Monsignor Georg Gänswein, suo segretario personale da quasi vent’anni, così descrive Benedetto XVI: “L’erudito uomo di Chiesa pare un ragazzino innocente, che è stato a lungo seduto sul trono papale. Ma si rivela anche come un uomo misterioso dal lieve sorriso, venuto da un tempo lontano”. E “nonostante la sua straordinaria ed eccezionale intelligenza ed erudizione, non assomiglia nemmeno lontanamente a quell’immagine distorta di arrampicatore amante del potere e di spaventoso Grande Inquisitore, che i suoi ‘non amici’ spesso dipingono di lui”. Precisa don Georg: Ratzinger possiede “una mente estremamente acuta” e manifesta “una grande mitezza nei rapporti personali, in netto contrasto con ciò che continuamente si diceva e si dice di lui”. Non ha avuto “assolutamente mai quell’atteggiamento da ‘cardinale carro armato’ che fin da principio gli avevano affibbiato innumerevoli suoi avversari. È vero il contrario”.



Il 65enne arcivescovo tedesco, prefetto della Casa Pontificia, nel libro Testimoniare la Verità. Come la Chiesa rinnova il mondo, edito da Ares (una raccolta di interventi pubblici, omelie conferenze e interviste, che coprono un arco di tempo dal 2014 al 2021), dedica al Pontefice emerito molte pagine ricche di affettuosi ricordi ed episodi inediti.



“Papa Benedetto è per me la persona che incarna la chiarezza mentale”, afferma Gänswein e, ribadisce, lo fa con una “incredibile presenza intellettuale” unita a una “disarmante amabilità”. Il monsignore ammette di non conoscere nessuno come lui. “È diventato per me un modello permanente”, perché mostra “una grande sicurezza” non solo nel rapporto con gli altri, ma anche nell’analisi dei problemi e nella ricerca delle soluzioni; ma “soprattutto nell’esposizione della fede e nell’apologia della fede”. Riconosce il segretario: “Ciò che mi ha commosso maggiormente è stato vedere con quali semplici, ma profonde parole quest’uomo sia capace di proclamare la fede. E come sia stato in grado di affrontare saldamente e con serenità forti opposizioni e inimicizie”.



Ma qual è la parola chiave del suo pontificato? “Benedetto ha una parola fondamentale che lo ha sempre accompagnato dal tempo in cui era professore e cardinale. È la parola Veritas, la Verità”. “Cooperatores Veritatis” è il suo motto.  Ed è importante comprendere che “la Verità si è fatta uomo in Cristo e la Verità è il grande tema della vita”. Ne è pienamente consapevole lo stesso don Georg, che si è espresso in proposito più volte, come documenta il libro.

Per esempio, nell’omelia pronunciata il 27 aprile 2019 nella millenaria Abbazia cistercense della Santa Croce, nel Wienerwald, la foresta viennese, in occasione del conferimento del sacramento dell’Ordine a un gruppo di giovani, Gänswein si rivolge ai futuri preti in modo netto. Sottolinea che il loro compito è “guidare la rotta delle navi della vita”, cioè accompagnare il gregge loro affidato nel cammino di fede. Come? “Semplicemente annunciando la Verità, che si è incarnata in Gesù Cristo”. Infatti “il sacerdote non è forte di forza propria”. Lo è esclusivamente “nella misura in cui testimonia la Verità”. Le persone affidate alla cura del sacerdote cambiano rotta soltanto se grazie a lui “saranno entrate in contatto con la verità del Vangelo, anche se scomoda, che è stata rivelata da Dio e affidata alla Chiesa”. Tutto il resto – l’impegno sociale, pastorale, l’accoglienza e così via – viene dopo, è una conseguenza. Significativo il motto che accompagna il suo stemma episcopale, scelto in occasione della consacrazione ad arcivescovo, il 6 gennaio 2013: “Testimonium perhibere veritati”. Cioè: “Per rendere testimonianza alla Verità”. Parole tratte dal Vangelo di Giovanni, quando Gesù dice a Pilato che è venuto al mondo “per rendere testimonianza alla verità”.

Nella medesima omelia, sempre rivolgendosi ai neo sacerdoti: “Non contano le vostre brillanti intuizioni, per quanto utili possano essere, ma la verità su Dio e la salvezza eterna: essa indicherà agli uomini la via giusta da seguire”. Ciò “significa che la potenza del vostro annuncio non proviene dalle vostre buone idee, ma da quello che Dio ci ha donato per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo e dai suoi insegnamenti”. Detto ancor più chiaramente: “Quando annunciate la Parola di Dio, non annunciate teorie a voi gradite”, perché “voi vi donate nel vostro servizio quotidiano, ma la potenza viene dai Sacramenti”. Sacramenti che, tuttavia, sono sempre più sganciati dalla radice evangelica e dal loro significato più autentico. Si domanda con sincerità don Georg: “Che cosa facciamo esattamente quando battezziamo neonati i cui genitori non hanno alcun rapporto con la fede e con la Chiesa? Quando conduciamo alla Prima Comunione bambini che non sanno Chi ricevono nell’Eucaristia? Quando cresimiamo giovani per i quali la Confermazione non sancisce la loro definitiva adesione alla Chiesa, ma piuttosto il congedo da essa? E quando il sacramento del Matrimonio serve unicamente ad abbellire una festa di famiglia?”.

Non si può negare che la Chiesa stia vivendo una crisi epocale, in Germania come in tutta Europa. “L’impianto che regge la cura pastorale si sfascia sempre più”. È praticamente scomparsa quella “Chiesa popolare” che finora “aveva sorretto il ‘diventare cristiani’”. E questo accade in un contesto, puntualizza monsignor Gänswein riprendendo tesi care al cardinale Robert Sarah, in cui emerge “una nuova forma di assoggettamento a quella tentazione totalitaria che sempre, come un’ombra, ha accompagnato la nostra storia”.

La Chiesa non deve soccombere “di fronte allo spirito dei tempi, anche se questo spirito si mimetizza e si traveste da scienza, come già accadde con il marxismo e il razzismo”. E lo Stato “non può diventare una religione, non può imporre il secolarismo quale presunta visione del mondo neutra, mentre invece si tratta di nient’altro che di una pseudo-religione che, dopo le ideologie totalitarie del secolo scorso, compare ancora una volta per dichiarare inutile il cristianesimo”.

Sempre in sintonia con Sarah, il segretario di Benedetto XVI condivide il giudizio che “nelle profonde trasformazioni morali delle nostre società” vi sia “una minaccia mortale per la stessa civiltà umana”.

Non si deve avere paura. In un periodo reso ancor più duro e preda dell’angoscia a causa della pandemia, occorre rialzare il capo. Non sentirsi abbandonati e porre di nuovo Dio al centro dell’esistenza. Gänswein riprende un termine usato da Ratzinger: desecolarizzazione. Una sfida che si condensa in poche parole: “Dare testimonianza di fede”. Di fronte all’eclisse di Dio, “in questo nefasto sistema di vita senza Dio”, occorre guardare a Maria, “stella del mattino”, e ai Santi, che sono gli “autentici riformatori della Chiesa”, un “riflesso di Dio”. La venerazione dei Santi “è sempre una lode alla grazia divina”. E guardare al loro esempio è un aiuto formidabile a non allinearsi e adattarsi “al tempo moderno e al suo spirito”, ma piuttosto a seguire “Colui in cui è radicata la nostra speranza: Gesù Cristo e il suo messaggio”.