Leggendo il libro-pamphlet di Paolo Becchi L’incubo di Foucault. La costruzione di una emergenza sanitaria (Lastarìa Edizioni, 2020) mi è sovvenuto un pensiero: c’erano una volta gli intellettuali. Il loro compito era di vagliare e criticare la mentalità dominante, soprattutto borghese, e il potere, fino alle sue decisioni e ai suoi decreti. Possibilmente, metterlo in crisi. D’altronde “krisis” in greco deriva dal verbo che sta per “distinguere, giudicare”.



Fanno questo gli intellettuali d’oggi? No, anche perché noi per intellettuali consideriamo soprattutto i cantanti, gli attori, le influencer e persino i calciatori. Avviene così, a proposito del tema del libro di Becchi, cioè il Covid, che questi vengano chiamati come testimonial per avallare, senza tristemente mettere per nulla in crisi la politica del governo. Di recente, ad esempio, il rapper Fedez è stato pregato (“Abbiamo ricevuto una telefonata molto inaspettata, siamo stati messi in contatto con il presidente del Consiglio che ha chiesto aiuto a me e mia moglie”) di registrare un appello pro-mascherina. Triste fine per un genere, quello del rap nato ribelle, per strada a contestare convenzioni e morale dominante, diventato voce del potere. Fedez rapper di Stato? Meglio allora un filosofo che scrive, addirittura, un libro. Già questo è una rivoluzione.



Il pamphlet si articola come un glossario in tempi di pandemia. Affronta le nuove parole, il vocabolario che il coronavirus ci ha portato: l’emergenza, il negazionista, la mascherina, il distanziamento, la sanificazione, l’assembramento… un percorso sulle parole che, lo sappiamo bene, sono il primo mattone per l’edificazione di una nuova mentalità e un nuovo potere. Questo a iniziare dal fondamento di tutta la storia, la costituzione di uno stato permanente di emergenza sanitaria, in nome del principio cardine: “primum vivere”, prima di tutto (soprav)vivere.

Uno Stato (tanti Stati) che si fondano su un principio bioetico dunque, “l’incubo di Foucault” aggiunge Becchi. Su questa idea del vivere/sopravvivere l’autore fa una citazione illuminante: “Già Aristotele (…) aveva distinto la vita come bios dalla vita come zoéZoé è la “mera vita”, il semplice fatto di vivere, la vita mediante la quale siamo in vita; bios, al contrario, è la vita che viviamo, la vita qualificata dal modo con cui la viviamo”. Una bella critica al principio che sostiene la marea di decreti che ci stanno apparentemente proteggendo, inseguendo in realtà un virus un po’ alla cieca, come ha detto anche il governatore campano De Luca.



Né migliore figura, ci ricorda Becchi, la stanno facendo gli scienziati: “…che spettacolo questi ‘esperti’, capaci, salvo poche eccezioni, di alimentare il panico collettivo e che in fondo parlano senza sapere di cosa stiano parlando!”. Il fatto è che la scienza ha sostituito la religione, si afferma alla fine del libro: “La paura del contagio ha sostituito il timore di Dio e la scienza ha sostituito la religione, è diventata il nuovo ‘oppio dei popoli’ (…) ormai si è assunta il compito istituzionale di giustificare la sorveglianza alimentando tra l’altro la speranza in un vaccino presentato come ‘la soluzione finale’ (…). Del resto religione e scienza operano secondo uno stesso paradigma ‘terapeutico’ e la cosa diventa del tutto evidente quando si tratta della medicina”.

Lasciamo alla curiosità del lettore l’affondo acuto sull’eliminazione, per decreto, del corpo, dell’incontro, della presenza che, per Becchi, accomunano la didattica scolastica e il cristianesimo (non a caso un capitolo è intitolato “Il corpo di Cristo”), con interessanti riflessioni sulla rinuncia alla liturgia su cui Becchi segnala anche un allarmato intervento di Papa Francesco. Ciò passando anche al racconto di come vengono trattati i corpi dei nostri morti, la cremazione obbligatoria e solitaria, senza nessuno: “Il governo terapeutico dei corpi ha portato a compimento mirabilmente questo motivo ‘gnostico’: i corpi dei malati sono già dei cadaveri, in attesa di essere portati via e bruciati, ridotti a cenere, senza conforti religiosi. Nessuna traccia deve rimanere dei corpi. Cosa resta della cristiana ‘resurrezione della carne’?”.

Il governo della pandemia, dunque, ha portato a stravolgere un’antropologia, una storia, un’anima. Becchi non la fa lunga con la distinzione tra rigoristi della salute e negazionisti (anche se afferma giustamente che “ci vuole una bella disonestà intellettuale ad utilizzare lo stesso termine entrato nell’uso per qualificare i negatori dell’Olocausto, per qualificare coloro che semplicemente desiderano manifestare una posizione diversa da quella dominante sul virus”), cosa che invece fa chi sta in tutto e per tutto dalla parte dei decretatori, fino ad attaccare a muso duro e acriticamente chi “osa” cercare di pensare; l’autore ricorda anche il trattamento subito da Andrea Bocelli: è partito “pure sui social l’hashtag #bocellivergognati. Vergognati di cosa?”.

Il punto centrale dunque è la paura: “La lezione di Tucidide e ancora attuale perché ci ricorda come sia in relazione alla paura che si gioca la partita. Più che il virus è la paura del virus ad indebolire il nostro sistema immunitario. Un’epidemia certo uccide. Ma e giusto smettere di vivere per paura di morire?”.

La sua conclusione, che si volge soprattutto alla scuola e all’università, dove lavora, è accorata e contiene in fondo la domanda che ci stiamo facendo tutti: “Torneranno gli alunni a scuola, gli studenti all’università, i lavoratori e gli imprenditori nei loro luoghi di lavoro, torneremo noi tutti a vivere o dovremmo limitarci a sopravvivere con la paura costante di ammalarci? Tutte le nostre principali occupazioni avverranno ancora prevalentemente ‘da casa’?”. Si può naturalmente non essere d’accordo con tutto ciò che Becchi in qualche modo denuncia, ma non si può assolutamente smettere di pensare, né accettare tutto ciò che ci viene dato e ordinato, soprattutto dal potere. E si deve ringraziare, magari mentre contemporaneamente ci si discute, con i veri intellettuali, che non hanno dimenticato la loro essenza e il loro compito, aiutandoci perciò a continuare a pensare.