi sul confronto di Del Noce con il moderno. L’autore, pur documentando le frequentazioni e i dialoghi tenuti dal filosofo con persone provenienti dal mondo della destra, soprattutto negli anni Sessanta, critica le letture tradizionalistiche e conservatrici del suo pensiero. L’anima liberale e antifascista di Del Noce viene pienamente riconosciuta. Un’anima che costituisce, in qualche modo, il fulcro del suo pensiero. Nel tentativo di ricostruirlo Lanna condivide quanto anch’io osservavo nel mio studio delnociano Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno (Marietti, 2011), e cioè il rischio di presentazioni che, per quanto utili, si perdono nella esposizione di una serie di tematiche – il marxismo, Gentile e il fascismo, l’ateismo moderno, l’ontologismo di Malebranche e di Rosmini, la secolarizzazione, la critica della società opulenta – che nascondono l’unitarietà di un pensiero. A ricostruire il filo rosso di tale pensiero era appunto dedicato il mio volume del 2011. Ora Lanna ricostruisce, da par suo, lo stesso sviluppo con delle osservazioni che documentano come la rilettura delnociana del moderno si muova, al di là dei punti d’arrivo, in un quadro problematico che non si limita a dualizzare la lettura consueta ed unidimensionale del moderno visto come era antropocentrica dominata dalla centralità dell’uomo e dall’ateismo. Per Del Noce il moderno vede la biforcazione di due strade, ambedue procedenti da una lettura diversa di Cartesio: una razionalistica che culmina in Hegel e in Marx, una cristiano-ontologistica che vede la sequenza Cartesio-Pascal-Malebranche-Vico-Rosmini. Si tratta di una scoperta, maturata a partire dalla nuova lettura del Cartesio bifronte, nel 1950, che porta a decostruire l’intero quadro del pensiero moderno.

Lanna mostra, ed ha ragione, come in realtà, nell’evoluzione del pensiero di Del Noce, lo scenario appaia più complesso, le vie si arricchiscono, nuove strade si aggiungono. Così l’ateismo viene a coincidere non solo con il razionalismo ma anche con il filone irrazionalistico, da Sade al surrealismo, mentre il filone agostiniano-ontologistico del moderno si incontra, a partire dagli anni Sessanta, con la tradizione tomista riscoperta attraverso Étienne Gilson. Questa pluralizzazione dei percorsi non deve, però, portare ad una sorta di pluralismo ermeneutico per il quale il moderno diviene la babele di correnti incomponibili e radicalmente eterogenee. Se così fosse verrebbe meno il modello concettuale delnociano e la sua revisione storiografica confluirebbe nella decostruzione postmoderna. In realtà il pensare delnociano è intimamente dialettico. Le posizioni contrarie si richiamano per contrasto ed ogni posizione si definisce a partire dall’avversario. Merito di Del Noce è, violando il canone della storiografia idealistica, di aver posto l’ateismo al centro del pensiero moderno. Di averlo posto, però, problematicamente.

Il problema dell’ateismo, titolo della sua opera del 1964, è il titolo che rivela il nucleo del suo intento: quello di aprire il moderno a letture diverse tali da configurare un possibile incontro con la parte migliore della modernità, quella in cui il cristianesimo continua ad essere presente come anima vivificante. Un cristianesimo né integralista, né reazionario. Alle pagine 109-117 del volume, dedicate a “Per una definizione storico-filosofica del ‘moderno’”, Lanna riconduce questa presenza cristiana dentro la modernità, non fuori. Lo può fare perché la modernità viene a duplicarsi, secondo l’autore, in due momenti, in una prima modernità ancora cristiana, tragicamente divisa però dalle guerre di religione, ed in una seconda, laica e razionalista. Questa suddivisione potrebbe, forse, essere accolta da Del Noce. Sua è infatti la tesi secondo la quale la storiografia idealistica trascura interamente l’Europa della Riforma cattolica. All’età del Barocco risale proprio la catena dei grandi pensatori cattolici del Seicento: Cartesio-Pascal-Malebranche. Sua è altresì l’idea che il dualismo cartesiano, tra mondo interiore e mondo esteriore, sia il riflesso di una frattura storica, epocale, che vede il cristianesimo confinato nel foro interno a fronte della sfera politica dominata dal machiavellismo.

Sulla radice di questa frattura Del Noce non ha, però, mai indugiato, le guerre di religione come vera causa dell’ateismo e del razionalismo moderno non sono oggetto del suo pensiero. Né allo scopo è sufficiente la breve citazione che Lanna trae dal saggio delnociano del 1969 Contestazione e valori, per cui “La crisi presente della fiducia in valori permanenti richiama alla memoria quella che si verificò nei primi del Seicento. Si trattava anche allora del periodo successivo alle guerre di religione e alle scoperte di civiltà diverse da quelle mediterranee; e anche allora fu messa in discussione, insieme con l’assolutezza dei valori, la tradizione comune del pensiero greco e del pensiero cristiano”. Troppo poco per certificare una tesi.

In realtà Lanna qui riprende alla lettera, com’egli riconosce nelle note, la tesi che vado sviluppando da anni, quella della doppia modernità e delle guerre di religione come vero inizio del moderno, posizione che ho argomentato nelle introduzioni ai volumi Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese (Jaca Book, 2019) e La terza età del mondo. L’utopia della seconda modernità (Studium, 2020). Non si tratta di una tesi consueta. L’unico riscontro è con la visione analoga di Reinhart Koselleck. Essa riprende le riflessioni di Del Noce e le cala in uno scenario storico che, solo, consente di dare ragione della “anistoricità” cartesiana, del machiavellismo politico, dell’ateismo libertino. Quello della tragedia di due secoli cristiani, “moderni”, che vedono la secolarizzazione della fede non a partire da agenti esterni ma per la riduzione teologico-politica della medesima divenuta arma di guerra e di contesa.

Precisato ciò, sono lieto, ovviamente, che Luciano Lanna abbia fatte proprie queste riflessioni. Per il resto il suo volume mantiene tutto il suo valore di una ricognizione di ampio respiro che ha il pregio di riproporre come attuale “il pensiero inattuale”, come recita il titolo, di Augusto Del Noce. L’attenzione che il testo ha ricevuto finora è il segno che di quella riflessione abbiamo oggi più che mai bisogno in questo tempo arido che, dopo anni di smobilitazione ideale e politica, torna ora, drammaticamente, alla storia e si accorge di non avere più i concetti per decifrarla.

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