Nel mese di novembre del 2009 moriva Alberto Methol Ferré, uruguayano, storico, filosofo e “tomista silvestre”, come diceva di sé per schernirsi della sua vorace foga di lettore. Era stato definito “un realista utopico”. C’è molto di esatto in questa definizione. Il pensatore uruguayano, forse il più insigne del secolo XXI, ha colto i dinamismi profondi nello sviluppo delle società latinoamericane indicando prospettive innovative. Le ragioni per non dimenticarlo sono molte. Vivevo ancora in Uruguay quando sopraggiunse la fine, e quella domenica andai all’ospedale di Montevideo, sua città natale, al capezzale dove si alternavano i figli e i suoi cari per l’estremo commiato.
Non ci furono parole, non potevano essercene. Ma negli anni precedenti ne scambiammo molte. Con grande pena per quel distacco Alberto lasciava una grande eredità di pensiero fatta di scritti – libri, articoli, relazioni, lettere e conferenze – in seguito censiti e ordinati dalla fondazione creata dagli amici e presieduta dal figlio Marcos. Methol Ferré lasciava ai posteri anche L’America Latina del secolo XXI, presentato a Buenos Aires nel maggio 2006 da un altro amico, l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio.
In quell’occasione il futuro Papa parlò di un “pensiero acuto e creativo” che “sapeva guardare con prospettiva tanto alle radici come verso le utopie, e questo lo convertiva in un uomo fedele alla realtà dei popoli”. L’America Latina del secolo XXI lo si può considerare una sorta di testamento intellettuale che raccoglie in forma di dialogo tematico la visione che Methol Ferré aveva del continente e della Chiesa in esso, con particolare attenzione a quel processo di integrazione regionale per cui si era tanto battuto.
Sul finire di quei dialoghi, durati ininterrottamente per oltre un anno, fino alla morte di Giovanni Paolo II che Methol Ferré aveva molto amato, e nell’imminenza del conclave, previde l’elezione di Ratzinger-Benedetto XVI e preconizzò quella di Bergoglio-Francesco I. Non per via di analisi, ma per via di logica. Mi spiego. Nel 2005, il 6 aprile per l’esattezza, interrogato dalla giornalista del quotidiano argentino La Nación, Methol Ferré segnalò Ratzinger come “l’uomo più indicato per essere Papa in questo momento della storia”, l’esponente più fulgido “di quella generazione che ha raggiunto uno splendore intellettuale equiparabile ai secoli XII e XIII dell’Età Media, paragonabile anche alla migliore epoca della patristica greca e latina, quando ha inizio la gigantesca epopea dell’evangelizzazione dei popoli”.
Ma allora, quando fece queste dichiarazioni, Methol Ferré non considerava ancora giunto il momento di un Papa latino-americano. La Chiesa si stava de-europeizzando, ma il processo era ancora agli inizi. Methol Ferré era convinto che la chiesa latino-americana fosse sì la più matura per prendere la guida della Chiesa universale, perché la più antica tra quelle non europee, “ma non mi sembra” aggiungeva “che ancora le chiese della periferia europea siano in condizione di realizzare una leadership mondiale”. Parlava di Chiese riflesso e chiese fonti. Oppure “chiese protagoniste” e “chiese recettrici” di protagonismi ad esse esterni, come preferiva esprimersi.
La distinzione tra le une e le altre la tracciò per primo il teologo brasiliano Henrique Claudio de Lima Vaz, gesuita, debitore, a sua volta, di un altro gesuita, Henri de Lubac, indicando col primo termine, chiesa riflesso, quelle chiese maggiormente determinate da altre chiese che da sé stesse, e col secondo, chiesa fonte, quelle chiese che trovano al loro interno le sorgenti del proprio rinnovamento. “Ci sono molti gradi intermedi tra queste due categorie: in qualche modo tutte le chiese sono allo stesso tempo fonti e riflesso” commentava Methol Ferré “però – storicamente – si può osservare quando un termine prevale poco o tanto sull’altro”.
Quando disse queste cose Methol Ferré era convinto che la cattolicità latino-americana si trovasse in un tempo di transizione da “riflesso” a “fonte”. Da allora sono passati quasi due decenni, un tempo sufficiente per completare il transito tra due punti. E così è stato. La Chiesa dell’America Latina è diventata fonte, portando sulla cattedra di Pietro un suo figlio illustre. Un papa argentino, per giunta, che Methol Ferré ha conosciuto bene in vita, che frequentava quando diceva la cose che abbiamo riferito, un papa che ha apprezzato e con cui ha collaborato strettamente.
Quello con il Papa argentino è un capitolo avvincente. Ne ho scritto in occasione della riedizione di L’America Latina del secolo XXI, premettendo un capitolo che vi accenna. In Il Papa e il Filosofo (2014) si evidenziano le frequentazioni corporali e intellettuali tra i due e le influenze del pensiero di Methol Ferré sull’attuale Papa. Altri, come il filosofo Massimo Borghesi e lo scrittore Austen Ivereigh, hanno ampliato i solchi e approfondito le assonanze intellettuali tra i due. Aggiungo solo che Bergoglio seguì con partecipazione gli ultimi mesi della malattia di Methol Ferré. Varie volte chiese informazioni sul suo stato di salute. So che voleva conferirgli un riconoscimento, forse la stessa Laurea Honoris Causa, nell’Università cattolica del Salvador cui era Gran Cancelliere. Mi ero impegnato a fargli sapere se le condizioni di Alberto migliorassero, per poter realizzare questo suo desiderio. Purtroppo, le cose non andarono così, e Methol Ferré morì. Ma Bergoglio non lo ha dimenticato.
Già Papa in più di un’occasione ha accennato all’amico uruguayano. Da poco eletto, ricevendo in udienza il presidente dell’Uruguay José Alberto Mujica, ricordarono un amico comune “che non c’è più”. Un uomo che “ci ha aperto la mente” commentò Mujica, che “ci ha aiutati a pensare” gli rispose il Papa. Se Methol Ferré fosse vissuto e avesse partecipato ai nuovi tempi sopravvenuti con il papato di Bergoglio, “si sarebbe messo a ripensare tutta la storia dell’America Latina e la sua realtà attuale alla luce di questo avvenimento” ha scritto un altro caro amico e suo connazionale, Guzman Carriquiry, “si sarebbe messo a scrivere e a condividere le nuove esigenze e responsabilità che questo pontificato porta per tutta la Chiesa latino-americana”. È vero quel che dice poi: “Tucho Methol Ferré ci manca, ma oggi più che mai abbiamo bisogno che queste riflessioni e prospettive venmetholgano affrontate”.
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