Il 4 gennaio 1915 Vincenzo Cardarelli pubblica sul Giornale d’Italia una delle sue poesie più intense, Estiva. “Distesa estate/ stagione dei densi climi/ dei grandi mattini/ dell’albe senza rumore/ ci si risveglia come in un acquario” è l’inizio. E nei versi finali il poeta si rivolge direttamente all’estate: “Stagione che porti la luce/ di là dai confini del giorno/ e sembri mettere a volte/ nell’ordine che procede/ qualche cadenza dell’indugio eterno”. La bella stagione non è il momento in cui si va in spiaggia o fra i prati, come la dipingevano gli impressionisti. È un tempo che fa pensare all’eternità.
Perché ne parliamo? Perché la poesia è dedicata a Matilde Fabbrini, che diventerà la prima moglie di Mario Sironi. E di Matilde è appena uscito il catalogo di una parte, la più segreta, della sua collezione sironiana, che lei nel corso di decenni ha donato – extra parcelle, regolate a parte – ad Antonio e Achille Cutrera, suoi avvocati e suoi cari amici (Sironi. La collezione Cutrera, Silvana 2020). È una collezione piena di “chicche”, spesso di prime idee rimaste sconosciute. E comprende tanti lavori sorprendenti, tra cui una scena cittadina (Borghesi, 1916), dominata da un rosso fiammante che pochi si aspetterebbero da Sironi.
Qui però vorremmo parlare non di lui, ma di lei. Chi era Matilde? Nata a Roma nel 1892, aveva tre sorelle ed era figlia di un funzionario delle ferrovie, Augusto, che scompare quando lei ha solo otto anni. La madre Anna, napoletana, una delle prime donne in Italia con incarichi direttivi (era a capo della sede centrale delle Poste di Roma), le aveva dato il nome di Matilde Serao, di cui era amica. La ragazzina era spesso ospite a Napoli della scrittrice, nel cui salotto aveva conosciuto Croce, Di Giacomo, Anatole France, D’Annunzio e l’ormai anziano Carducci.
Nonostante le difficoltà economiche (il buon impiego della madre, sottopagato come all’epoca tutte le mansioni femminili, bastava appena a mantenere le quattro ragazze), aveva studiato, grazie alle borse di studio che otteneva, e a sedici anni aveva iniziato a insegnare in una scuola del Testaccio diretta da Podrecca, creatore del celebre teatro di marionette.
Nel 1909, in casa delle sorelle Caterinic, figlie di un amico di Balla, aveva conosciuto Sironi. Ricorda il Traversi che in quella casa Sironi andava spesso, ma si rifugiava nella libreria a leggere, e una volta Matilde l’aveva raggiunto. “Scusi, è lei il pittore Sironi? – Sì – rispose l’artista alzando appena lo sguardo verso quella fanciulla dagli occhi nerissimi incastonati nel volto chiaro, perfettamente disegnato. Si alzò, la seguì”.
Poco dopo Matilde si iscrive alla facoltà di magistero, ma studia anche la lingua francese, che perfeziona alla Sorbona e che dal 1913 insegna in un liceo romano. Non ricambia il sentimento appassionato di Sironi (“Faceva pazzie per me, mi seguiva dappertutto” ricorderà in seguito) e si fidanza con Vincenzo Gerace, uno scrittore amico di Croce. La personalità dell’artista finisce però per conquistarla e, nonostante il parere avverso della madre e di Matilde Serao, rompe il fidanzamento e lo sposa poco dopo il suo ritorno dalla guerra, nel luglio 1919.
La coppia deve separarsi quasi subito, perché Sironi si trasferisce a Milano, dove l’ambiente artistico è più vivace, e Matilde può raggiungerlo solo agli inizi del 1920. Vivono in una casa di via Pisacane tra mille ristrettezze e non di rado soffrono la fame. Lei arrotonda come può il magro bilancio familiare, traducendo dal francese. Nel 1920 pubblica da Facchi la versione italiana di un romanzo simbolista di Henri de Regnier, Il passato vivente (non sarà il suo unico lavoro importante: nel 1946 si deve a lei la prima traduzione italiana del Picasso di Cocteau).
Nell’agosto 1921 intanto nasce la prima figlia della coppia, Aglae, e nel 1929 la seconda, Rossana. Ma la loro non è una storia a lieto fine. Il loro rapporto, non facile per la forte personalità di entrambi, si incrina e nel 1930 Sironi si lega a Mimì Costa, a cui, tra alterne vicende, rimarrà vicino tutta la vita.
La loro separazione avviene in modo burrascoso. Eppure, al di là delle liti (e delle cause legali, spesso tremendamente aspre), la colta signora non smetterà mai di riconoscere il genio espressivo del marito. E la grande mostra a Palazzo Reale a Milano nel 1973, organizzata in gran parte da lei dodici anni dopo la morte di Sironi, sta a dimostrarlo. Come quei lavori dell’artista, che Matilde non vende ma dona a quelli che erano ormai non solo suoi legali, ma suoi amici fraterni.