Bruce Marshall (1899-1997) ebbe un successo straordinario come romanziere nella seconda metà del secolo scorso. Oggi la sua fortuna è di molto sfiorita, ma non al punto che non sia piacevole rileggere le sue storie, impregnate di umorismo e di fede. Il primo gli deriva dalla terra natale, la seconda è frutto di una conversione avvenuta sulla scorta della lettura del santo cardinale John Henry Newman e della partecipazione alla Prima guerra mondiale.



Padre Smith è una delle figure sacerdotali che la vena poetica di Marshall ha abbozzato con la lievità di chi conosce l’animo umano e vive una incredibile, amante fedeltà alla dottrina cattolica. È il protagonista di uno dei più fortunati romanzi dello scrittore.

Nelle pagine iniziali di Il mondo, la carne e Padre Smith viene descritto stanco e affamato dopo aver celebrato la Messa festiva. Sogna il suo arrosto domenicale, ma di sorpresa viene chiamato al capezzale di un vecchio marinaio morente, alloggiato nella pensione della signora Flanigan. Egli sapeva che il posto “lasciava alquanto a desiderare in fatto di moralità, ma pure non esitava a portarvi il Corpo di Cristo, perché il Signore stesso, quando era sulla terra, era sceso ancor più in basso”. Così padre Smith percorre il corridoio sul quale si affacciano tre ragazze che “sebbene fossero poco per bene, non nutrivano nessun odio per il Signore e sapevano che stava passando Gesù di Nazareth, quello che aveva camminato sul mare di Galilea”.



Giunge nella stanza del vecchio marinaio, già preparata per i santi riti, prende tra le sue la mano dell’uomo, ne prova compassione, ma si rende conto di non aver tempo da perdere.

“Figliolo – disse – son venuto a confessarti”. “Mi lasci in pace!” fece il vecchio. “Figliolo, guarda che stai per morire. Io sono il sacerdote di Dio e son qui per confessarti. “È vero Padre: ne ho fatte di tutti i colori; ma ormai è tardi”. “Non è mai tardi, finché si ha fiato in corpo. È proprio qui che si manifesta la misericordia di Dio”.

Una lunga confessione esce allora dalle labbra del vecchio marinaio; si affastellano le messe saltate da tempo immemorabile, le Ave Marie recitate ogni sera a Hong Kong per la paura di essere accoltellato di notte, la trasgressione di tutti e dieci i comandamenti, le tante e tante donne conosciute nei porti di Buenos Aires e della Cina, con le loro scarpette di raso e le vesti fruscianti.



Padre Smith ascolta e avverte il marinaio che farebbe meglio a pentirsi alla svelta dei suoi peccati; “ma quello rispose che mentre si pentiva d’aver lasciato così spesso i Sacramenti e di non aver amato di più Dio, non si pentiva affatto d’aver conosciuto tutte quelle donne, perché erano state tutte così belle e alcune anche tanto buone.

Disperato, il padre Smith gli chiese allora se si pentiva di non pentirsi d’aver conosciuto tutte quelle donne, e il marinaio rispose di sì, che si pentiva di non pentirsi e sperava che Dio l’avrebbe capito. Il padre Smith disse che credeva anche lui che Dio l’avrebbe capito, e dette al vecchio marinaio l’assoluzione dei suoi peccati, versando i meriti della passione di Cristo sul suo oblio del Signore e su quei vestiti che avevano fatto un fruscìo così bello”.

Quando nel sacramento della Confessione scende sulla vita colpevole la misericordia di Dio, accompagnata dalle parole buone e sagge di un sacerdote che ama il Signore – cosa non scontata, ma per nulla rara -, allora il cuore si riempie per un attimo di pace.

La Chiesa nei suoi Sacramenti e in molti dei suoi ministri fa trapelare una luce che non è facile reperire altrove.