Dopo lunga gestazione, ha finalmente visto la luce per i tipi di Mimesis l’edizione italiana dell’ultima grande opera di Alasdair MacIntyre, L’etica nei conflitti della modernità, a cura di S. Maletta, D. Mazzola e D. Simoncelli, una summa del pensiero del filosofo scozzese, ancora non sufficientemente considerato nel panorama italiano, nonostante il suo nome compaia tra quelli dei dieci filosofi più citati tra gli autori viventi.



Il nome di MacIntyre è legato soprattutto al suo lavoro più celebre, Dopo la Virtù – una delle opere più influenti nell’etica del secondo Novecento – che si concludeva col richiamo alla necessità di costruire “forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi”. Nella sua ultima opera egli riparte dalla questione fondamentale che ogni persona dovrebbe porsi nella sua vita pratica: “come è meglio vivere per me? Come è meglio vivere per la comunità di cui faccio parte?”.



Nell’oceano dei conflitti della modernità, tra le mareggiate dell’“etica-dello-Stato” e dell’“etica-del-mercato”, di stampo consequenzialista, e le secche dei precetti astratti della “moralità moderna”, MacIntyre offre una terza via. Si tratta di un richiamo a quello che il filosofo definisce un “neoaristotelismo di stampo tomista”, all’etica delle virtù intese come caratteristiche individuali e collettive indispensabili per perseguire i beni interni alle pratiche sociali.

Di fronte alla necessità dell’uomo contemporaneo di identificare un ordinamento dei beni individuali e comuni, le qualità dell’intelletto e del carattere da possedere e i precetti che governino le proprie azioni nella realizzazione di beni, MacIntyre prosegue la sua critica a quella corporate modernity che con i suoi imperativi sistemici vorrebbe imporsi in tutti gli ambiti di un’esistenza umana che si ritrova frammentata e compartimentalizzata. La moralità non fornisce soluzioni generalmente accettabili ai dilemmi di tale modernità: “gli individui, le imprese, i governi argomentano una volta in favore dell’inviolabilità di questa o quella regola o insieme di diritti e un’altra per metterli da parte in modo da ottenere quanto viene presentato come un bene più grande”.



MacIntyre, però, non abbandona il lettore in balia della conflittualità: lo conduce attraverso un resoconto storico e sociologico degli aspetti centrali delle strutture e della vita sociale della modernità avanzata, proponendo un resoconto adeguato di cosa significhi avanzare giustificazioni razionali nel contesto della pratica. La conclusione cui giunge il percorso del testo è che la forma che dà espressione ad una comprensione adeguata della parte che i nostri desideri e il nostro ragionamento pratico giocano nelle nostre vite è quella della narrativa e di un tipo di narrativa che presuppone una concezione neoaristotelica dell’attività umana.

Di fronte alle domande pratiche della quotidianità il neoaristotelismo fornisce sia un vocabolario adeguato, sia un resoconto su come l’attività pratico-razionale giunge a conclusioni valide, mettendo così in grado l’agente di riordinare la propria vita, rendendolo capace di dar conto a sé stesso e agli altri delle proprie azioni in modo razionale, nella consapevolezza dell’unità narrativa della propria vita.

V. Grossman, Sandra Day O’Connor, C.L.R James e D. Faul sono esempi di agenti siffatti: il corposo testo del filosofo scozzese si chiude con le loro “quattro narrative” col fine di illustrarne il ruolo nella nostra comprensione della pratica. Si tratta di “quattro esempi di agenti le cui vite esemplificano le virtù, il tipo di vite che dobbiamo capire per poter comprendere cosa sono le virtù”. Non senza un’ultima sottolineatura: “la perfezione e il compimento di una vita consistono nel fatto che un agente abbia persistito nel muoversi verso ed oltre i migliori beni che conosce. In tal modo si presuppone un certo bene ulteriore, un oggetto del desiderio al di là di tutti i beni particolari e finiti, un bene verso il quale il desiderio tende nella misura in cui esso rimane insoddisfatto persino dei più desiderabili beni finiti, come accade nelle vite buone”.

Non son poche le ragioni, dunque, che un agente riflessivo, anche non filosoficamente formato, può trovare per affrontare la lettura del volume L’etica nei conflitti della modernità, nel desiderio di diventare – imitando i quattro exempla citati – “buoni ragionatori pratici, capaci di agire secondo virtù, indirizzando così le proprie vite verso la realizzazione dell’eu zen”, cioè di una vita buona.

Giovedì 16 maggio alle ore 17.30 il libro sarà presentato in zoom a cura di Prologos. Saranno presenti i curatori Sante Maletta (Università di Bergamo), Dario Mazzola (Università di Ginevra), Damiano Simoncelli (Università di Venezia). Per richiedere il link scrivere a: associazione.prologos@gmail.com

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