È dopo un concerto bachiano diretto da Leonard Bernstein in memoria di Karl Richter, a Monaco nel 1981, che l’allora arcivescovo Joseph Ratzinger scriveva: “In quella musica era percepibile una forza talmente straordinaria di realtà presenti da rendersi conto, non più attraverso deduzioni, bensì attraverso l’urto del cuore, che ciò non poteva avere origine dal nulla, ma poteva nascere solo grazie alla forza della verità”. Parole che giungono da una summa sapientialis delle cose dello spirito e da una sensibilità musicale che, pur a distanza di quarant’anni, dicono con vivezza il rapporto alto e continuo fra Joseph Ratzinger/Benedetto XVI e l’arte dei suoni. Rapporto su cui già felicemente non poco s’è scritto, ma cui può essere qui utile offrire uno scorcio non privo di qualche sistematicità.



L’importante biografia di Peter Seewald Benedetto XVI. Una vita (Garzanti 2020) non dedica al tema che pochi, ma significativi cenni. Essenziale è, nei primi capitoli, lo sguardo inoltrato nell’intimità familiare dei Ratzinger, ove nessuno ignorava quella Hausmusik allora di prammatica in ogni casa (e non solo in Germania). “Anche il piccolo di casa viene introdotto nel mondo della musica” ricorda Seewald. “Per un anno, dal 1936 al 1937, ogni settimana si reca a piedi al convento di Au am Inn per esercitarsi sull’armonium con suor Berchmana Fischbacher. In seguito prenderà anche lezioni di violino”. Suo fratello Georg assurge presto a livelli professionali, ma per il giovanissimo Joseph la musica è un nutrimento spirituale irrinunciabile. Tanto da esser riluttante ad ogni disciplina sportiva nel timore di un incidente alle mani grave da impedirgli di suonare il pianoforte.



Nell’estate del 1941, nonostante la guerra, Joseph e Georg sono a Salisburgo: ascoltano una Nona Sinfonia di Beethoven (diretta da Hans Knappertsbusch, il 24 agosto) e la Messa in do di Mozart (diretta da Meinhard von Zallinger, il 16 agosto), della cui musica entrambi si innamorano in modo irrimediabile. Georg dirà che “è messaggera della gioia, della beatitudine che rappresenta la realtà celeste. E annuncia l’unità della Creazione con il suo Creatore”. Mozart molti anni dopo verrà direttamente associato al teologo Ratzinger (tra gli altri) da Max-Eugen Kemper, canonico di San Pietro, per lo stile classico del suo scrivere, per la polifonia del suo eloquio: che “ci si presenta in una forma ordinata, armoniosamente strutturata: ci conforta e c’incoraggia, ci riconcilia con noi stessi, ci delizia […] È solo riconoscendo la Sua presenza che possiamo dire di essere davanti ad un vero musicista”. Che, come disse Yehudi Menhuin, è “de la part de Dieu”.



Tuttavia la musica non è stata nella vita di Joseph Ratzinger solo un oggetto di fruizione, da spettatore o da buon dilettante. Essa è stata oggetto di strenuo approfondimento teologico e tale, nell’introspezione delle fonti, delle tematiche e delle problematiche, da porsi come un riferimento per più versi imprescindibile. Basilare per l’accesso a tal riferimento è il volume Lodate Dio con arte (titolo originale Im Augesicht der Engel), prefato da Riccardo Muti (Marcianum Press, 2010) e in parte costituito dall’ampia allocuzione pronunciata a Castel Gandolfo nel settembre del 2007 per una delegazione dell’Accademia di musica sacra cattolica e pedagogia musicale di Ratisbona. Qui e negli scritti collaterali, alcune preliminari luci accese sulla “differenza tra il proprium dei testi conciliari e le modalità di appropriazione della Chiesa conciliare”, su “la tensione fra l’esigenza dell’arte e la semplicità della liturgia”, su quella “ricetta molto svelta: musica d’uso per la liturgia; della musica sacra vera e propria si può aver cura altrimenti, ma alla liturgia non è più adatta”. Ed aggiunge Ratzinger con qualche amarezza: “È evidente che negli anni da allora trascorsi si è fatta sempre più tristemente percepibile la spaventosa depauperazione che subentra quando in chiesa si mostra la porta al bello non utilitaristico, assoggettandosi invece esclusivamente all’uso”.

Ratzinger entra qui in polemica con Karl Rahner e Herbert Volgrimmer quanto ad “esoterismo” in senso buono della vera arte e all’utile, alla “semplicità”, all’eseguibilità da chiunque, della liturgia corrente, additando con severità “la situazione di un’epoca in cui l’arte si rifugia sempre più nello specialistico”, di “un’epoca dilacerata, la cui razionalità ha costruito il dilemma tra specialismo e banalità”. E qui la salda risposta teologica non può che muoversi a ritroso: dalle auctoritates non solo dei Padri e di san Tommaso d’Aquino, ma dell’Antico Testamento e dalla gloriosa liturgia del Tempio di Gerusalemme. Percorso attuato con lucidità di sguardo e giustezza di citazioni e di conclusioni. Levando il grido alto e forte che il tesoro di pensiero, di suoni e di voci che hanno glorificato Dio nei secoli non può, non deve essere perduto. E stabilendo il fondamento della musica sacra nell’intimo dell’essenza della liturgia, dunque formulando una tesi umile e sublime al tempo stesso, secondo cui “la musica sacra con pretese artistiche non contrasta con l’essenza della liturgia cristiana, ma è una forma necessaria d’espressione di fede nella magnificenza di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo. La liturgia ecclesiastica ha il compito stringente di svelare e di far risuonare la glorificazione di Dio nascosta nel cosmo. Tale è dunque la sua natura: trasporre il cosmo, spiritualizzarlo nel gesto dell’inno di lode, così redimendolo”.

Nei testi successivi il panorama storico e teologico viene ulteriormente accresciuto e indagato: ed è particolarmente interessante l’excursus sulle liturgie della corte imperiale di Bisanzio e delle corti papali di Roma e di Avignone, nonché sulle indicazioni del Concilio di Trento. Non meno essenziale è poi il capitolo che dà il titolo alla versione italiana del volume Cantate a Dio con arte, ossia le Direttive bibliche per la musica sacra, ove spicca il principio che è la fede a creare la cultura e non il contrario. Così come son da rifiutarsi tanto il dogma (crociano) che l’arte sia scopo assoluto di se stessa (può invece avere anche funzione ausiliaria), quanto il pragmatismo pastorale che blandisce le mode e guarda solo all’utile. Del resto (aggiungiamo noi) non sono i più antichi cicli d’affreschi altro che catechesi dipinte? E non diceva Karol Wojtyla (in Dalla soglia) che la Sistina dipinta parla agli uomini del Conclave facendosi collaboratrice dello Spirito Santo?

Joseph Ratzinger elabora e conferma la sua visione anche nei due saggi seguenti: L’immagine liturgica del mondo e dell’uomo e la sua espressione nella musica sacra e Di fronte agli angeli voglio cantarti, rispettivamente del 1981 e del 1994, ove lo squarcio su “Liturgia terrena e liturgia celeste” assume toni di straordinaria poesia.

Terza parte oggetto di questo breve sguardo sul Papa emerito e la musica viene da una serie di scritti latu sensu definibili “d’occasione”: discorsi o saggi brevi, rinvenibili sia nel volume per ultimo citato, sia in quel minimalista Sulla musica (Marcianum Press 2013), sia altrove in modo non organico. Così sono da ricordarsi per pregnanza di concetti e forbitura stilistica la meditazione per la festa di Santa Cecilia e quella su Romano il Melode; il veloce, ma delicato Il mio Mozart o L’organo è il re degli strumenti con la splendida preghiera di benedizione.

Non può certo essere trascurato poi il discorso su Schiller e la Nona sinfonia di Beethoven, pronunciato in presenza di Giovanni Paolo II per il concerto in onore dei suoi venticinque anni di pontificato. E così per la quantità di prolusioni o saluti ai concerti cui da cardinale e poi da Papa egli ha assistito: con direttori come Dudamel, Caetani, Nott, Thielemann, Jansons, Eschenbach e solisti, cantanti, complessi da camera i più diversi: in ogni occasione poche parole, ma di competenza irrefragabile.

Ed infine quell’Explicit, quel ringraziamento a Dio per la musica, vergato dell’aprile del 2007: “Nel guardare indietro alla mia vita, ringrazio Iddio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Ringrazio anche le persone che fin dai primi anni della mia infanzia, mi hanno avvicinato a questa fonte di ispirazione e di serenità. Ringrazio coloro che uniscono musica e preghiera nella lode armoniosa di Dio e delle sue opere: essi ci aiutano a glorificare il Creatore e Redentore del mondo, che è opera meravigliosa delle sue mani. Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di serenità e di pace”. È lo stesso sentimento, è la stessa speranza di tutti noi.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI