La guerra, per capirla, bisogna averla vista. E le analisi di chi conosce il campo di battaglia, oltre che gli apparati – il “complesso militare-industriale” – e il retroterra ideologico dei combattenti, sono preziose. Segno dei tempi. Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, è stato nelle zone di conflitto, dai Balcani al Medio oriente fino all’Africa, lungo tutta la faglia critica, quel Rimland che oggi, come un secolo fa, determina gli equilibri mondiali. L’ultima guerra contro l’Europa. Come e perché fra Russia, Ucraina e NATO le vittime designate siamo noi (Il Cerchio, 2023), il suo ultimo libro, raccoglie diversi approfondimenti pubblicati su Analisi Difesa, un giornale che è una vera e propria bussola per comprendere i fatti militari e anche politici.
Gaiani è diretto: dopo l’Ucraina e la Russia, intervenuta per evitare “una guerra più grande proprio contro la NATO”, è l’Europa a pagare il prezzo più alto. Fino alla fine del 2021, l’Europa ha avuto uno spazio per costruire una propria autonomia strategica e militare; oggi è stata completamente soppiantata dagli Stati Uniti che riversano il proprio surplus bellico in Ucraina, in Polonia, nei Paesi Baltici, dove sta avvenendo, ricostruisce Gaiani, una sostituzione degli armamenti post-sovietici con quelli statunitensi.
Inoltre, gli stessi Paesi europei dipendono strettamente dall’infrastruttura logistica della NATO. Non solo: l’Europa era in procinto di diventare il primo motore economico mondiale grazie all’integrazione interna, un’area economica senza barriere doganali, all’accesso alle risorse naturali della Russia e del mondo arabo, ai rapporti sempre più stretti con Pechino. Dopo un anno e mezzo, è in recessione (tecnica), dopo essere ripartita nel post-Covid. Interrotta la naturale continuità euro-russa e a breve euro-araba, l’Europa è costretta a sostituire in fretta e furia le forniture e a importare GNL dagli Stati Uniti oltre che dalla stessa Russia, a prezzi esorbitanti. La conseguenza è la scarsità energetica, devastante per i Paesi manifatturieri, come Germania e Italia, per altro fortemente interdipendenti, ma anche per Slovacchia e Repubblica Ceca, che erano dipendenti dal gas russo.
Infine, l’Europa, che tutt’ora coltiva una politica rigidamente mercatista, si trova schiacciata tra due sfere, una a guida statunitense e l’altra dove il primato cinese prende sempre più corpo, che applicano un oculato “capitalismo politico”. Tutt’altro che ibrida, la guerra in corso, rileva sempre l’autore, è ad alta intensità, l’opposto delle guerre in Iraq e Afghanistan, dove gli scontri sono stati per lo più asimmetrici. Quella in Ucraina è una guerra ad alta intensità in cui le manovre coinvolgono intere divisioni e si sparano oltre 6mila colpi al giorno. Il numero di morti, ricostruibile ancorché non esistano statistiche ufficiali, è straordinariamente elevato: secondo le stime tra i 70 e i 100mila per parte; ciò dimostra che si tratta di un conflitto su larga scala, sebbene concentrato geograficamente.
È chiaro il devastante impatto della tecnologia applicata alla guerra, che non conduce certo a un conflitto “tecnico” o “chirurgico” ma a una precisissima carneficina. La guerra si conferma, insomma, un acceleratore in cui si confrontano i ritrovati dell’industria tecnica. Oggi come nella prima guerra mondiale. Le analisi di Gaiani hanno una durabilità che supera il contingente, meritano di essere rilette anche a distanza di un anno o un anno e mezzo, dalla più vecchia alla più recente. Per evitare il pigolio dei social. E il tifo.
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