Nel grave contesto storico che stiamo vivendo, gravido di rischi per l’umanità intera, il testo di padre Antonio Spadaro, L’atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale (Marsilio, 2023), costituisce un importante aiuto a leggere l’attuale realtà, ribollente e caotica, con uno sguardo diverso. Il direttore della rivista La Civiltà Cattolica ci introduce in una diplomazia non convergente con quella del mondo: la diplomazia della misericordia. Nel nostro tempo, in cui si sente il fragore del fiume della miseria umana generato da conflitti terribili, muri, schiavismo, sfruttamento dei poveri e discriminazioni di ogni genere, entra in scena un fattore nuovo e inedito.



La misericordia non è inquadrabile all’interno di una categoria teopolitica già conosciuta e nota. Non è riducibile neanche all’umanitarismo o alla tolleranza capace di rispettare equilibri intelligenti. Essa va esplorata, infatti, nel suo accadere come possibilità di “non considerare mai niente e nessuno ‘perduto’ nei rapporti tra nazioni, popoli, stati”. La misericordia si traduce, anche, in un capovolgimento del metodo finora usato: si guarda il mondo dalle periferie e non dal centro. Da qui, la particolare attenzione del Papa per i conflitti dimenticati e per i popoli inesistenti per la grande politica. Ecco, perciò, i viaggi e l’impegno a favore del Sud Sudan, della Repubblica Centrafricana e del Congo o i continui richiami a sostegno dei Rohingya.



Tali interventi pubblici rappresentano un autentico ribaltamento della prospettiva del potere e sono fatti con parole di fuoco: “Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. È tragico che questi luoghi, e più in generale il Continente africano, soffrano ancora varie forme di sfruttamento. Dopo quello politico, si è scatenato infatti un ‘colonialismo economico’, altrettanto schiavizzante”.

Nell’azione di Papa Francesco si riconoscono, poi, dei princìpi diversi rispetto a quelli usati dai potenti del nostro tempo: l’unità della famiglia umana viene prima del conflitto e la totalità è superiore alla parte. Per tale motivo, nell’incontro con l’imam di al-Azhar, al-Tayyib, il Papa ha affermato che non c’è alternativa: “o la civiltà dell’incontro o l’inciviltà dello scontro”. Nella sua visione profetica, il dialogo drammaticamente cercato anche attraverso l’impossibile e pure, nelle situazioni di evidente chiusura ideologica, non è mai relativismo né semplice pacifismo o resa alla comodità. Esso è sempre ordinato al bene supremo dei popoli e di ognuno: la salvezza.



“Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare con il diavolo in persona” (Allocuzione di Pio XI al Collegio di Mondragone, 14 Maggio 1929). Proprio perché animata dalla preoccupazione per il destino storico ed eterno di tutti, l’azione del Papa è volta a farsi intendere da tutti i contendenti, anche quelli che esercitano un ruolo negativo. In questo compito, non colto nella sua eccezionalità, l’azione di Francesco mostra la sua diversità da quella, pur nobile, del segretario dell’Onu, come sottolineato da Manconi.

Ma quali sono le basi culturali dell’azione di Francesco? Innanzitutto, il Vangelo vissuto e meditato, mai riducibile a teologia della prosperità, eccezionalismo o altare condiscendente al trono. La pietas proposta non è mai sottomessa alla potestas. In Francesco, poi, si possono notare le presenze di diverse grandi personalità amate, studiate e fatte proprie: Francesco d’Assisi, Magellano, Ignazio di Loyola, Pietro Favre, Dostoevskij. Ognuno di essi ha portato a un cambiamento di rotta e una nuova navigazione dell’umanità da riattualizzare, ora. La predilezione per gli ultimi derivata dal Dio diventato ultimo (S. Francesco), il desiderio di portare fino in fondo la propria missione superando le regole mondane (si veda il Magellano immortalato da Zweig), la conversione e il passaggio da soldato in guerra a milite cristiano (Ignazio), la preghiera non ristretta ai propri ma allargata a tutti (Favre): parole vive dentro un fiotto di vita nuova.

Forse Pietro Favre, tra tutti, ci accompagna a capire un po’ di più l’azione politica di Papa Francesco. Nel suo diario spirituale, il gesuita, canonizzato recentemente, racconta di avere pregato in un giorno per otto personaggi storici del suo tempo “senza pensare ai loro difetti. Erano il Sommo Pontefice, l’Imperatore, il re di Francia, il re d’Inghilterra, Lutero, il Turco, Buccero e Filippo Melantone” (Memorie Spirituali, n 25, 19 novembre 1541). Autorità spirituali e temporali, amici, nemici, scismatici ed eretici: tutti nello stesso cuore, nessuno escluso.

In quest’ottica, sconosciuta al mondo, si comprende forse un po’ di più l’azione del Papa, che si muove per evitare una nefasta terza guerra mondiale, non cercando di eliminare il male ma di neutralizzarlo. E d’altro canto, già durante la crisi siriana, con la sua grande preghiera per la pace aveva sottolineato l’avanzare pericoloso di “una terza guerra mondiale a pezzi”.

Padre Spadaro, a tal proposito, riguardo alla tragica guerra in corso causata dall’invasione russa dell’Ucraina, ricorda che Fiona Hill, consigliera strategica di diversi presidenti Usa, nel fatidico 2008 al vertice di Bucarest cercò di dissuadere i responsabili “dall’includere nell’alleanza militare Georgia e Ucraina, scatenando l’ira di Cheney e la reazione contrariata di Bush”. Sottolinea così la prevedibilità di un potenziale disastroso conflitto, di cui aveva parlato anche Huntington nel suo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il gesuita cita, poi, a rinforzo della tesi, la critica di Giuliano Amato alla diplomazia muscolare di Bush, i cui si esiti sono tristemente visibili nell’Iraq attuale.

Bisogna ricordare tuttavia, in ordine all’Ucraina, che in passato si era sottoposta al disarmo atomico proprio per rassicurare la Russia. E d’altro canto, nell’imperialismo russo, vi è un uso della religione come instrumentum regni, evidenziato dallo stesso presidente Putin allo stadio Luzhniki di Mosca il 18 marzo 2022, data in cui si ricordavano contemporaneamente l’annessione della Crimea e la nascita dell’ammiraglio Ušakov, guerriero, poi diventato santo.  Perciò, per l’uso strumentale della religione, Francesco ha detto a Kirill che “la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”.

E il linguaggio di Gesù è quella della misericordia come giudizio. Papa Francesco ha, perciò, non solo consacrato Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, ma ha parlato di “inaccettabile aggressione armata”, “violenta aggressione contro l’Ucraina”, “guerra ripugnante”, “massacro insensato”, “barbarie”, “atto sacrilego”, “schema di Caino”, e ha detto, recentemente: “Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza? Egli è Dio della pace”, ecc. Nella Lettera al popolo ucraino del 24 novembre 2022 ha poi ricordato la resistenza di un popolo nobile e fiero, i cui giovani per difendere coraggiosamente la loro patria hanno dovuto mettere mano alle armi.

La diplomazia di Francesco nella sua azione, perciò, ricorda molto il Gesù de I fratelli Karamazov di Dostoevskij. È disponibile a tutto per tutti per la salvezza, anche a diventare nuovamente ostaggio. Ma cosa accade quando il Grande Inquisitore vuole sottomettere, definitivamente, il popolo al suo potere mondano di falsificazione del bene? Riceve un bacio da un Gesù che non risponde alle sue accuse, restando silenzioso. E il suo bacio misericordioso, giudizio ultimo su una posizione ostinatamente catastrofica, fa tremare gli angoli delle labbra del vecchio inquisitore.

La misericordia, insomma, fa tremare. È un tentativo abissale da non trascurare e da non lasciare cadere nel vuoto, per non finire nel buio della notte.

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