Costanza Miriano è così: o la sia ama alla follia o la si detesta. Io sono fuori quota per entrambe le categorie, vanto una relazione di amicizia che mi pone al riparo dalla scelta, ma compromette la mia oggettività.
Per questo, con pudore, affronto l’impresa di recensire il suo ultimo libro che non ha avuto fortuna critica, nel senso che è stato per di più ignorato, per la malcelata invidia che spesso accompagna, come uno sciame di mosche fastidiose, le uscite di autori di successo. Con l’aggravante dell’irritazione che provoca una blogger orgogliosamente cattolica e fortemente felice.
Perché è innegabile che la Miriano sia una penna che piace e che vende, peccati imperdonabili nella lamentosa editoria nostrana. Ha un pubblico che la segue fedelmente e che affronta ogni tema che lei pone, persino quelli tosti.
Il libro che ci legge, per i tipi della Sonzogno, è dedicato proprio al libro dei libri, e infatti il sottotitolo recita La Bibbia come mappa al tesoro. Ha l’ambizione di proporre un tema ostico ai cattolici di ogni latitudine, abituati da pochi decenni a sfogliare il Vecchio Testamento, accontentandosi dei raccontini in formato bignami di qualche catechismo o di brevi stralci di salmi.
Costanza Miriano affronta quindi la questione divenuta tale per la grande massa di fedeli solo dopo il Concilio Vaticano II, in maniera ispirata, con la scioltezza di scrittura che le è propria, senza rinunciare al tono leggero, oserei dire santamente frivolo, che contraddistingue i suoi lavori. Proprio il contrasto tra lo stile da divertissement e la materia, a cui è consegnata tutta la profondità, permette di godere in maniera nuova e freschissima della Parola Rivelata.
L’esperimento funziona ancora una volta: la Bibbia viene approcciata con la gioiosità di una bambina impegnata nella caccia al tesoro, filtrata da tutto il candido stupore dei piccoli, ma è la sofferta maturità di una donna fatta e finita che tira le conclusioni. Così un “testo multistrato” viene consumato: mangiato e digerito come scrive la stessa Miriano, specificando che la Bibbia dovrebbe avere le pagine “piene di fondotinta, impronte di fette di kiwi, appunti, briciole, chiazze di unto”. Insomma, è un libro che va spezzato e divorato.
Affermazione che mi ha ricordato la pratica di “masticare” il Vangelo, ripetendolo con insistenza, scandendo le parole, delle Piccole Sorelle dell’Agnello, congregazione religiosa nata in Francia che vive radicalmente gli ideali evangelici, accanto agli ultimi, esperienza che avevo conosciuto e frequentato a Lione qualche anno fa.
Nel suo volume, Costanza spiega che la Bibbia è un po’ come “il nostro libretto delle istruzioni: ci dice come funzioniamo noi”, ma ci dice anche “chi è Dio”. Così legge le storie eterne di Giuseppe e i suoi fratelli, di Ester, Davide, Rut e gli altri accostandole a quelle degli amici incontrati navigando in rete e per le autostrade italiane, sempre in corsa, piumata, affaticata, ma anche sempre attenta alla pedagogia di Dio, e al suo operare di sorpresa in sorpresa.
Una narrazione che riesce ad appropriarsi delle vicende bibliche senza snaturarle, né “adattarle” (termine orrendo), ma semplicemente regalando ritratti di cristiani a tutto tondo, così belli da volerli abbracciare e stritolare, così imperfetti da non farti sentire una marziana.
Insomma, ancora una volta il cristianesimo del centuplo, quello che ti rende felice, emerge dalla scrittura di una donna che dona molto di sé al lettore e tutto ciò che ha ricevuto da Dio.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.