L’invito a recuperare la centralità della dimensione comunitaria è all’ordine del giorno anche per reazione a quello che viene da molti giudicato un eccessivo individualismo della nostra epoca in nome di una concezione ridotta di libertà come sola libertà di scelta che non corrisponde alla reale esperienza dell’uomo (si veda, per esempio, il recente pamphlet di Andrea Riccardi, Rigenerare il futuro. Dall’io al noi, Morcelliana 2024).



Molti autori – da filosofi come Charles Taylor a sociologi come Mauro Magatti – trattano da tempo questo tema. Così pure oggi si parla più di qualche anno fa di denatalità e di disagio giovanile in Italia e in Europa, temi ancora difficili da trattare pubblicamente in molti ambienti senza rischiare di urtare qualcuno. Della denatalità hanno scritto autorevolmente tra gli altri A. Golini (Italiani poca gente, Luiss University Press 2019), A. Rosina e R. Impicciatore (Storia demografica d’Italia, Carocci 2022) e F. G. Billari (Domani è oggi. Costruire il futuro con le lenti della demografia, Egea 2023).



Questi temi, bisogno di comunità da un lato e denatalità e disagio giovanile dall’altro, seppur apparentemente distanti, hanno qualcosa in comune. Vediamo perché.

Come notato dai più autorevoli studiosi dell’argomento, il problema della crescente denatalità in Italia e più in genere in Europa, aggravato dall’altrettanto crescente allungamento della vita, con tutte le conseguenze economiche (pensioni) e umane in genere, non si può ormai risolvere facilmente e in breve tempo, nonostante gli auspicabili provvedimenti di aiuto alla natalità da parte dei Governi e gli appelli morali.



In un mondo in cui giustamente ciascuno vuole scegliere di impostare la sua vita come vuole, spesso di non avere figli, o di rimandare la scelta, non servono gli imperativi e poco gli incentivi economici. Occorre eventualmente capire per diretta esperienza che qualcosa può essere conveniente. Non lo sappiamo prima. Possono certo servire le esperienze del contesto comunitario sempre più rarefatto in cui si vive. Per esempio, a volte già ora si scopre o spesso si scoprirà tardi, a motivo anche dello scarto sussistente fra cultura e tempi biologici, che avere un figlio o più è conveniente per se stessi oltre che per la società nel suo complesso.

In Europa e soprattutto in Italia siamo destinati a vivere in una società contraddistinta dalla presenza di anziani sempre più avanti negli anni che avranno bisogno di assistenza e di compagnia umana anche per essere effettivamente liberi di scegliere se continuare a vivere. Crescerà sempre più il bisogno di trovare persone che siano responsabili sotto il profilo legale degli anziani non autosufficienti. Dovremo pure affrontare il disagio psicologico di giovani, figli di famiglie disagiate e spesso figli unici, sempre più isolati e bisognosi di socializzare.

Certo l’immigrazione regolata può essere indubbiamente una soluzione a questi problemi. Prolungare per chi vuole il periodo dell’attività lavorativa, ritardando il periodo della pensione, pure. Potremmo beneficiare del fatto che alcuni abbiano più figli del minimo necessario al ricambio generazionale per sopperire ai molti che non ne hanno o ne avranno solo uno, onde evitare un declino demografico troppo brusco. E perciò sarà necessario il contributo economico di tutti. Occorre comprendere che la presenza dei figli degli altri, immigrati o meno, è estremamente conveniente anche per chi figli non può o non vuole averne.

Non solo: ci vorrà più comunità per educare i tanti figli unici isolati nella grandi città. La persona o coppia senza figli potrà avere la soddisfazione di esercitare la paternità o maternità verso altri, a partire dai propri nipoti o dai figli di amici. Per esempio, una persona che non ha potuto o voluto avere figli può trarre molto vantaggio economico e umano dal fatto che altri, fratelli, parenti vari, amici, concittadini, immigrati li abbiano. Dovrebbe auspicarlo e concretamente favorirlo. Inoltre, il fenomeno migratorio, se regolato, può costituire in determinati casi, oltre che un aiuto sul piano demografico, economico e pratico in molte mansioni, un contributo al rafforzamento di certe virtù etiche e comunitarie tipiche delle società tradizionali; virtù riguardanti, per esempio, il senso del lavoro, della famiglia, della cura degli anziani, la fedeltà agli impegni presi anche in campo affettivo, virtù che in Occidente rischiano talora di perdersi proprio grazie al crescente benessere e all’accentuazione dei soli diritti individuali.

Rafforzare i legami comunitari con gli altri italiani, ma anche con gli immigrati, permette, così, di essere più liberi di attuarsi come singoli. Più libertà individuale, più comunità quindi. È nella logica stringente delle cose.

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