“Je suis Charlie”: la ricordiamo tutti, questa orgogliosa dichiarazione. Cominciò a girare su internet e divenne ben presto il motto di chi voleva dichiarare la sua vicinanza e tributare onore alle vittime dell’attacco islamista del 7 gennaio 2015 contro la rivista satirica francese Charlie Hebdo, colpevole di aver pubblicato delle vignette offensive sulla figura del Profeta.
Milioni di Charlie Hebdo scesero in piazza, in Francia e in tutta Europa, per far sentire a gran voce non solo la vicinanza ai morti, ai loro cari, a chi lavorava con loro, ma anche per proclamare la difesa della satira, della libertà, della laicità, della Francia, dell’Occidente.
A distanza di quasi sei anni, attraversati da un’ininterrotta striscia di sangue – i 130 morti di Parigi del novembre di quello stesso 2015, le 86 vittime del 14 luglio 2016, a Nizza, gli attacchi all’arma bianca del 2017, la strage ai mercatini di Natale del 2018 a Strasburgo – Charlie Hebdo è tornata a far parlare, tragicamente, di sé: il primo settembre, infatti, ha avuto inizio il processo nei confronti dei 14 imputati per la strage del 2015 e il settimanale ha deciso di ripubblicare, in tale data, le vignette sul Profeta Maometto che avevano causato l’ira di Al Qaeda e dei gruppi jihadisti internazionali.
Puntuali sono arrivate le nuove vendette: un attacco a colpi di mannaia sotto la vecchia sede del giornale, la terribile decapitazione del professore Samuel Paty e, qualche giorno fa, lo sgozzamento di tre persone che partecipavano ai riti religiosi nella cattedrale di Notre Dame di Nizza.
È cosa che sorprende, quest’ultima. Nella logica sanguinaria della vendetta contro Charlie Hebdo, la scelta degli obiettivi dei primi due attacchi appariva chiara: al numero 6 di rue Nicolas Appert la redazione del giornale non c’era più da tempo, ma questo il diciottenne Ali H. neanche lo sapeva e ha assalito, ferendole gravemente, due persone che si trovavano lì. Quanto al professor Paty, la sua colpa è stata quella di aver parlato in classe di libertà di espressione, mostrando proprio le pagine della rivista.
Ma Notre Dame? Che c’entra una cattedrale cristiana con Charlie Hebdo, le cui pagine hanno espresso spesso un anticattolicesimo feroce e irridente, di cui hanno fatto le spese Papa, cardinali e credenti tutti? L’arabo ventunenne autore della strage ha sbagliato obiettivo?
Davvero difficile crederlo. È più facile pensare, piuttosto, che, colpendo una chiesa e il cristianesimo, la violenza estremistica abbia voluto colpire ciò che individua come fondamenti – fondamenti, per l’appunto, cristiani – dei pilastri della Francia e dell’Europa: l’insopprimibile dignità della persona, la libertà, il rispetto per l’altro.
Su questi sacri fondamenti poggia pure l’esistenza dissacrante di Charlie Hebdo, la sua possibilità di andare in edicola, di dire, di maledire.
Ma questo, Charlie, probabilmente non lo sa.