È fresco di stampa il volume di Hans Urs von Balthasar, “L’eros redento. Scritti su Paul Claudel tra teatro, poesia e teologia”, a cura di Danilo Zardin (Eupress FTL-Cantagalli, Lugano-Siena, 2021). Per gentile concessione degli editori anticipiamo un estratto della prefazione di Elio Guerriero.

Fu il padre Henri de Lubac a favorire l’incontro di Hans Urs von Balthasar con Paul Claudel ai tempi dello studio della teologia (1933-1936) a Fourvière, la collina sopra Lione dove all’epoca aveva sede lo studentato teologico dei gesuiti in Francia. Dopo il suo pensionamento nel 1935 il diplomatico, che aveva girato il mondo, prese dimora nel castello di Brangues nel territorio di Isère a un centinaio di chilometri da Grenoble e di lì cominciò a salire a Lione per l’amicizia con il vescovo della città, il cardinale Pierre Gerlier, e con il padre de Lubac, l’autore di Catholicisme e di Surnaturel. In una delle visite di Claudel al suo confratello von Balthasar ebbe, dunque, modo di incontrare il poeta e drammaturgo e ne rimase letteralmente folgorato. Mise, quindi, mano alla traduzione delle principali opere del poeta francese in lingua tedesca e già nel 1939, quando a Basilea si sentiva ormai il rombo dei cannoni proveniente dal vicino confine francese, egli era in grado di pubblicare le due opere maggiori di Claudel in edizione tedesca: le Cinque grandi odi presso Herder, La scarpetta di raso presso Otto Müller di Salisburgo. Né il lavorìo attorno all’opera di Claudel si fermava allo scoppio della guerra. Al contrario egli tradusse per ben cinque volte La scarpetta di raso e nel 1944 ne favorì la messa in scena a Zurigo, che era all’epoca, secondo la testimonianza di Peter Henrici, la migliore piazza teatrale in lingua tedesca per la presenza di numerosi profughi dalla Francia e dalla stessa Germania.



Resta ora da interrogarsi sul motivo di tanto interesse da parte del teologo di Gloria verso un’opera che nella forma appare assai lontana dalla sua. Con de Lubac, Claudel condivideva la convinzione della presenza nella natura di un anelito soprannaturale che solo in Dio trova adempimento pieno e gratuito. Qui trovava per Claudel fondamento e soluzione il nodo inestricabile della sua vita come dell’intera esistenza umana. Chiamato al servizio della Francia amata, proprio per l’amore al suo paese era diventato un esule, costretto a vivere in solitudine, in terre lontane prima in Oriente, poi in America Latina.



La lontananza aveva certo senso per il servizio reso al proprio paese, restava tuttavia il rammarico per l’impossibilità di tenere unite presenza al suo paese e distanza per il servizio. Era l’esperienza dell’esilio cui era stato costretto un altro esule illustre, Dante, il primo cristiano che non rinnega l’amore terreno nel suo itinerario verso Dio. Egli poneva così il principio: “Il cristiano per amore dell’amore infinito non ha bisogno di buttar via un amore finito, ma lo può positivamente assumere e inserire in quello infinito”.

Proseguendo in questa linea, nella terra dell’esilio Claudel riusciva anche a cogliere il positivo di un amore che è nello stesso tempo valorizzazione della diversità, ricchezza della complementarietà. In una parola, la complementarietà di tutte le creature come eros e sinfonia della finitezza in cui tutto trova la sua giusta collocazione e niente può essere sottratto alla pienezza.



Come il teologo de Lubac dallo studio dei Padri era indotto a rifiutare ogni soluzione meramente naturale, anche Claudel dall’esperienza della lontananza e della solitudine era costretto a volgere lo sguardo verso l’alto. Ne traeva la conclusione che tutti gli esseri derivano dalla stessa fonte primigenia della creazione divina, di modo che ognuno è debitore a Dio del proprio essere. Di qui egli derivava anche l’essenziale comunione tra le creature, una complementarietà capace, nonostante tutte le apparenze contrarie, di superare e tenere unite distanza e vicinanza, assenza e presenza. Di qui, per von Balthasar, la cattolicità del poeta francese capace di tenere uniti nel proprio teatro la realtà mondano-cosmica e il mondo spirituale con una passionalità che a nulla vuole rinunciare. Con altra espressione von Balthasar parla di fedeltà al mondo perché questa è la realtà a noi donata, una realtà nella quale sono presenti e salvati, come sosteneva lo stesso Claudel, etiam peccata, anche i peccati e la confusione degli uomini. Di qui anche la conoscenza e l’amore per cui ogni uomo diventa estatico, chiamato ad uscire da se stesso per trovare realizzazione nel dialogo con l’altro.

Scrive von Balthasar all’inizio della postfazione alla sua edizione delle Cinque grandi odi di Claudel in edizione tedesca: “La grandezza ed unicità di Claudel consiste nel fatto che egli ha collegato e mescolato tra loro in sempre nuove variazioni in drammi, poesie e trattazioni con identica passione e drammaticità due motivi tra loro apparentemente opposti e inconciliabili: il tema della disperata e dolorosa solitudine e quello dell’unione, della totalità e beatitudine finale dell’essere”.

L’altra intuizione claudeliana destinata a riconoscimento e svolgimento nell’opera di von Balthasar è la comunione e solidarietà tra gli uomini, fra di loro fratelli davanti a Dio. Nell’opera di Claudel essa si presenta in forma drammatica nella famosa scena iniziale della Scarpetta di raso quando un missionario gesuita, unico superstite di un naufragio a metà strada tra vecchio e nuovo mondo, è avvinto a un legno come a una croce che, però, non è fissato a nulla. Secondo ogni verosimiglianza, egli andrà presto incontro alla morte come son già morte le suore che l’accompagnavano. Egli si rende ben conto che presto sarà riassorbito “nell’opera indivisibile fatta dal Signore nella quale io sono strettamente amalgamato… nel mare messo a mia disposizione”. Trova, tuttavia, ancora la forza per recitare l’ultima preghiera dell’ultima sua Messa: “Mio Dio, ti prego per mio fratello Rodrigo! Mio Dio, ti supplico per mio figlio Rodrigo!”. Nella fede l’amore fraterno è diventato, dunque, un amore paterno, un amore divenuto spirituale che ha portato il Gesuita a generare quel figlio che in quanto sacerdote legato dai voti egli non aveva avuto sulla terra. Di qui un ulteriore passaggio che ha rilevanza ancora maggiore nel capolavoro di Claudel. Oltre che con il martirio del fratello gesuita, la salvezza di Rodrigo è legata con la vicenda di doña Prouhèze, profondamente innamorata di Rodrigo, ma proprio per il suo amore chiamata a un matrimonio sostitutivo perché la vocazione dell’antico conquistatore possa giungere a pienezza, possa generare un’agape privata degli elementi troppo umani ed avviata verso una discesa d’amore sul modello della discesa agli inferi di Gesù. A questo punto l’interesse culturale-spirituale di von Balthasar per Claudel veniva ad incrociarsi con un elemento biografico preponderante nella sua vita.

All’inizio del 1940, per disposizione dei superiori, egli si trasferì a Basilea con il compito di assistere gli studenti cattolici presso l’università della città renana. Per l’intensa e intelligente attività, la sua presenza si impose presto nei circoli culturali cittadini. Di lui si interessò anche la dottoressa Adrienne von Speyr che, dopo un infarto, chiese a un amico comune di incontrare l’assistente degli universitari cattolici che tanto faceva parlare di sé. L’incontro si svolse verso la fine del 1940 su una terrazza del Reno. Il gesuita parlò alla dottoressa di Claudel e Péguy, i due autori francesi che stava allora traducendo, la dottoressa lo mise al corrente delle sue difficoltà in campo religioso. Fu l’inizio di una serie di conversazioni in seguito alle quali la von Speyr, educata nel protestantesimo liberale, decise di passare al cattolicesimo e quasi subito dopo questa svolta ricevette una serie di grazie mistiche. Erano grazie di preghiera, grazie di visioni della Vergine e dei santi. Soprattutto, nel triduo pasquale, il dono di partecipare ogni anno alle sofferenze di Gesù durante la passione. Von Balthasar, che non ebbe dubbio alcuno sull’autenticità di queste grazie, si convinse allora di avere un compito da svolgere insieme con la von Speyr.

Una tale intensa collaborazione, però, si scontrava con i precedenti impegni dei due: lei sposata già in seconde nozze con un professore della locale università ben conosciuto in città, lui sacerdote e religioso con i voti cui peraltro non voleva affatto rinunciare. Era una situazione che presentava più di una assonanza con la già ricordata vocazione di doña Prohuèze e don Rodrigo, i protagonisti della Scarpetta di raso. Chiamati a un compito comune i due dovevano, tuttavia, mantenere la distanza, anzi Prouhèze doveva affrontare un matrimonio che era solo la necessaria copertura della sua vocazione con Rodrigo. Nel coacervo di passioni umane attraverso le quali nel capolavoro claudeliano si realizza l’opera mirabile di Dio, Balthasar e Adrienne trovavano così un sostegno alla loro straordinaria vocazione tanto importante da indurre Adrienne al già ricordato cambiamento di confessione religiosa, von Balthasar ad abbandonare la Compagnia di Gesù “che mi è cara sopra ogni cosa”.

La collaborazione tra la mistica e il teologo portò a due frutti rilevanti, uno in campo letterario, l’altro in quello ecclesiale. La collaborazione nel campo letterario si svolse attraverso “i dettati” con i quali la mistica comunicava il contenuto delle sue rivelazioni. Da questi dettati il teologo ricavò una serie di volumi a firma della von Speyr, ma trasse ispirazione anche per sue opere tra le quali Abbattere i bastioni e Solo l’amore è credibile in cui si avvertiva ugualmente l’eco di alcune tematiche claudeliane. Bisognava abbattere le barriere edificate dalla Chiesa nel corso dei secoli per rendere manifesto il seme infuocato di Dio nel cuore dell’uomo e del mondo. Solo questa testimonianza inerme dell’amore aveva qualche possibilità di essere compresa e seguita nel nostro tempo. Sul versante ecclesiale la collaborazione tra Von Balthasar e Adrienne portò alla fondazione della comunità di san Giovanni. Questa mira a raccogliere in piccole comunità dei gruppi di ragazze e ragazzi desiderosi di vivere in fedeltà e pienezza l’invito di Gesù a seguire i consigli evangelici. Qui l’influsso di Claudel si faceva sentire come esigenza di fedeltà e vicinanza al mondo, rifiutando l’antica fuga mundi che dai monaci si era trasmessa a tante forme di vita religiosa. Non si poteva fuggire dal mondo per il quale Cristo è morto, anzi proprio nel cuore del mondo il cristiano è chiamato a dare la sua testimonianza affidata non tanto alla parola, quanto a uno stile di vita improntato al Vangelo.

Di qui ancora l’attenzione di von Balthasar ai movimenti chiamati, secondo il titolo di un’opera non a caso scritta insieme con don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione, all’“impegno cristiano nel mondo”. Successivamente egli si accostò ancora una volta all’antico maestro quando dopo il concilio Vaticano II pubblicò una serie di piccoli volumi che erano una critica serrata allo Zeitgeist, lo spirito di adattamento al mondo. Scriveva in Cordula, il suo pamphlet più mordace e conosciuto: “Esaltare espressamente l’‘apertura al mondo’ dei cristiani è superfluo, perché essi stessi sono una parte del mondo e devono comportarsi semplicemente come chiunque altro. Soltanto che i cristiani sono anche qualcos’altro che non può essere inserito nel mondo. Portano infatti la testimonianza dell’amore sempre più grande di Dio”. E per questa testimonianza non possono escludere il martirio sull’esempio del Figlio di Dio che per noi si incarnò e si lasciò caricare di ogni genere di contumelie e di tormenti fino alla morte in croce. Nel frattempo il teologo aveva già messo mano alla trilogia di Gloria, Teodrammatica e Teologica cui è principalmente legato il suo nome. Vi sono delle assonanze del drammaturgo francese anche nell’opera maggiore del teologo a conferma di un legame rimasto saldo negli anni. Il suo tratto originale e distintivo, tuttavia, quello del divino ed eterno dramma d’amore trinitario in Dio, modello e preparazione dell’incarnazione e della discesa agli inferi del Figlio, deriva dalla collaborazione con la von Speyr e dallo sviluppo geniale che von Balthasar impresse al dramma divino-umano del Figlio all’origine di bellezza, bontà e verità create.

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