Siamo in Albania, dicembre 1990. Una bambina di 10 anni, tornando a casa da scuola, si imbatte per la prima volta in una manifestazione di protesta che urlando scandisce gli slogan “libertà”, “democrazia”. Spaventata, comincia a correre, si rifugia presso la statua di Stalin e l’abbraccia, prima di accorgersi che la testa di Stalin è stata appena staccata dai manifestanti.
Da qui comincia la narrazione autobiografica di Lea Ypi che attualmente vive e lavora felicemente in Gran Bretagna. È impressionante il racconto della sua vita di bambina nata sotto il regime comunista imposto nel Paese da Enver Hoxha nel 1946, regime caratterizzato da un’estrema povertà generale nonché dall’isolamento pressoché totale rispetto ad altri Paesi, comunisti e non.



Il consenso alla dittatura è totale, l’indottrinamento continuo e pressante, nel caso della nostra protagonista il veicolo principale è la maestra, che spiega con sicurezza ciò che accade, dimostra la coerenza della politica con l’ideologia che le sta dietro e riesce a rispondere a tutte le domande dei suoi allievi, inculcando loro stima e affetto nello “zio Enver” – così affettuosamente chiamano il capo dello Stato.



Meno fervorosa è la famiglia di Lea: nel dialogo in casa a volte ci sono dei sottintesi, dei silenzi su certi argomenti di cui la piccola non capisce le ragioni. Quando lei chiede una cornice per la foto dello zio Enver da collocare in bella vista, nessuno rifiuta la sua richiesta ma le viene risposto che ci vuole una cornice veramente bella e preziosa e che per averla bisogna aspettare.

Lea è – così si definisce lei stessa – un “prodotto dello Stato”, non sa che la sua famiglia paterna è una grande famiglia nobile dell’impero ottomano, di antica fede musulmana. Anche se le tre antiche fedi presenti nel Paese (il cattolicesimo, l’ortodossia, l’islam) non contano più, infatti già nel 1967 Hoxha ha dichiarato trionfalmente che l’Albania è il primo Paese al mondo dove vige l’ateismo di Stato. L’articolo 37 della Costituzione recita: “Lo Stato non riconosce alcuna religione e supporta la propaganda atea per inculcare alle persone la visione scientifico-materialistica del mondo”.



La bambina non sa che quando i grandi parlano di amici appena laureati si riferiscono in realtà a dissidenti che tornano a casa dopo anni di detenzione. Lea sa che esiste la Coca-Cola solo perché nel mercato nero si trovano delle lattine vuote, che diventano preziosi soprammobili nelle case. Ha una nonna elegante, intellettuale e francofona, che rappresenta per lei la figura più affettuosa ed equilibratrice, a cui Lea dedica questo libro, Libera. Diventare grandi alla fine della storia (Feltrinelli, 2022). Ha un padre vagamente sessantottino e una madre thatcheriana ultraliberista. Ma da quel famoso giorno di dicembre il mondo attorno a lei e dentro di lei inizia a crollare.

La rivoluzione è più rapida di quanto si potesse immaginare, il regime che per quasi mezzo secolo ha dominato con le sue menzogne ma almeno offrendo alla gente delle speranze, ancorché false, si disfa in un baleno. Ramiz Alia, succeduto a Hoxha, inaugura un nuovo corso politico-economico consentendo nel 1991 le prime elezioni libere nella storia del Paese. L’Albania comunque subisce un trauma brutale. Il progetto di costruzione di una società giusta si è rivelato utopico ed è degenerato nella dittatura, la fine della dittatura non corrisponde però alla libertà e questo lo si vede nell’immediato come negli anni futuri.

Il posto lasciato vacante dalla “morale” implacabile del comunismo ha prodotto un vuoto che viene colmato da una rabbia materialista e da una corruzione senza precedenti, si scatenano ipocrisia e cinismo, mentre si verificano esodi di massa verso la Grecia e l’Italia, paesi che attirano col miraggio del benessere migliaia di persone in fuga dalla miseria. A tale miraggio non si sottrae neppure la mamma di Lea che all’improvviso, senza avvisare nessuno, salpa verso l’Italia col figlio più piccolo…

Lea Ypi cresce attraversando questo tempo di rivoluzioni e di grande generale disorientamento. “Prima ero una certa persona, e adesso era diventata un’altra”, scrive.

L’anno cruciale per lei, ormai adolescente, è il 1997, l’anno della tremenda guerra civile. Il padre ha perso il lavoro, ne ha trovato un altro in cui però deve fare – con sua grande sofferenza – il tagliatore di teste, la nonna si dedica con soddisfazione ad insegnare lingue straniere. Lea pensa di farsi induista, arriva ad accarezzare l’idea del suicidio. Alla fine riesce a concludere i suoi studi superando un esame truccato.

Al momento della decisione circa gli studi futuri, quando Lea annuncia ai suoi di volersi dedicare alla filosofia, viene aspramente contestata dal papà. Per lui la filosofia è Marx, coincide con la storia del Partito che ha dominato nel suo paese: è stato proprio il marxismo a rovinare la vita della sua famiglia e non solo. Lea invece vuole capire, sta cercando un senso a “questa cosa chiamata storia, una sequenza più o meno caotica di personaggi ed eventi”, desidera trovare la possibilità di imparare dal passato senza per questo cercare di giustificarlo.
Ed è così che Lea Ypi diventa una grande esperta di marxismo, fa ricerca e insegna nelle maggiori università del mondo. Attualmente è docente di filosofia politica alla London School of Economics.

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