Pochi ignorano del tutto i cambiamenti del contesto socio-economico che nell’ultimo mezzo secolo hanno operato una trasformazione radicale nel mondo del lavoro: la traiettoria che congiunge gli anni della fabbrica fordista allo smart working odierno rischia però di scorrere sommariamente, in percezioni vissute o indirettamente apprese, che restano per lo più relegate in un passato concluso, in un già accaduto che porta a guardare sempre e solo oltre, sempre solo al dopo. Non è così nella narrazione di Quelli della Birreria Finisterre di Giancarlo Rovati e Maurizio Vitali, edito da Itaca, che mette a fuoco il lavoro, o meglio l’uomo che lavora, recuperando in profondità le radici di una storia condivisa e continuamente riscoperta nei suoi tratti più significativi.
L’uomo che lavora, appunto, è l’epicentro di una dinamica che genera incontri, decisioni, coesioni, tentativi legati da un unico filo, un’origine sempre richiamata, in grado di suscitare anche oggi una prospettiva interessante.
“Una compagnia atipica nel lavoro e nel sindacato” – come suggerisce il sottotitolo – diventa fulcro di impegno e di confronto importante per lavoratori per lo più provenienti da ambiti cattolici, molti dei quali iscritti al sindacato Cisl o già militanti in esso, che avvertivano l’urgenza di maturare un giudizio sui temi caldi e vibranti in contesti di precarietà e di forti tensioni sociali. Si tratta di “un piccolo gruppo di giovani tra i venti-venticinque anni entrati da poco nel mondo del lavoro alla fine dei roventi anni 60, segnati dal movimento di contestazione dello status quo in tutti gli ambiti sociali e in tutte le organizzazioni, incluse quelle ecclesiali e sindacali”. Così spiega il professor Rovati che da sociologo tratteggia, nelle prime 70 pagine, il contesto storico in cui scaturisce e si sviluppa quell’esperienza di aggregazione giovanile che ha il suo luogo di incontri nella storica birreria di Dergano (quartiere nella zona Nord di Milano), successivamente prima sede del Circolo culturale Ettore Calvi.
“Questo piccolo gruppo di giovani – prosegue Rovati – era accomunato dall’appartenenza alla medesima esperienza cristiana – denominata Gioventù studentesca (Gs) fino al 1968 e Comunione e Liberazione (Cl) dal 1969 – che li spingeva a vivere in modo attivo e propositivo le problematiche personali e sociali del proprio ambiente di lavoro. A questo dinamismo si lega l’interesse per l’impegno sindacale, specie per chi lavorava nelle grandi aziende coinvolte in quegli anni in processi di riorganizzazione delle attività produttive e organizzative e nella conseguente ridefinizione delle relazioni industriali”.
L’azione concreta volta a garantire o tutelare il lavoro secondo regole contrattuali adeguate alla dignità delle persone attingeva a un bagaglio di valori da rimettere in luce: decisive le intuizioni dell’economista Marco Martini, insieme alla riscoperta delle prime impronte di un sindacalismo non ideologico impresse da alcuni fondatori della Cisl, fra i quali lo stesso senatore Ettore Calvi, come assolutamente fondamentali gli insegnamenti di monsignor Luigi Giussani e di San Giovanni Paolo II, in particolare il riferimento all’enciclica Laborem exercens.
Dirimente, all’inizio dell’avventura, sembra essere proprio il contributo di don Giussani, che ravvisa un gravissimo equivoco nel dualismo fra “militanza” nell’associazionismo cattolico e “militanza” nell’associazionismo sindacale, secondo la formula “cristiani la domenica”, “sindacalisti durante la settimana”. Come documenta Rovati, “Per lo sparuto gruppo di Comunione e Liberazione Lavoratori (Cll) questa concezione “sindacato-centrica” della presenza cristiana nel mondo del lavoro risulterà da subito un sentiero troppo riduttivo e darà vita a un dibattito culturale (con toni talora molto accesi) sia nei confronti dell’associazionismo cattolico ufficiale, sia nei confronti dei sindacalisti provenienti da questo mondo associativo”. La posizione dualistica infatti, secondo il richiamo del fondatore di Cl, porta a relegare la dimensione religiosa nell’ambito privato, riducendo la globalità della fede, che di fatto coinvolge interamente l’esperienza e genera un nuovo soggetto determinando una diversità radicale di giudizi e di comportamenti in ogni aspetto della vita e della società.
Forgiati in una fucina di ideali mai sganciati dalla realtà, legati in un’“amicizia operativa” – così la definiscono – gli “uomini del lavoro” si raccontano in colloqui serrati con il giornalista Maurizio Vitali che restituisce un quadro di insieme, una storia articolata dove non si colgono omologazioni fra i protagonisti (13 emblematiche figure), ma forti consonanze, corrispondenze che nella diversità di tempi e contesti, da una generazione all’altra, producono fermenti ed esiti oltre ogni immaginazione.
Non si contano le “conquiste” guadagnate con l’appassionata e creativa presenza sul campo più che con utopistiche strategie a tavolino, come nel caso di Ivan Guizzardi, promotore dei primi centri di solidarietà e scuole di formazione lavoro che costituirono le prime mosse verso il superamento di logiche statalistiche e burocratiche nel mercato del lavoro. Un’intraprendenza che non si è mai fermata ha incrociato molti altri soggetti e realtà pronti a supportare il cambiamento, a congegnare idee per avviare assetti organizzativi e regole adeguate alle continue e veloci trasformazioni del mondo del lavoro e anche oltre.
In tal senso le voci degli intervistati producono un effetto corale, fanno rimbalzare esperienze e concetti che si completano e arricchiscono un’unica speciale atmosfera: dalle iniziative del Movimento Popolare evocate da Roberto Formigoni al Meeting di Rimini, dall’influsso di autentica libertà proveniente da Solidarność alle tante espressioni della Sussidiarietà promossa da Giorgio Vittadini fino alle iniziative trasversali di Cdo e Cisl, la narrazione di “Quelli della Birreria Finisterre” evidenzia un’esperienza che si rinnova e che già guarda al futuro.
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