È difficile veder rinascere l’intensità di un tempo con le sue angosce, i suoi drammi e le sue questioni filosofiche. Ma, grazie al bel saggio di Biagio Giuseppe Muscherà, Manzoni filosofo. L’invenzione della parola. In dialogo con A. Rosmini (Jaca Book, 2019) tutto ciò accade davanti allo sguardo stupito del lettore. Non si tratta di un passato cristallizzato e osservato con l’occhio neutrale dell’erudito. Ma di un tempo, non finito e vivo, che ci parla con le sue domande ancora originali e attuali. La prima, più esistenziale: cosa succede in un uomo, quando la persecuzione alla sua vita e al suo pensiero arriva dal di dentro della sua stessa casa, cioè la Chiesa? Come vivere un dramma di tale portata? Capita, infatti, di sentirsi espropriati da un luogo avvertito come giusto e vero per sé.
Sappiamo che a Rosmini vennero rivolte accuse circostanziate di compromissione con il pensiero filosofico moderno, di ontologismo e di panteismo: eterodossia, insomma. Ma il filosofo non scappò dalla vita, la guardò in faccia, nel profondo e in compagnia. Non una compagnia qualsiasi, ma quella di un volto spiritualmente affine: Manzoni. L’autore ci fa camminare, perciò, nel tempo con due uomini guardati dalla bellezza del Lago Maggiore. Una presenza misteriosa compagna delle loro passeggiate e delle loro conversazioni. Immagini catturate da Le Stresiane di Bonghi, che mettono in luce un’amicizia tra due uomini, che si vedevano per respirare. “A. Manzoni-A. Rosmini: duplice vertice sublime di unica fiamma” (Fogazzaro).
Filosofi autentici, in cui è centrale per ognuno il rapporto con la verità di sé. Tale legame stringente nasce da un comune filosofare nella fede, che non è mescolanza di idee, né prestito accolto, ma rilancio dell’uno all’altro delle più vibranti questioni filosofiche: origine delle idee, origine della parola, presenza umana nella storia, problema del male, significato della creazione, ecc.
Nel saggio viene messa in luce, perciò, in maniera documentata, la storia della posizione filosofica di Manzoni riguardo alla rosminiana idea dell’essere, contributo primario del Roveretano alla filosofia. Rosmini la precisa nel fecondo e complesso dialogo con Manzoni come appello di Dio all’uomo, come quel logos a cui l’uomo partecipa. Detto altrimenti, Dio non dà la parola all’uomo, ma la possibilità della parola. E in Manzoni si trova, successivamente, che l’idea dell’essere è partecipazione all’essere.
Dall’amicizia filosofica tra i due grandi emerge, insomma, per lo studioso, un movimento della verità attivo nella realtà che incide nel tempo. Consiste, grazie a una comune interrogazione, nel dover ritornare all’origine del proprio discorso e della propria posizione. Ciò comporta una novità che trasforma il soggetto: Rosmini ha dovuto precisare la questione fondamentale della sua filosofia, Manzoni accoglierla. Entrambi sono arrivati, però, non alla fusione del loro sguardo e dei loro orizzonti, ma a una certezza comune e a un guadagno personale: artista e filosofo non creano, ma inventano cioè trovano. Scoprono una parola assoluta, “ciò che è divino e che luce nel seno del mistero”.
Tale novità non diventa però nell’esperienza di entrambi un riparo pio dalle tempeste della vita, ma un riverbero a tutto campo nella realtà. Puppo ha sottolineato, perciò, il verismo cristiano dei due amici. Esso consiste non tanto e non solo in una descrizione oggettiva dei fatti della vita, ma piuttosto nella coscienza della non proprietà del linguaggio. Quest’ultima fa intravedere che, anche nei disastri della storia, si può avvistare una positività, cioè qualcosa che viene radicalmente prima e struttura in modo inattingibile la realtà.
I Promessi Sposi o la Teodicea, perciò, non sono la complessa e intelligente giustificazione narrativa o teoretica di Dio. Tali opere indicano, piuttosto, il percorso drammatico di un soggetto nel tempo, attraversato da un movimento imprendibile e decisivo in tutto. Il soggetto di una storia siffatta – filosofica, letteraria e umana – vive una compagnia dell’anima. Essa viene consegnata alla storia dalla mano di Manzoni che stringe quella di Rosmini nel momento supremo della sua vita. E vive nel costante impegno parresiastico con la propria realtà. D’altro canto tale franchezza era già presente in Manzoni, che nella lettera al maestro della Sorbona, Victor Cousin, contro la boria dei dotti, scriveva: “e che! Un uomo si crederebbe in diritto di impormi delle idee, per il fatto che lui vi crede, e che non avrebbe ancora riflettuto sopra di esse?”.
Non tanto l’eclettismo o il sensismo o il perfettismo o le mode intellettuali del tempo, dunque, ma un’unità che viene prima, riconosciuta e accolta, permette di vivere la vita. Per Manzoni, infatti, la filosofia ha il compito di portare lo spirito “al punto dove si uniscono la ragione e la religione”. Un’unità che non confonde platonismo e cristianesimo (Rosmini) e non porta alle secche della Babele della neutralità.
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Venerdì 18 marzo alle 17.30 il saggio di B. Muscherà “Manzoni filosofo. L’invenzione della parola. In dialogo con A. Rosmini” (Jaca Book, 2019) sarà presentato su Zoom a cura di Prologos, Gruppo per scoprire interrogare insegnare la filosofia. Intervengono, insieme all’autore, G. Dalmasso e S. Natoli. Gli interessati a ricevere ID e passcode possono mandare una mail a associazione.prologos@gmail.com
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