All’inizio degli anni settanta del secolo scorso, guidavo una missione della Banca Mondiale in Malesia. Sei settimane. Tempo lungo anche se, con i colleghi ho visitato gran parte del Paese poiché si valutava un progetto nazionale: introdurre la televisione nelle scuole (soprattutto in quelle rurali) per integrare quello che potevano fare i poveri insegnanti spesso poco addestrati. A Kuala Lumpur, dopo una giornata di incontri con le controparti e di lavoro, si andava al cinema. Lì vidi The Music Lovers (1971) di Ken Russell sulla vita ed i tormenti di Čajkovskij (soprattutto il suo matrimonio e la crisi che portò alla sua morte, secondo molti storici non in seguito ad un’epidemia di colera ma per suicidio impostogli dai suoi commilitoni per evitare uno scandalo).
Il film non poteva non tornarmi alla mente alla lettura di un libro uscito in questi giorni e che raccomando a tutti gli appassionati di Čajkovskij: Lettere da Sanremo (1877-1878) a cura di Marina Moretti con introduzione di Valerij Sokolov (Zecchini Editore, € 27). Le Lettere da Sanremo sono molto più eloquenti del film di Ken Russell. In effetti rivelano lo stato d’animo, i dubbi, i tormenti e le sofferenze più intime del compositore in modo molto eloquente.
Čajkovskij era giunto nella località ligure con uno dei suoi fratelli ed un cameriere nel corso di un lungo viaggio in Europa. Si fermò alla Pensione Joly pensando di soggiornarvi pochi giorni, ma il clima era piacevole, l’ambiente simpatico. Finì così per restarvi più di un anno e portare a termine uno dei suoi capolavori, Evgenij Onegin. Il volume curato da Marina Moretti riporta i dettagli del soggiorno dal dicembre 1877 al febbraio 1878. Aspetti senza dubbio interessanti ed utilissimi ad assaporare quale fosse la vita di un piccolo gruppo di émigrés (non c’erano solo i Čajkovskij ma anche altri russi ed altri stranieri provenienti da diversi Paesi europei) nella cittadina ligure di quegli anni. L’interesse principale del libro è nella corrispondenza. Allora non c’era telefono, non c’era internet e si usava dedicare una parte della giornata a scrivere ed ad andare alla posta a ritirare lettere in arrivo.
Molto illuminanti le lettere alla Baronessa von Meck. Vedova nel 1876, la donna si ritrovò un’immensa fortuna e – intelligente, pur se dispotica – amante delle arti e della musica in particolare, prese a diventare uno di quei mecenati che la storia russa del tempo vide non di rado. La von Meck, buona dilettante, cercava all’epoca un giovane violinista che potesse accompagnarla nel repertorio per solista e pianoforte. Tramite Nikolaj G. Rubinštejn la scelta cadde su Iosif Iosifovič Kotek, che aveva allora ventun anni, allievo di Čajkovskij ed anche – a suo tempo – uno degli amanti del musicista. Kotek fu il tipico “rappresentante” del giovane maschio che faceva perdere la testa al musicista e i documenti danno certamente ragione ai biografi come Poznansky, che insistono per un Čajkovskij, se non proprio orgoglioso della sua omosessualità o comunque sereno sulla propria condizione, rivelando altresì tratti del carattere balzano a dir poco dell’uomo.
Fu così che il nome del compositore venne fatto per un incarico lautamente ricompensato. La prima lettera della donna al musicista è del 30 dicembre 1876: «La prego di credere che con la sua musica la mia vita è davvero diventata più facile e piacevole». La risposta non si fece attendere ed arrivò il giorno dopo. È l’inizio di un rapporto particolarissimo, fatto di detto e non detto tra i due, di una dipendenza spirituale reciproca, analizzata ormai sin troppo dai biografi e pur tuttavia carica di fascino. La von Meck fu una delle tre donne importanti nella vita di Čajkovskij, assieme alla madre e alla sorella Aleksandra.
La von Meck divenne la principale finanziatrice del compositore, cui elargiva di frequente grosse somme di denaro ed un regolare mensile. La cosa avveniva all’insegna di un autentico mecenatismo. Il musicista, dal canto suo, non si fece invero molti scrupoli nell’accettare e ricorrere sovente alla generosità della Baronessa. Questo sostegno economico, al quale la von Meck si riteneva come obbligata tanto dalla propria posizione sociale quanto dal trasporto affettivo verso il musicista, consentì a Čajkovskij di abbandonare la cattedra al Conservatorio, per dedicarsi a tempo pieno alla composizione. La donna fu anche una confidente privilegiata del musicista e la persona con cui intrattenne una fittissima corrispondenza: si scrivevano praticamente ogni giorno e anche più volte al giorno. Le lettere di Čajkovskij alla Baronessa da Sanremo, da un lato, sono espressioni di gratitudine per il supporto che da lei riceveva e, da un altro, mostrano la fragilità intima del compositore celata spesso da un velo di orgoglio. Proprio come Onegin, il protagonista dell’opera a cui stava lavorando.
Tale fragilità è meno palese nelle lettere alla famiglia (la sorella Aleksandra ed il fratello Anatolij, segno di quanto importante fosse il legame con la von Meck anche se solo epistolare.
Di interesse specialmente per gli studiosi di storia della musica le lettere a Rubinstein, Taneev, Jurgenson e Albrecht.
In breve, un libro non solo per chi ama Čajkovskij ma per tutti coloro che vogliono saperne di più su esponenti del mondo musicale russo di fine Ottocento.