Dice Rocco Schiavone che l’omicidio su cui indagare è la rottura di c…., ehm, di scatole, di massimo livello, nella sua personalissima scala valutativa. Ebbene, immaginate come potrebbe qualificare un cold case: infatti, nell’ultimo romanzo della fortunatissima serie dedicata al vicequestore più romano di Aosta (anche perché ce n’è uno solo), Le ossa parlano (Sellerio, 2022) Antonio Manzini fa indagare il suo protagonista sul caso di alcune ossa umane rinvenute casualmente in un bosco da un medico durante quella che avrebbe dovuto essere una tranquilla passeggiata.



Di chi sono quelle ossa? Ben presto la macchina investigativa si attiva, e si riesce ad appurare che si tratta dei resti di un bambino, di non più di dieci anni. E grazie alla perizia di Michela Gambino, sempre più geniale, ma anche più squinternata e accanitamente seguace delle teorie complottiste più allucinanti, di Alberto Fumagalli, l’anatomopatologo, e degli specialisti chiamati a indagare sul luogo del macabro rinvenimento, quelle povere ossa hanno anche un nome: appartengono a un bambino, Mirko Sensini, sparito dopo essere uscito da scuola sei anni prima a Ivrea. Fondamentale, per identificarlo, oltre a una vecchia frattura, è anche quel che resta del suo abbigliamento: perché Mirko era un grandissimo fan di Capitan America, e in una tasca dei suoi jeans viene trovata una catenella d’oro cui era attaccata una spilletta dell’eroe Marvel. Almeno, così la madre del bambino può sapere che fine abbia fatto suo figlio.



L’analisi delle ossa fa pensare che il bambino sia stato strangolato, e si profila l’ipotesi del rapimento e della violenza, con ogni probabilità da parte di un pedofilo. Rocco Schiavone e la sua squadra devono quindi immergersi nel mondo limaccioso, viscido e insidioso del dark web, aiutati in questo da Carlo, un autentico genio dell’informatica, figlio di Eugenia, la compagna di Casella. E mentre l’indagine procede, scavando nel passato, rimestando fatti oscuri risalenti ad anni prima, attorno a Rocco la vita va avanti, e tutto cambia: Deruta e Federico sono sempre più uniti, e addirittura il suo agente trova il coraggio e lo spirito d’iniziativa per organizzare una piccola mostra dei suoi quadri; Casella, finalmente, si sente felice con Eugenia; persino Lupa sta per avere i cuccioli, dopo un incontro ravvicinato con il lupo cecoslovacco di Federico.



Solo Rocco sembra ancora, accanitamente, dolorosamente, ancorato al passato, ai ricordi del suo matrimonio, al fantasma di Marina, l’amatissima moglie morta (per chi non lo avesse ancora fatto: leggere assolutamente 7-7-2007), che rappresenta il suo solo punto fermo: e anche se, nelle prime sequenze del romanzo, Rocco conclude la vendita della sua casa romana, è sempre a quegli anni, a quel nucleo irriducibile e non replicabile di felicità che torna col pensiero e con il cuore. Per cui la storia, lasciata in sospeso nel precedente romanzo, con Sandra Bucellato, la bella giornalista sinceramente innamorata dello scorbutico vicequestore, resta ancora tristemente senza sbocco, e anzi è Rocco stesso a dimostrarsi intenzionato a lasciarla spegnersi per inedia. 

Al contempo, il passato torna a bussare alla porta nella persona di Caterina Rispoli, la giovane collega con cui Rocco aveva trovato una sintonia particolare, e che poi aveva scoperto essere arrivata ad Aosta con l’incarico di tenere d’occhio, ovvero di spiare, Rocco. Adesso Caterina torna ad Aosta, questa volta aggregata a un nucleo operativo focalizzato sulle violenze contro le donne. Nel frattempo, Rocco sembra trovare una buona sintonia con Antonio Scipioni (il fidanzato seriale di una delle avventure precedenti), che ha rimpiazzato, come suo braccio destro in questura, Pierron. Quest’ultimo, nonostante le raccomandazioni e le premure di Rocco, non ha affatto smesso con il gioco d’azzardo e le partite di poker truccate, e presto ne pagherà le conseguenze, per giunta molto pesantemente.

Mentre l’indagine procede, Rocco si sente sempre più travolto dall’amarezza e dallo schifo, via via che emergono particolari terribili e dolorosi; ma, come ha promesso di fare, riuscirà ad acciuffare il colpevole. Quello del vicequestore è un lavoro paziente, come la composizione di un puzzle, in cui alcuni minimi dettagli, così apparentemente sfuggenti, come spesso accade, solo nel finale andranno al loro posto e acquisiranno tutto il loro significato: perché il male non è solo banale, ma anche molto più vicino di quanto non si pensi.

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