Rivelazioni profetiche di suor Maria Natalia Magdolna. Mistica del XX secolo: mi dicono che sono stata la prima acquirente del libro, uscito a giugno per le edizioni Sugarco. In ventiquattr’ore l’ho letto, e quindi forse sono stata anche la prima lettrice. Vi ho trovato la vicenda di una donna (mistica), all’interno di una vicenda storica (europea), entro un quadro sovra-storico (internazionale), nei quali cercavo risposte a molte domande. Ne parlo con l’autrice e curatrice, Claudia Matera, che quattro anni fa circa si mise sulle tracce di questa donna.



Ho sempre pensato ai profeti come a quelli dell’Antico Testamento, che i “fratelli minori” cristiani condividono con i “fratelli maggiori” ebrei: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, ecc. Invece i profeti esistono ancora oggi?

La profezia non è la descrizione anticipata di un evento, come si è soliti pensare. Al profeta Dio comunica la Sua potenza e la Sua Sapienza, chiamandolo a divenire Suo portavoce con il compito di annunciare la Sua parola e la Sua volontà, affinché il popolo resti unito, animato, incoraggiato, sostenuto nella speranza delle Sue promesse. Il profeta ha, in fondo, il ministero di rivelare il soprannaturale che sovrasta la storia umana. La profezia non incatena mai la libertà dell’uomo, ma vuole illuminarla e stimolarla. Pensiamo, ad esempio, alla distruzione preannunciata di Ninive, che alla fine non cadde, perché l’intera città accettò in tempo i consigli del profeta e abbandonò i propri comportamenti malvagi. La visione profetica, con il suo richiamo alla fede vera e alle sue implicazioni concrete, pone un freno ai comportamenti più arbitrari e disumani; per questo Dio si premura di non farla mancare e per questo i profeti hanno sempre sofferto e subìto persecuzioni. Elia ed Eliseo lottano contro l’idolatria; Eliseo profetizza a un popolo ottenebrato dal benessere materiale; Amos e Osea predicano e scrivono contro la decadenza morale, la falsa religiosità, il lusso, ma Osea, allo stesso tempo, introduce l’immagine di Dio come Sposo e del Suo amore paterno. Isaia, massima personalità del suo tempo, fu l’unico a conservare immutata la fede nelle promesse di Dio, sostenendola nel popolo; Michea condanna ingiustizia e corruzione e profetizza che, dopo un periodo di dominio straniero, la salvezza sarebbe venuta da un resto che avrebbe confidato unicamente in Dio e che sarebbe stato riscattato grazie a un nuovo re, inaugurando il ritorno alla semplicità e alla pace; Daniele mostra che la storia non sfugge dalle mani di Dio. L’intero Antico Testamento è punteggiato da queste figure rilevanti, fino a quando Dio parlerà direttamente all’uomo attraverso Suo Figlio. Il rapporto del profeta con Dio appare sempre come il dialogo con una persona viva, come un’intima amicizia in cui si scambiano sentimenti, timori, speranze, pensieri, gioie o al contrario scoraggiamento, angosce, progetti e desideri profondi. Alla luce di quanto detto i profeti non possono mancare all’umanità. Spiriti profetici sono al massimo grado i mistici canonizzati dalla Chiesa e i santi tutti.



E poi non un profeta, ma una profetessa, l’ungherese Maria Natalia Magdolna (1901-1992). Mai sentita nominare. Chi è?

Certamente suor Maria Natalia – secondo la documentazione presentata nel libro – fu trovata irreprensibile da tutti i sacerdoti e superiori di cui possediamo ancora gli scritti e le considerazioni riguardanti la sua vita religiosa e la sua esperienza mistica. Maria Natalia Magdolna è il nome che Maria Natalia Kovacsics assunse nella professione religiosa: Magdolna significa Maddalena (apparteneva alle suore del Buon Pastore di Santa Maria Maddalena). È una donna del XX secolo, una voce profetica, la cui vita fu ricca di esperienze soprannaturali, che le venne chiesto di divulgare per la salvezza di tutti. Un’umanità, la sua, semplice e gioiosa. Fu misticamente legata sia al cardinale Mindszenty (1892-1975), martire del nazismo e del comunismo, sia a papa Pio XII (1876-1958). Forse ciò che più è noto della sua esperienza mistica sono trentatré promesse di Gesù destinate a chiunque le desideri e le accolga, mentre a lei personalmente assicurò il sostegno della gioia in tutte le sofferenze che avrebbe sofferto e che non mancarono costantemente, anche a motivo del comunismo che la obbligò a svestire il suo abito religioso e a vivere ritirata.



Perché l’Europa, l’Ungheria, l’Ungheria di Jozsef Mindszenty sono l’alveo di questa vicenda?

Ritengo che il motivo profondo non vada indagato e appartenga unicamente alla Sapienza di Dio. È certo, però, che a suor Natalia la Vergine spiega i motivi per cui l’Ungheria riveste un ruolo speciale nella storia dell’umanità, con una funzione quasi messianica. Re Stefano d’Ungheria, più di mille anni fa, dopo la morte del figlio, principe ereditario, consegnò il proprio regno alla Vergine, perché se ne occupasse direttamente nei secoli a venire. I risvolti e le conseguenze di questo atto solenne, che ancora perdurano, sono complessi e affascinanti e costituiscono uno dei fili conduttori del messaggio profetico di Maria Natalia.

Anche l’Italia e gli italiani hanno una funzione nel mondo?

Nella prefazione, padre Serafino Tognetti, primo successore di don Divo Barsotti nella Comunità monastica dei Figli di Dio, spiega che, così come ogni battezzato è chiamato a una funzione unica e irripetibile nella Chiesa, così lo sono anche le nazioni, e cita riguardo alla funzione dell’Italia e degli italiani il nome di Elena Aiello (1895-1961), una stimmatizzata contemporanea di suor Maria Natalia.

In fondo che cosa ha da dirci suor Maria Natalia? Perché il suo messaggio dovrebbe interessare noi?

Le rivelazioni profetiche di suor Maria Natalia, peraltro perfettamente convergenti con quelle di Fatima e con altre, semplicemente ci conducono alla pienezza della nostra umanità, attraverso la comprensione profonda della vita, la sua accettazione e il capolavoro che ciascuno ne può fare. Come tornare concretamente a una vita piena e vera; come affrontare e valorizzare la sofferenza; il significato dell’espiazione; il destino dell’anima dopo la morte; il futuro dell’umanità sono temi che non possono non interessare chiunque, non solo un cristiano.

Secondo lei, questo messaggio potrebbe interessare anche “un uomo colto, un europeo dei nostri giorni”, secondo l’espressione di Dostoevskij?

Il messaggio di suor Maria Natalia tocca sicuramente la fede (sia nel suo aspetto di credere, sia nel suo aspetto di fiducia in un Dio rivelato come Padre amorevole verso i Suoi figli) e la fede trova corrispondenza nella natura dell’uomo per il suo inestinguibile desiderio d’infinito. Questo desiderio non riuscirà a trovare nessuna risposta sufficiente, disse una volta l’allora cardinal Ratzinger, se non in un Dio infinito, che si è reso finito per consentire all’uomo di godere della Sua infinitezza. Suor Natalia ci mostra inoltre la fede capace di muovere concretamente la persona, una fede capace di giudizio sulla vita e la realtà, capace di diventare cultura, una fede fatta di concretezza, di passione per l’educazione e la crescita umana di un popolo responsabile e creativo. L’uomo colto coglierà sia l’interessante dimensione storica, sia l’efficacia della ricca documentazione presentata su questa particolare vicenda mistica, sia le strette relazioni con le altre apparizioni mariane. Il libro infatti sottolinea alcuni aspetti dell’accorato messaggio che Maria continua a dare all’umanità in tempi e luoghi diversi: la vicenda di suor Maria Natalia è un tassello significativo di per sé, ma che accostato agli altri, completa sempre più il mosaico di questa relazione materna della Vergine col suo popolo in pericolo. Quindi non una bella storia o una delle tante possibili devozioni per anime sentimentali e sognatrici, ma qualcosa di molto, molto rispondente all’europeo dei nostri giorni. Del resto lo stesso cardinale Mindszenty era uomo di profondissima cultura, un europeo dei nostri giorni, e accettò appieno il messaggio della connazionale.

Mi sono appuntata un elenco di indicazioni date all’uomo attraverso questa donna: ad esempio parlare con Gesù nel silenzio (come si parlerebbe con qualsiasi persona); nei successi e gioie come negli insuccessi e dolori benedire Dio; rendere felici gli altri; digiunare offrendo il digiuno; pregare specie quando ci si sveglia di notte; offrire le sofferenze che la vita non risparmia, ecc. Ma è proprio vero che facendo proprie queste indicazioni, si può fare esperienza del Mistero, del Divino, di un Bene che va al di là di ciò che vediamo e tocchiamo, di un Bene così profondo da darci pace?

Gesù è una persona vera, viva, col suo corpo risorto e il cristianesimo consiste nel rapporto vero con questa persona. La fede non è un concetto, un’idea, un’ideologia, una filosofia, un sistema di pensiero, una costruzione mentale, un riparo: fede è credere che Gesù di Nazareth si è fatto carne, ha attraversato la passione e la morte, è risorto per riscattarci dalle mani del nemico e per offrirci la sua stessa vita divina … ovviamente se la vogliamo. Santa Teresa di Lisieux, con il suo ardire e quell’audacia che le fu tipica, diceva: “Su questa terra ho fatto sempre la Sua volontà, in cielo Lui farà la mia”, richiamando l’esaudimento di tutte le grazie che avrebbe fiduciosamente chiesto a Gesù per le persone lasciate sulla terra. Ci deve essere verità di vita e preghiera, cioè concordanza tra le due. Nella sua Regola, san Benedetto esorta a che l’intima disposizione dell’anima si armonizzi con la nostra voce, intesa anche come vita vissuta: non pratiche esteriori quindi, ma comportamenti che scaturiscano spontanei dall’amore per Gesù e allora Egli ci sostiene con amore privilegiato, potente, tenero e appassionato e accadono cose ineffabili, effluvi di grazia e di vicinanza divine sempre maggiori, perché la via sincera che abbiamo intrapreso è costantemente alimentata e confermata dalla grazia, senza la quale nulla che abbia valore eterno è possibile. Ponendomi la domanda, lei stessa usa la parola esperienza e, per esperienza, almeno in ambito spirituale, non va mai inteso un sentimento, ma un fatto, un incontro, qualcosa che ti accade con una profonda risonanza interiore e ti cambia definitivamente la vita. I santi aggiungono che l’amore di volontà, quello che nasce da una decisione e da una scelta (senza curarsi della risonanza emotiva) è il più prezioso e il più autentico. Ma perché e con quale significato rivolgere parole di benedizione a Dio in un momento di prova o di oscurità; quali sono i presupposti spirituali di questo atteggiamento? “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” sostiene san Paolo. Tutto! Tutto è grazia in quest’ottica. È solo perché non lo crediamo, che ci lamentiamo di ciò che accade. Invece se qualcosa non va e lodiamo ugualmente Dio, significa che abbiamo rimesso tutto nelle sue mani e sappiamo, da quel momento, che Lui, vivente e onnipotente e misericordioso, sta già operando in questa situazione. Questa è la fiducia che Gesù desidera, la stessa che un padre desidera da un figlio, ancora piccolo, che non ha ancora maturato la lungimiranza e la prudenza necessarie alla vita. Gesù non aspetta altro che di darci tutto. È da questo amore (l’amore per sua definizione è libero), da questa libera scelta, che poi si manifestano necessariamente anche all’esterno gesti sempre più significativi e profondi: dal fioretto semplice di un bambino, al perdono, alle varie espressioni della carità e della misericordia cristiane, fino all’offerta eroica della propria vita a Dio da parte di persone toccate da una grazia particolare, come fu per suor Maria Natalia Magdolna. Si può provare gioia nel sacrificio? Nessun innamorato ha difficoltà a fare cose, per la persona amata, che agli altri appaiono follie o fatiche insormontabili.

A volte in fondo pensiamo che Dio, proprio onnipotente, non sia. Invece Maria Natalia dice che Dio è sì onnipotente, ma se noi non cooperiamo con Lui con i nostri sacrifici, Lui non può fare molto. Quindi il segreto dell’onnipotenza di Dio sarebbero i nostri sacrifici a Lui offerti. È così?

C’è una stupenda preghiera in cui san Francesco d’Assisi esordisce con queste parole: “Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio”, e conclude con: “Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli”. Anche il Credo unisce al Padre, come primo attributo, l’onnipotenza. Dio è l’onnipotente. Penso che la questione vada posta in altri termini. Dio ha voluto che la Sua vita e i Suoi attributi (l’onnipotenza, la misericordia, l’amore, la giustizia, la sapienza, la fedeltà immutabile) fossero resi noti all’umanità attraverso il volto, le parole, i gesti di Gesù di Nazareth, Dio che si è fatto uomo. Ma Dio vuole essere seguito, creduto, riamato con amore libero. La libertà della persona oscilla tra la decisione di cooperare con l’onnipotenza di Dio, cioè, meglio, tra il desiderio che l’onnipotenza di Dio si manifesti anche attraverso di lei e la decisione di impedire il suo benefico fluire, in questo senso rendendo, per così dire, impotente l’onnipotenza di Dio. La libertà vera, quella autentica è libertà di scegliere il Bene, il Vero, il Bello, la Gioia e la Vita. Anche se sovente le nostre libere scelte ci portano lontano da Lui, Gesù, però, ci cerca sempre, fino all’ultimo istante, e se trova in noi un germoglio di disponibilità ad amarLo, ci riempie di felicità piena e di pace.

Suor Maria Natalia Magdolna dice che i peccati che Gesù non tollera sono quelli della lingua, della vanità, dell’immoralità. Ovvero: dire il male, pensarsi male, fare il male. Un pensare, un dire e un fare che hanno per oggetto il male. Quella maldicenza, che devasta per anni l’esistenza di persone innocenti, da ultima posizione nel Decalogo, viene messa al primo posto della disumanità. È così?

Rifletto: hanno per oggetto il male? O sono provocate dal male? Gesù non tollera alcun tipo di peccato e quindi, necessariamente, anche quelli che lei elenca. I peccati sono male anche per chi li commette, ci fanno male e non solo spiritualmente, ma anche mentalmente e fisicamente, perché ci allontanano dal Bene. Il grande peccato è l’orgoglio; è voler decidere noi ciò che è bene e ciò che è male, in generale e per noi stessi. L’orgoglio è crederci chi non siamo; credere di poter sussistere senza il nutrimento di chi ci ha creato; è pensare di poterci gestire indipendentemente da questo fiume di vita e di benedizione, è pensare di intervenire sulla nostra vita, sulla creazione tutta e sulle relazioni a nostro piacimento. Per quanto concerne i peccati della lingua non dobbiamo intendere solo la falsa testimonianza, ma la maldicenza, l’ingiuria, la falsità, l’adulazione, la calunnia, la derisione … Pensi la bugia: distrugge e falsifica le relazioni, tradisce la libertà dell’altro e tenta di asservirlo ai propri scopi. Tutti i peccati della lingua sono una forma di violenza e sopraffazione. E invece con la lingua noi dovremmo lodare e benedire e dire la verità.

Si sente ovunque che la missione della Chiesa sia di natura sociale: soccorrere la povertà, combattere l’ingiustizia, preservare la natura, ecc. Tutte cose giuste, ma non dovrebbe perseguirle l’uomo in quanto uomo – come infatti accade – indipendentemente dalla sua fede o non-fede? Qual è invece la sostanza della vita cristiana secondo suor Maria Natalia?

Con padre Serafino Tognetti rispondo che Gesù non ha mai promesso alcuna efficacia in queste azioni, non ha mai detto che la missione della Chiesa sia a favore del benessere, necessariamente parziale, della società. La missione di Cristo – e quindi della Chiesa – è quella indicata da Giovanni Battista: “l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”(Gv1,29). Gesù ha il potere, formidabile, di togliere i peccati del mondo, ossia dai nostri cuori, e farci vivere la vita divina con il dono dello Spirito Santo, che è Amore e ci fa compiere opere di amore.

Pentirsi, riparare, espiare: parole così desuete e lontane dalla concezione odierna della vita. Per Maria Natalia sono invece costantemente poste al centro del discorso. Che cosa significano?

Non si tratta di punizioni da autoinfliggersi, pesanti come montagne da scalare. A volte è sufficiente offrire a Dio la nostra gratitudine, lo sforzo della nostra fede, il nostro non mentire, la nostra adorazione … Gesù ha salvato il mondo non con la predicazione, non con i miracoli, ma con il sacrificio della croce, ossia con la sofferenza offerta. Tutto il messaggio ungherese ruota attorno a questa realtà quasi dimenticata: con la penitenza e la vita di sacrificio ci si unisce alla passione di Cristo e si diventa anche noi in un certo qual modo corredentori. All’Ungheria Dio chiede di insegnare o re-insegnare la via della penitenza, dell’espiazione e lo fa attraverso suor Maria Natalia.

Soffermiamoci allora proprio sulla sofferenza, per nulla desiderabile, se non in un quadro di malattia psichica. Rimandando costantemente alla Sacra Scrittura, ai grandi testi della spiritualità e della mistica cristiane, ai contenuti di tutte le apparizioni mariane (Lourdes, Rue du Bac, Beauraing, La Salette, Fatima, Quito, Marienfried, Medjugorje), la Magdolna parla spesso di sofferenza. Ha un senso la sofferenza?

Gesù è venuto non a renderci la vita facile, a togliere la sofferenza, anche se a volte lo fa, però dà alla sofferenza, accettata e offerta, un ruolo salvifico. A partire dall’Incarnazione e dalla Pasqua non esiste più una sofferenza sterile. In questa ottica che ne sappiamo noi se una certa sofferenza non ci salvi eternamente? Che ne sappiamo noi se una certa sofferenza non salvi eternamente altre persone? La sofferenza ha un grande senso: può salvare i propri cari, i propri prossimi, come anche persone sconosciute in altre parti del mondo. Inoltre, altrettanto misteriosamente, l’accettazione di una malattia inguaribile, offerta come partecipazione alla passione di Gesù con scopo espiatorio, può portare il malato alla guarigione anche fisica. Suor Maria Natalia ne parla per sua esperienza personale. Mi sovviene l’ultimo miracolo di Lourdes, dove una donna, paralitica da decenni, sentì una voce interiore che le diceva: “Consegnami tutto”. Lei lo fece, consegnò a Gesù con estremo abbandono e fiducia tutta la sua malattia e la sua sofferenza, certa che Lui avrebbe saputo che cosa farne, e fu perfettamente guarita. San Leone Magno (V secolo) e san Benedetto usano un’espressione strana, tutta da capire, che sembra spaventare e non piacere e che invece, se ben compresa, rasserena: la vita deve avere una dimensione quaresimale. In che senso? La Quaresima è il periodo in cui il cristiano è chiamato a vivere la lotta contro il male proprio nella prospettiva della vittoria di Cristo su ogni male. E nei cinquanta giorni di Pentecoste, dopo la Pasqua, la nostra virtù non è più lottare, ma gustare la vittoria definitiva di Cristo. La nostra vita è così: prima la sofferenza e le fatiche della vita, poi la gioia.

Da Dio, si dice nel libro, non può provenire se non ciò che Dio è: felicità, gioia, amore, pace. Allora perché è così difficile instaurare un legame con Dio, se l’amore e la pace sono ciò che tutti desiderano e cercano?

Davvero è così difficile? La difficoltà vera a mio avviso risiede in quell’orgoglio, che non ci fa gettare tutte le nostre pene in Dio, che non ci permette di riversare tutto il nostro cuore nel Cuore di Cristo. Ha presente il veggente delle Tre Fontane, Bruno Cornacchiola? Una vita da conoscere, affascinantissima. Una volta, nel corso dell’apparizione del 12 aprile 1947, pieno di odio verso la Chiesa cattolica, in un istante di disperazione si prostrò in ginocchio invocando istintivamente l’aiuto di Dio con tutto il grido del suo cuore, e la grazia lo raggiunse e gli cambiò la vita. Anzi gli si presentò la Vergine in persona. Quando chiami sinceramente Dio, Lui arriva in un istante o manda Suoi messaggeri. La maggior parte delle persone cerca un amore e una pace secondo i propri criteri. Non sa e non vuole sapere neanche che cosa significhino veramente, e si accontenta di surrogati che conducono alla disperazione e all’infelicità. A volte sento dire: “Non penso che l’inferno esista, perché non credo in un Dio cattivo”. Andate a vedere che cosa la nostra religiosa profetizza a questo proposito. È davvero illuminante, difficilmente intuibile e fa cadere ogni pregiudizio. Anche molto razionale.

Alla fine della sua vita Maria Natalia diceva che ormai vedeva le cose nella loro intera semplicità: “Dio mi basta. L’amore mi basta. Dio è l’amore e l’amore è Dio”. Anche noi possiamo arrivare fino a questa intera semplicità? Come?

Lasciandoci toccare da Dio, accettando tutto il suo Bene. È lui che ci cerca sempre per primo. Noi dobbiamo semplicemente farLo entrare nella nostra vita, percorrendo sempre meglio la Sua via. Dobbiamo fidarci di dove Lui ci conduce momento per momento, anche se non capiamo, chiedendoGli la grazia di poterlo fare nella gioia e nella pace. Se non stiamo con Lui, il nostro andare diventa un vagare nel labirinto della vita terrena, per quanto ci possa apparire talvolta ricco di soddisfazioni e privilegi mondani.

(Manuela Cervi)