Ieri, a 96 anni, è morta Licia Rognini, vedova di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico morto il 15 dicembre 1969 a Milano. La signora Licia in questi lunghi anni ha custodito la memoria del marito, ha scritto per farne conoscere la storia, ha cercato la verità su una “assurda” morte con grande tenacia, coraggio e determinazione. La sua storia si intreccia con la strage di piazza Fontana, con l’omicidio di Calabresi e con la stagione del terrorismo che ha insanguinato il nostro Paese.
La storia è nota e arcinota, e i fatti non valgono i commenti: il 12 dicembre scoppia una bomba in piazza Fontana, gli anarchici Valpreda e Pinelli sono tra i sospettati. Pinelli viene convocato in questura; muore il 15 dicembre, precipitando dal quarto piano; si diffonde la convinzione che Pinelli fosse stato torturato, ucciso e scaraventato dalla finestra della questura. Il commissario Calabresi viene ritenuto responsabile della morte di Pinelli.
Licia si ritrova vedova, con due figlie da educare; nel 1972, stessa sorte tocca a Gemma Calabresi (unica differenza: figli tutti maschi e uno ancora in pancia), dopo che il marito viene ucciso sotto casa da militanti di Lotta Continua.
Luigi Calabresi era amico di Pinelli e si erano scambiati dei regali, in occasione del Natale del 1968: Giuseppe Pinelli aveva regalato al commissario un libro di poesie, l’Antologia di Spoon River, e Calabresi Mille milioni di uomini.
Indagini e contro-indagini si susseguono negli anni; la sentenza sulla morte di Pinelli viene scritta nel 1975 dal giudice D’Ambrosio. Calabresi non si trovava nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli e viene così prosciolto, con tutti gli imputati, agenti e poliziotti, perché il fatto non sussiste. E la morte di Pinelli così viene archiviata dai giudici: “l’ipotesi di suicidio – possibile ma non verosimile. L’ipotesi di malore – verosimile”, assolutamente inconsistente l’ipotesi del “lancio volontario di corpo inanimato”.
Terminate le indagini inizia la “guerra delle lapidi”: ancora oggi, in piazza Fontana, ci sono due lapidi, entrambe dedicate a Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico; una lo definisce “innocente morto tragicamente”, l’altra – firmata dagli studenti e dai democratici milanesi – “ucciso innocente”.
Mentre indagini, lapidi, parole scorrono e si rincorrono, le due donne educano i figli e le figlie, coltivano il rispetto e la fiducia nella giustizia e nel 2009 si incontrano, al Quirinale, in occasione della celebrazione del Giorno della memoria, giornata istituita per ricordare le vittime del terrorismo. Il presidente Napolitano nel suo discorso definisce Pinelli “vittima due volte”, prima di infondati sospetti e poi di una morte assurda.
Scrisse Andrea Casalegno in occasione di quell’incontro: “La sostanza umana ieri si è concentrata nella stretta di mano tra Licia Pinelli e Gemma Calabresi”. Una sostanza umana fatta di coraggio e rispetto, lontano dal clamore delle accuse e delle piazze, dalla polarizzazione di opposti estremismi. Una sostanza umana tutta al femminile. Disse la signora Licia alla signora Gemma: “Peccato non averlo fatto prima”.
Le due donne si incontreranno ancora, nel 2019; l’invito viene ancora da un presidente, questa volta Mattarella. Si incontrano a Milano, in occasione dell’anniversario della strage di piazza Fontana. Commenterà Mario, il giornalista figlio di Gemma: “Il tempo non sempre passa invano e l’impossibile diventa possibile. E ogni volta mi commuove”.
La storia è fatta di sentenze e giustizia, di verità e immagini; ma soprattutto di incontri.
Grazie signora Licia.
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