Caro direttore,
nel loro disprezzo verso papa Francesco gli ultras cattolici anti-Bergoglio evitano persino di chiamarlo per nome. Il Papa diviene  “l’argentino di Santa Marta”: Francesco è l’“argentino” così come Giovanni Paolo II era il “polacco” e Benedetto XVI il “pastore tedesco”, una forma di razza canina. Queste formule di italico razzismo clericale ci ricordano che non da oggi i papi sono oggetto di disprezzo. Gli ultimi papi in particolare.



Paolo VI, il pontefice del Concilio Vaticano II, fu oggetto da parte dei conservatori e della destra politica di attacchi continui, di vignette satiriche, di dileggio. I conservatori di oggi lo ricordano solo per il discorso sul fumo di Satana nella Chiesa postconciliare e  per la Humanae vitae dedicata alla critica dell’aborto e della contraccezione. Non una volta vengono ricordati i suoi documenti sociali, a cominciare dalla Populorum progressio.



Uno stesso destino riguarda Giovanni Paolo II. Fu osannato da tutto il fronte politico che vedeva in lui il baluardo contro il comunismo sovietico, l’alfiere della liberazione della Polonia dalla dittatura. Fu egualmente lodato da coloro per i quali le sue correzioni delle derive marxiste della teologia erano essenziali per la tenuta della fede. Dopo l’89 però una gran parte di entusiasti si perse per strada. Non risultarono gradite né le sue critiche al capitalismo degli anni 90, né il suo incontro di Assisi con i rappresentanti delle religioni del mondo giudicato come un cedimento al relativismo. Non piacque nemmeno la sua richiesta di perdono, a nome della Chiesa universale, per gli errori e i peccati in occasione del grande giubileo del 2000. Per la mentalità conservatrice la Chiesa era esente da errori e da peccati, non doveva sottomettersi al giudizio del mondo.



L’opposizione più dura si manifestò nel 2003-2004, in occasione della guerra americana contro il regime di Saddam Hussein in Iraq. Si vide allora un Papa vecchio e malato ergersi come un leone di fronte al presidente Bush jr. e l’idea di una crociata cristiano-occidentale contro l’asse (islamico) del “Male”. In quella occasione una buona parte di coloro che avevano sostenuto e applaudito il giovane Giovanni Paolo II contro il comunismo lo lasciò solo. Lo avevano seguito solo per orientamento politico e per il medesimo orientamento ora lo lasciavano.

Come scrivevamo in un articolo del 2003, Il “Dio degli eserciti” e il “Papa soldato”: “Quel mondo, oltremodo solerte nel richiamare i diritti della vita e della famiglia, si trova oggi a difendere Bush, considerato il miglior interprete del Regno del Bene, contro il Papa; a sfumare la posizione di quest’ultimo considerato al fondo non un “pacifista” ma un “Papa soldato”; a segnare i confini che contrassegnano la “giusta” autonomia del regno di Cesare rispetto a quello di Dio. L’ultramontanismo diviene così la sostanza di una laicità formale per la quale la coscienza cristiana rappresenta la legittimazione morale del potere mondiale”. I cattolici conservatori, che avevano fatto di Giovanni Paolo II il loro paladino per la critica al marxismo e per la lotta all’aborto e la difesa della famiglia, nell’ora decisiva gli voltarono le spalle preferendo l’America. L’ideologia politica, in questo caso dei teocon statunitensi, segna ogni volta o una presa di distanza o, al contrario, la vicinanza verso il Papa.

È la medesima ideologia che spiega le simpatie iniziali verso Benedetto XVI. Salvo poi rimanere delusi allorché papa Ratzinger non si è dimostrato il “mastino tedesco” che ci si attendeva. Negli ultimi anni del suo pontificato le critiche del direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara erano palesi. Per non parlare poi delle dimissioni di Benedetto, un gesto inaudito, imperdonabile per i fautori del “ratzingerismo” come ideologia.

A partire dal 1978, anno della morte di Paolo VI, una parte cospicua del mondo cattolico, delusa ed impaurita dagli esiti problematici del post-Concilio e dalla china filo-marxista di tanta teologia impegnata, ha giudicato i Pontefici a partire dalla loro vicinanza o meno al potere occidentale incarnato dagli Usa a guida repubblicana. È l’orientamento, oggi particolarmente diffuso, che ha trovato espressione nella recente National Conservative Conference tenutasi a Roma il 3 e 4 febbraio, dedicata a Dio, Onore, Nazione: Presidente Ronald Reagan, Papa Giovanni Paolo II e la libertà delle nazioni. Per i relatori del Convegno, Viktor Orbán, Giorgia Meloni, Rod Dreher, l’autore di The Benedict Option: A Strategy for Christians in a post-Christian Nation, il Giovanni Paolo II che merita di essere ricordato è quello alleato degli Usa contro il comunismo mondiale. Da Reagan si passa a Bush, senior e junior, e poi a Trump, saltando Clinton ed Obama. Il potere mondiale viene prima del Papa; è il modello in base al quale il successore di Pietro viene giudicato.

Al cesaropismo della Chiesa orientale si contrappone così un nuovo cesaropapismo di marca occidentale. I cattolici “occidentalisti” giudicano oggi Francesco un “obamiano”, una pedina fuori gioco, una figura ondivaga e destabilizzante. Il punto che marca le distanze è l’apertura verso i poveri ed ai migranti, un tema sociale che chiama in causa valutazioni politiche. È a partire da una valutazione politica, modulata da un orientamento fortemente conservatore, che matura anche l’opposizione “religiosa” al Papa. La critica politica precede e fonda la critica religiosa. Per chi ha una visione politica orientata a destra questo Papa non piace. Allo stesso modo non piacevano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a coloro che erano orientati a sinistra.

Ogni volta il fossato tra una parte del mondo cattolico e i Pontefici viene scavato dalla priorità accordata al giudizio politico su quello religioso. Questa priorità ha un nome: si chiama teologia politica, una formula per indicare l’avvenuta secolarizzazione della fede. È un paradosso che oggi il partito degli zeloti, di coloro che accusano il Papa di relativismo e di modernismo, rappresentino, in realtà, l’espressione di una metamorfosi del sensus fidei: dal primato del religioso al primato del politico. I cattolici conservatori denunciano senza sosta gli esiti del processo di secolarizzazione. Il Papa stesso ne sarebbe corresponsabile. E così non si avvedono di essere essi stessi un prodotto dell’era della secolarizzazione. Sono giocati dal loro avversario che si dimostra ben più forte ed abile delle loro credenze.

Chiusi nella Chiesa assediata, in perpetua lotta contro il mondo, essi sono perfettamente funzionali alla distribuzione delle parti assegnata dal potere. Il loro posto è a fianco degli Usa e, a prescindere dalla politica dei governi, dello Stato di Israele. Si dicono sovranisti, e perciò avversi al supposto globalismo di Francesco, e non si avvedono che il disegno di disgregazione dell’Europa corrisponde al disegno di altre potenze mondiali. Sono contro l’Europa e, al contempo, fedeli soldati degli Usa attuali. Chi, oggi come ieri, è contro il Papa non serve la Chiesa che afferma di voler servire ma il mondo. Il cesaropapismo dilaga all’Est come all’Ovest. Coloro che non se ne avvedono e pensano di giocare semplicemente una battaglia per il trionfo della religione rappresentano il miglior giocattolo nelle mani del potere mondiale.

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