Nel suo capolavoro La passeggiata, Robert Walser si racconta nel momento in cui, abbandonato il severo esercizio della scrittura, se ne va a spasso tra città e campagna. Entra in una libreria e indica perentoriamente un certo libro, che troneggia su tutti. È il libro del momento.
Domanda al libraio se sia quello il libro fondamentale, quello che bisogna assolutamente aver letto, quello che mai e poi mai un individuo dovrebbe permettersi di non acquistare. Avute tutte queste garanzie, il nostro amico ringrazia e se ne va, lasciando il libro lì dove si trovava.
Lungo il filo di questa stessa ironia, oggi necessaria (e rara) più che mai si svolge il bellissimo pamphlet I libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge) (Oligo, 2021), opera di uno dei più bravi e colti giornalisti culturali italiani, Luigi Mascheroni. Mezz’ora, non di più di lettura, ma una mezz’ora che ha la forza di liberarci da tante tossine culturali.
Tema: l’eterna retorica sui libri che migliorano quando non salvano la vita, sulla superiorità di chi legge su chi non legge, sul fatto che leggere libri sia bello a prescindere, eccetera eccetera. Essendo questo libretto non soltanto un pamphlet ma un esercizio di eccellente letteratura, lascio al lettore tutto il godimento fatto di pensiero ardente, di ironia spiazzante, senza anticipare i temi, che sono semplicissimi e si riassumono bene nei titoli dei vari paragrafi: “I libri non rendono migliori”, “Il libro non è un totem”, “Niente fa male ai libri come la retorica sui libri”, “L’arte di non leggere”.
Le pagine di Mascheroni risultano tanto più belle quanto più sono spietate: la ferocia allegra è la musa di questo scrittore. A volte, specie nelle ultime righe, diventa forse troppo buono: “I libri non sono la vita, e non la cambiano in meglio o in peggio. La rendono soltanto più sopportabile”. Io aggiungerei: quando non la rendono ancora più insopportabile.
Ma, a parte questo, che non toglie la lode al mio “dieci”, vorrei fare un’osservazione riguardo a quella che secondo me è una delle cause di questa genericità senza pensiero contro la quale, giustamente, si lancia Mascheroni.
Tutti questi slogan, destinati a toccare la parte superficiale della nostra emotività, come sono possibili? Perché sono credibili, fino al punto da renderci sensibili soltanto, o quasi, alle sollecitazioni di superficie?
Non voglio fare discorsi lunghi e impegnativi, però invito i lettori a riflettere con me sull’uso corrente di parole fondamentali, oggi molto usate, come “esperienza” e “emozione”. Due parole che sono al cuore di tutto ciò che chiamiamo umano, e che rischiano di galleggiare (insieme a tutti i libri, quelli brutti e ahimè anche quelli belli) nella laguna della mediocrità.
Ogni giorno la parola “esperienza” ci colpisce le orecchie in frasi come “quel ristorante è un’esperienza”, “quel vino è un’esperienza”, “questa automobile è un’esperienza”. E così via. Il significato suggerito è che tutte queste cose sono di più di quello che sono. Più che un ristorante, più che un viaggio, più che un vino, o un libro. L’esperienza sarebbe una specie di rapimento senza un vero oggetto, che ci porta oltre la cosa: senza tener conto che l’esperienza è tale perché ci rende presente esattamente “la cosa”. Non è interessante mangiare un piatto di bucatini che va oltre i bucatini. È solo un’iperbole, e le iperboli vanno benissimo, ma solo se non le si confonde con la realtà. Perché il vino più è buono e più è vino nel senso vero della parola, e l’esperienza è proprio quella del vino.
Lo stesso vale per le emozioni. Ho conosciuto collezionisti di emozioni, di solito compulsivi di tutto (libri inclusi, naturalmente), per i quali il senso della vita era passare da una emozione all’altra. Ma questo, temo, finisce per trasformarsi nell’opposto dell’emozione, perché l’emozione è qualcosa che ci muove, appunto, distogliendoci dall’abitudine e dalla scontatezza, per destarci a un cammino di verità spesso se non sempre difficile e pieno di sacrifici. Emozione è l’amore che si accende in Dante, e lo induce a intraprendere il più rischioso dei viaggi, fino a Beatrice.
Come, dunque, per vivere una vita più umana è importante decidere quali sono le vere esperienze e quali le vere emozioni, così è importante decidere quali sono i libri importanti. Ha ragione Mascheroni: leggere non è un passatempo. Da un libro non dovremmo mai accettare altro che parole luminose come stelle, o feritrici come coltelli.
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