Il nuovo romanzo di Antonio Manzini Tutti i particolari in cronaca (Mondadori, 2024) non vede come protagonista Rocco Schiavone, il vicequestore ormai più amato d’Italia; ma, come Gli ultimi giorni di quiete (Sellerio, 2020) e La mala erba (Sellerio, 2022), e come, in fondo, anche, sotto traccia, i romanzi della saga di Schiavone, il tema di fondo è sempre lo stesso: la giustizia, quella degli uomini, sempre imperfetta, a dispetto delle leggi sempre più complesse, e l’esigenza di una Giustizia superiore, quella che davvero può riparare, almeno in parte, i torti subiti dagli innocenti, e rassicurare sul fatto che non sempre chi compie il male coscientemente resta impunito.



Tutti i particolari in cronaca ci catapulta nella vita di Carlo Cappai, in apparenza un umile e grigio impiegato nell’archivio del tribunale in una città di provincia: un uomo solo, che vive ancora nella casa dei genitori (padre giudice, odiatissimo dal figlio, madre succube del marito e tutto sommato inesistente); un uomo grigio e metodico, che compie tutti i giorni gli stessi gesti, secondo una routine estenuantemente invariata; un uomo che gli avvocati e i magistrati che lavorano nel grande tribunale considerano una specie di pezzo dell’arredo di quel seminterrato buio dove riposa la storia di centinaia e centinaia di processi, un “topo d’archivio” cui chiedere distrattamente, senza curarsi di guardarlo in faccia, una sentenza o un documento. In effetti, Carlo potrebbe sembrare un uomo che nella vita ha fallito tutti gli obiettivi che si era proposto: bocciato per due volte al concorso per entrare in magistratura (ma apprenderemo che dietro queste bocciature c’era lo zampino del padre, l’onnipresente e influentissimo giudice Cappai), per sfida alla famiglia era entrato in polizia, dove era rimasto solo per due anni, perché, in seguito a uno scontro a fuoco, è restato invalido a un braccio; anche la sua vita privata è grigia, vuota, dimessa, senza famiglia, senza affetti, senza amici.



Ma Carlo ha un segreto: sì, perché i faldoni e i fascicoli dove dormono i casi chiusi, quelli che, apparentemente, hanno avuto giustizia (quella degli uomini, però), in tutte le ore che il nostro trascorre in archivio lo chiamano, lo chiamano insistentemente, anzi, urlano. E così Cappai la sera, nel grande appartamento vecchiotto e bisognoso di restauri, si chiude nel suo studio spartano, dove la donna di servizio ha il divieto assoluto di entrare, e inizia il suo vero lavoro.

La vita di Cappai a un certo punto, però, si intreccia con quella di Walter Andretti, un cronista sportivo, non più giovane, o meglio, non più così giovane da pensare di poter ancora fare il grande salto verso un quotidiano nazionale. Walter è bruscamente precipitato dalla cronaca sportiva (perché i tagli aziendali sono i tagli aziendali, bellezza!) alla “nera”, e la cronaca nera, si sa, è un lavoro per gente che consuma le suole, per gente dura e scafata, un lavoro che a Walter non piace, e che non sa assolutamente fare, per il quale non è preparato, e, soprattutto, per il quale non ha nessuno di quei contatti, nei tribunali e nelle forze dell’ordine, che possono fare comodo a un giornalista.  Tuttavia, con la forza della disperazione, soprattutto perché teme di essere licenziato dalla temibile caposervizio (detta la “Str….”), Walter comincia a raccogliere informazioni sull’omicidio di Flavio Zigon, un personaggio piuttosto noto in città, freddato a pistolettate mentre si intratteneva in auto con una prostituta in una stradina isolata. La vittima aveva precedenti, o meglio: anni prima Zigon era stato processato e assolto dall’accusa di omicidio della moglie. E, stranamente, anche Daniele Martellini, un altro bravo borghese assassinato poco dopo Zigon, misteriosamente e inspiegabilmente ucciso per strada, mentre tornava alla sua auto dopo il consueto pokerino con gli amici, era stato non molto tempo prima processato e assolto, questa volta con l’accusa di aver eliminato gli anziani genitori. Urge un ritorno all’archivio del tribunale, dove le due vittime sono protagoniste di due grossi faldoni; quell’archivio che è il regno di Cappai.



Non vi anticipo nient’altro, perché Tutti i particolari in cronaca si divora, con il fiato sospeso: e se a un certo punto il lettore attento individua il busillis, credetemi, è solo perché la diabolica abilità di Manzini ce lo vuole fare individuare; perché, messo il cuore in pace e liberati dalla frenesia per quanto riguarda l’enigma e l’individuazione del colpevole (il cosiddetto Whodunit), possiamo riflettere sul senso ultimo della storia. E, come sempre accade con Manzini, il lettore gira l’ultima pagina emozionato, e con l’amaro in bocca.

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