Il delizioso Camillo Sbarbaro. Scrivere per vivere, di Francesco De Nicola (Ares, 2024) ultimo nato nella collana dedicata ai Profili di autori italiani e stranieri, delinea una immagine a tutto tondo di un autore purtroppo ancora poco noto e poco studiato della nostra letteratura del Novecento.

Del ligure Camillo Sbarbaro (1888-1967) De Nicola sottolinea, soprattutto, l’anelito alla libertà, che lo caratterizzò per tutta la sua esistenza: come ebbe a dire la sorella Clelia, che fu sempre il suo sostegno e la sua sponda: “Ragazzo inquieto e irrequieto fin dalla prima infanzia era sempre diverso e ogni volta vero. Così rimase tutta la vita”. Per Sbarbaro la sola cosa importante era scrivere; anche se controcorrente, anche al di fuori di ogni moda e scuola poetica: soprattutto, ai fini della notorietà e del successo, gli nocque la predilezione per la prosa lirica, nella forma del frammento, che ebbe in Italia una certa limitata fortuna a inizio Novecento per poi essere pressoché dimenticata.



Ma a Sbarbaro non interessava il successo, quello che si misura con i premi letterari e con le classifiche di vendita da scalare. In questo senso, una lettera del 1937 indirizzata all’amico Giovanni Descalzo chiarisce molto bene l’atteggiamento di Sbarbaro nei confronti della critica, soffermandosi su una feroce stroncatura per mano di Giacomo Debenedetti ricevuta da Descalzo sul suo romanzo Esclusi: “Mi ha fatto molta pena il vederti amareggiato. Io non conosco l’articolo di cui dici e non immagino neppure che cosa di ‘personale’ abbia potuto offenderti, e ti rispondo perciò a caso. Il consiglio generico che io ti posso dare è quello di tirar dritto per la tua strada, senza badar troppo né alle lodi né alle critiche. Tu hai avuto la disgrazia (disgrazia più che fortuna) d’una entusiastica accoglienza appena hai cominciato a scrivere. Sono gioie che più o meno si scontano; sono di solito quelli stessi che hanno applaudito a rifar la strada a ritroso; e se non loro gli altri per reazione. Tu hai indubbiamente dentro di te il tuo nodo di poesia (…) Di consensi critici devi saper fare a meno. Essi non aiutano certo a camminare; al contrario. Ti dico quello che posso tirandolo dalla mia esperienza; e forse con le ragioni del tuo disappunto non ho da fare e allora scusamene”.



In queste parole, oltre all’evidente espressione della sua amicizia e del dispiacere per la delusione provata dall’amico, Sbarbaro espone a Descalzo alcuni punti fermi indispensabili per capire il suo impegno letterario e che lo riguardavano direttamente, aggiungendo utili spiegazioni e motivazioni della precedente lettera riassuntiva dei suoi scritti: “Non ritenerti impegnato con nessuno, non sforzare in nessun modo la voce. Per te sei vivo, non ti deve importar niente di parer morto”: consigli che egli seguiva in prima persona e che riflettevano in pieno la sua scelta di scrivere per sé stesso, espressa con chiarezza anche in una pagina dei Fuochi fatui: “Scrittore, lavorai sempre a intermittenza; senza provare nelle lunghe pause velleità o rimpianti di sorta”.



Nelle opere di Sbarbaro, la raccolta di versi giovanile Resine (1911), seguita dalle poesie di Pianissimo (1914), e poi dalle prose di Trucioli (1919-20), in Liquidazione (1928), nelle tante traduzioni (non solo dalle lingue classiche, ma anche dal francese) che lo sostennero materialmente negli anni difficili della Seconda guerra mondiale, troviamo l’espressione di un anticonformismo non certo dovuto a superbia, ma alla considerazione, dolorosa, ma necessaria, che il poeta scrive per prima cosa per sé. Quella di Camillo Sbarbaro non è stata dunque una vita a senso unico; fu un’esistenza segnata da lavori sopportati a fatica (le lezioni private, le traduzioni, l’ostracismo del fascismo), da lunghi momenti di avvilimento, quando non di depressione; tuttavia, non fu una vita priva di momenti appaganti, e, soprattutto, volutamente libera, in cui lo scrivere era una autentica passione che sosteneva il poeta.

Il volume di De Nicola, però, ci presenta anche il privato di Sbarbaro: in particolare, l’amore per la natura, per i lunghi vagabondaggi solitari, e la passione per i licheni, di cui lo scrittore era uno dei massimi esperti europei, avendo scoperto varie specie non catalogate; raccolte cedute a vari musei e collezionisti, che gli consentirono di racimolare, di volta in volta, somme discrete: un altro segno, se mai ce ne fosse bisogno, dell’anticonformismo di Sbarbaro.

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