Centosettant’anni fa si spegneva a Istanbul un personaggio forse poco noto in Occidente: Leyla Saz hanimefendi (1850-1936). Eppure questa donna, intellettuale e aristocratica (hanimefendi corrisponde all’inglese lady), ha attraversato la sua epoca, quella del declinante Impero ottomano e poi della prima repubblica di Kemal Atatürk, segnandola con un’importante presenza di musicista e poetessa, testimoniandola con un’accattivante opera di scrittrice, ove spicca soprattutto l’autobiografico Le harem imperial, pubblicato nel 1925 da Calmann-Lévy, poi riedito in inglese (The Imperial Harem of the Sultans) e in turco col titolo di Anilar (Memorie).
Leyla era nata a Costantinopoli (questo allora il nome più in uso) nel 1850 da Hekim Ismail Paşa, un greco di Izmir, medico di corte del sultano Mahmud II, poi di Abdü’l-Mecīd I. La madre, Nefise, era una tartara della Crimea, figlia di Küçük Aga, il corriere privato di Mahmud II.
La fulminea ascesa politica di Hekim Ismail Paşa – uomo coltissimo e viaggiatore infaticabile in Francia, Inghilterra e Italia – lo portò prima a organizzare il padiglione ottomano all’Esposizione universale di Londra nel 1851, quindi al titolo di Vizir. Nel 1854 la piccola Leyla venne presentata a corte e rimase nell’harem imperiale del Çirağan Palace di Costantinopoli per dieci anni, divenendo presto damigella d’onore di Münire Sultan, la quarta figlia di Abdü’l-Mecīd I. “In questo ambiente di raffinatezza, di eleganza, di incomparabile dovizia” – come scrive lei stessa – la figlia di Ismail Paşa ricevette un’educazione di livello altissimo, imparando il francese e il persiano, l’arabo e il greco, la storia e la letteratura, apprendendo uno stile di vita improntato al culto della bellezza. La musica in tutto questo aveva un ruolo essenziale, come istruzione e come fruizione.
I maestri di Leyla furono numerosi, sia per il repertorio ottomano che per quello occidentale. Per il primo avevano un ruolo d’indiscussa supremazia Rifat Bey (“il mio illustre maestro”) e il greco Nikogos Aga. Haci Arif Bey e Medeni Aziz Efendi erano i maestri di canto: l’uno di voce potente e di bellissimo aspetto, l’altro con modi eleganti e un timbro dolcemente malinconico, costituivano l’oggetto degli innamoramenti di tutto l’harem, giovani sultane in testa. Per il secondo la Saz cita soprattutto Durnigâr, pupillo di Giuseppe Donizetti Paşa, “eccellente pianista e primo violino nell’Orchestra imperiale. Leyla tuttavia studiò il pianoforte anche al di fuori dell’harem, con un’italiana residente sul Bosforo, Teresa Roma. I maestri di composizione furono invece interni, l’ungherese Kadri Bey e Ahmed Necib Paşa.
L’allieva divenne rapidamente una virtuosa, in grado di sostenere alcuni concerti nell’harem, anche a quattro mani con la sorella, di insegnare il pianoforte alle figlie del Sultano. E attenta a fissare occhi e memoria sulla vita musicale del serraglio, di cui riporta squarci densi di fascino e velati d’una pungente nostalgia (“là ho trascorso gli anni più felici della mia infanzia e della mia giovinezza”).
Straordinario fra gli altri, il tableau relativo ai festeggiamenti per la nascita del principe Vahideddin (poi Mehmet VI), con l’esibizione di due orchestre, quella maschile del Sultano e quella femminile dell’harem, che nel giardino del Çirağan Palace, nascosta dietro un velario leggero, eseguì brani di musica classica turca e pagine tratte dal Guillaume Tell e dalla Traviata, ottenendo un successo di cui si chiacchierò per giorni a Istanbul…
Dopo la morte di Abdü’l-Mecīd I nel 1861 e con l’avvento al trono della Sublime Porta del fratello Abdü’l Aziz, buon musicista lui stesso, Hekim Ismail Paşa venne nominato governatore di Creta, ove si trasferì con tutta la famiglia. La viaggiatrice inglese Anna Vivanti, nel celebre A Journey to Crete, Constantinople, Naples and Florence, riferisce il suo incontro con Leyla Saz nel 1865: “Anche se il padre era greco di nascita, la ragazza aveva il classico tipo turco. Non era alta e da noi sarebbe considerata appena pingue se questo non fosse un bon point indispensabile per la bellezza orientale. Il viso rotondo aveva un’espressione dolce e allegra, i grandi occhi neri sprizzavano intelligenza. […] Leyla si sedette al pianoforte e suonò con un tocco limpido ed elegante un ottimo arrangiamento di God save the Queen. Il padre le chiese poi alcune canzoni greche. Le parole erano per me incomprensibili, ma lei le cantava con una malinconia strana e attraente”.
Nel 1869 Leyla sposa uno degli intellettuali più in vista dell’impero: Selim Sirri Paşa, d’origine cretese, già avviato ad una brillante carriera di wali (governatore), scrittore, poeta, uomo profondamente spirituale. Leyla avrà da lui quattro figli (di cui uno, Mehmet Vedat, sarà uno dei massimi architetti della Turchia repubblicana) e lo seguirà in tutte le sedi di governatorato, allontanandosi per vent’anni da Costantinopoli. Quando Sirri Paşa, ormai al culmine della sua ascesa, verrà nominato wali a Baghdad, Leyla chiederà una dispensa al Sultano (ossia una sorta di divorzio) e nel 1889 tornerà nella sua villa nel quartiere di Bostanci, sul Mar di Marmara, facendone il salotto culturale più in vista di Istanbul: vi terrà concerti, vi scriverà musica e poesia, vi raccoglierà un archivio straordinario di testi e partiture. Conservando un rapporto privilegiato con l’harem imperiale e con gli stessi sultani, da cui sarà ricevuta e rispettata come forse nessuna donna del suo tempo in Turchia.
La rivoluzione dei Giovani turchi, la Grande Guerra e la fine della monarchia non ne appanneranno realmente mai l’immagine. Una sua marcia, la Akdeniz March, diventerà la preferita di Kemal Atatürk. E la modernizzazione dei costumi la porrà sempre più in contatto con la gente, sì che giornali e radio faranno a gara per intervistarla. Le interviste apparse sulla stampa francese confluiranno nel libro Anilar sopra citato. Di quelle radiofoniche impressiona ancor oggi la nobile calma dell’eloquio e il timbro caldo e scuro d’una voce che dovette essere contraltile. Circondata di figli, nipoti e pronipoti, Leyla Saz morirà a Istanbul il 5 dicembre del 1936.
Alla fine delle sue memorie Leyla Saz hanimefendi scriverà: “Oh, miei amati lettori, vi prego, siate indulgenti con la mia penna forse eccessiva. Eppure l’evocazione di questi miei diletti fantasmi ha come dato loro una vitalità nuova e piena di gioia. Questo mi ha incoraggiato a scrivere e a dipingere per voi immagini di sogno e – spero – a farvi divertire con un mondo che mi era tanto caro”. Sottoscriviamo, con deferenza, stima e simpatia.