Immaginate per un attimo di dover lasciare tutto ciò a cui siete abituati. Di dover abbandonare da un giorno all’altro la vostra casa, le vostre abitudini, i vostri cari e dover partire per un Paese sconosciuto. È quanto accade nel 1939 a una giovane spagnola, una professoressa di filosofia che, a causa della sua opposizione al regime franchista, deve abbandonare l’amata patria. Inizia così una peregrinazione attraverso l’Europa e l’America latina che durerà più di quarant’anni. Questa donna si chiama María Zambrano (1904-1991) e racconterà il viaggio del proprio esilio nelle pagine di opere come I Beati, Delirio e destino e L’esilio come patria.
Le circostanze che Zambrano si trova a vivere diventano il punto di partenza della sua indagine. La filosofia deve rispondere alle provocazioni della vita e quindi, per l’autrice, anche alla domanda di senso sull’esilio. Come apprende dal maestro Ortega y Gasset, la domanda al centro del pensiero è di ordine pratico: che cosa fare? Come vivere ciò che ci è dato da vivere?
Attraversare il dolore, come quello che caratterizza la vita di Zambrano, non è possibile con l’astrazione. La filosofia deve quindi aiutare l’uomo ad abitare la realtà così come si presenta, accogliendo anche (e soprattutto) le zone d’ombra, le contraddizioni dell’esistenza. Questa ricerca conduce Zambrano alla scoperta del suo particolare metodo filosofico: il “sapere dell’anima”.
Seguire il sapere dell’anima, instaurare una relazione di conoscenza affettiva con la realtà, è l’unica possibilità di abbracciare la complessità dell’esistenza. Non un metodo conoscitivo “scientifico” ma una guida, una saggezza fatta da azioni, moti spirituali del pensare e del sentire. Zambrano non propone un metodo gnoseologico, piuttosto una postura etica con cui poter abitare l’esistente. In questa visione la filosofia si fa umile. Lascia il posto alla consapevolezza che nella vita nulla è perfettamente sovrapponibile e replicabile, ma sempre nuovo e misterioso. Vivere facendosi guidare da una lettura aprioristica della realtà sarebbe solo uno sterile schematismo. L’esperienza dell’autrice lo rende evidente: il pensiero sgorga dalla vita e ad essa sola deve rendere conto.
Laura Boella illustra bene cosa fu l’esperimento di vita di Zambrano: “L’idea della vita come realtà radicale vuol dire che è la vita a dar conto di tutto il resto, la vita che si dà sempre e solo a uno, a una, in un luogo e in un tempo (le circostanze); tutto è accadimento (…) con la prima conseguenza che, per esempio, la vita non è un elemento che si affianca o si contrappone alla ragione, anzi è ragione essa stessa, anche se, certo, non ragione astratta, universale. La vita non ha ragione, è ragione” (L. Boella, María Zambrano: dalla storia tragica alla storia etica).
Ricercare il senso dell’esistenza e della propria, personalissima, storia richiede a ciascuno di sprofondare in essa. Occorre capovolgere lo stereotipo della tradizionale via alla verità: non l’uscita dalla caverna platonica ma un’immersione nelle cose. Abbiamo bisogno di “questa filosofia pratica, quella che ci aiuta a entrare nella realtà materiale respirando tutto quanto ci è possibile della vita spirituale. Da qui l’importanza per Zambrano di una filosofia della pratica, che prende la forma di un materialismo spirituale” (L. Mortari, María Zambrano).
Zambrano rifiuta l’idea che il mondo fattuale sia messo in secondo piano. L’essere, nella sua opera, è sempre caratterizzato da un’innata positività. La realtà che si dà con inesauribile novità all’uomo, in un rapporto di mutua interdipendenza e affezione. Per questo l’autrice, nel descrivere il processo conoscitivo, riprende quell’unione tra amore e conoscenza che risuona nelle pagine degli autori da lei amati: Platone, Plotino e Agostino. Se però nel pensiero classico l’amore è il mezzo verso “l’Aldilà”, per Zambrano è la via per immergersi “nell’aldiqua”.
Per questo attaccamento alla vita, il pensiero dell’autrice è stato definito anche come “nuovo realismo”. Per incarnarlo, Zambrano propone di unire l’atteggiamento filosofico (inteso come contemplazione delle idee), quello religioso (apertura verso la rivelazione dell’Essere) e quello poetico (percezione profonda della materialità). Non si tratta di prospettive autonome e autosufficienti. Solo se assunte insieme potranno illuminare l’esistenza.
Un nuovo realismo chiede una nuova ragione, la “ragione poetica”. Una sapienza che incarna lo spirito culturale spagnolo, impregnato di materialità e a-sistematicità, intimamente poetico. Una ragione che sa permanere nelle zone d’ombra, che non ha paura delle contraddizioni, innamorata dell’esperienza, e che ritroviamo nel sentire di artisti e poeti.
Davanti alle circostanze in cui ciascuno si trova immerso risuona la domanda iniziale: “che cosa fare?”. La vita di María Zambrano ci offre l’esempio di una filosofia che abbraccia la complessità e l’ineffabilità dell’esistenza. Non temere le contraddizioni e le zone d’ombra della realtà. In un mondo che spesso cerca risposte semplici e schemi rigidi, Zambrano ci esorta a immergerci nella ricchezza dell’esperienza vissuta, a esplorare il “sapere dell’anima” e a riconoscere l’importanza di un amore che si intreccia con la conoscenza. “Il pensiero – scrive Mortari – è vita quando, rinunciando a essere di sorvolo sulla superficie dell’essere, sa stare in presenza del mistero”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.