Parigi, 1984. Il carnefice bussa alla porta della vittima a quarant’anni di distanza dal loro incontro. Il suo medico ha emesso la sentenza più dura: il cancro gli lascia solo sei mesi di vita. Lui è venuto per chiedere perdono a quella donna alla quale ha provocato sofferenze indicibili durante la guerra, quando lei era stata arrestata dai soldati tedeschi.
“Non ho mai dimenticato ciò che lei disse ai miei altri prigionieri riguardo la morte. Sono sempre rimasto stupito per il clima di speranza che aveva instaurato, anche se le vostre prospettive non erano per niente incoraggianti. Adesso ho paura della morte. Desidero capire meglio”. La fede di Maïti Girtanner ha lasciato un segno indelebile nel cuore di Léo, un medico incaricato dalla Gestapo di sperimentare nuovi “trattamenti” che hanno l’obiettivo di ottenere confessioni e testimonianze dai prigionieri, infliggendo sofferenze sempre più acute senza però arrivare a uccidere. E ora che il tempo si è fatto breve, prima che la morte lo divori, vuole incontrare la persona che aveva testimoniato davanti al suo aguzzino ciò per cui vale la pena vivere. Desidera riparare in qualche modo il male commesso, ma come è possibile? “Con l’amore – risponde la donna -. La sola risposta al male è l’amore. Non potrà mai riparare o correggere il male che ha fatto agli altri durante la guerra. Utilizzi i mesi che le restano per fare del bene intorno a lei, per amare coloro che la circondano”.
Lui lo ha fatto, gli ultimi sei mesi di vita sono stati un’offerta di sé agli altri. Nel 1994, dieci anni dopo il loro ultimo drammatico incontro, Maïti Girtanner ha deciso di rendere pubblica la sua storia in un libro scritto insieme a Guillaume Tabard, giornalista di Le Figaro, ora tradotto in italiano e pubblicato da Itaca con il titolo Maïti. Resistenza e perdono.
La protagonista della vicenda ha diciotto anni quando le truppe di Hitler invadono la Francia e lei, indotta dalle circostanze, entra nella Resistenza e si prodiga nel falsificare documenti, instradare corrieri, fornire cartine agli inglesi, individuare movimenti di sottomarini, prendersi carico di due professori di musica interdetti dall’insegnamento perché ebrei. Arrestata a Parigi nel 1943, è sottoposta per mesi a violenze che procurano gravi lesioni ai centri nervosi, viene liberata nel 1944 mentre si trova in condizioni disperate e sottoposta per otto anni a terapie per recuperare la mobilità e attenuare i dolori. La sua salute migliora ma deve prendere atto che non potrà realizzare il sogno coltivato sotto la guida del nonno musicista e poi in anni di studio: diventare pianista.
Per molto tempo, sentire suonare il pianoforte la farà piangere, di rabbia e di rimpianto. L’attende una vita tutta in salita, ma la rassegnazione cede il passo a una consapevolezza nuova. “Un giorno decisi che non avrei più rimpianto ciò che ero stata o che sarei potuta diventare, ma avrei amato ciò che ero e cercato ciò che avrei dovuto essere. È stato un lungo viaggio, ma questa è la condizione per una vera redenzione e allo stesso tempo il luogo di ogni battaglia”. Per Maïti quello che conta “non è prevedere ciò che arriverà, quanto essere all’altezza delle circostanze che si presentano in ogni istante, senza preoccuparsi di ciò che potrebbe venire dopo. Non avevo da scegliere il mio cammino, ma da accoglierlo”.
Il ricordo del suo carnefice non l’abbandona mai, accompagnato dal desiderio di perdonare che a distanza di quarant’anni viene messo alla prova quando Léo si presenta alla sua porta. “Avevo paura che morisse con il cuore abitato dall’odio e mi auguravo che incontrasse Colui che l’aveva creato per amore e per amare. Non potevo accettare di vedere il male trionfare definitivamente su una persona”. Ed era lei, la sua vittima, lo strumento perché quell’incontro avvenisse. E perché il perdono fosse l’ultima e definitiva parola sulla loro storia.
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