Maurizio Modugno è un collaboratore di questa testata in materia di storia, ma è principalmente un critico musicale ed un musicologo, attività che ha condotto sempre accanto a quello che era il suo “mestiere” istituzionale: prima funzionario e dirigente del Ministero della Cultura e successivamente della Presidenza del Consiglio e, negli ultimi vent’anni, il sacerdozio. Attualmente, è parroco a San Valentino al Villaggio Olimpico a Roma. E’ autore di numerose monografie e collaboratore di autorevoli testate del settore.



Questo volume (“Il Castello Musicale – Un castello ove radunare i suoni prediletti”, Varese Zecchini Editore pp. 324, € 33) è organizzato come un castello, un espediente organizzativo per raccogliere in vari piani e torri scritti (sovente rivisti per l’occasione) pubblicati nell’arco di vari decenni. Il tema dominante è il bello e la sua sacralità espressi dalla musica. E’ un lavoro fatto essenzialmente per sé e per i suoi famigliari ed amici, ma che interessa il pubblico che segue la letteratura musicale in generale, nonché ovviamente tutti coloro che vanno a concerti ed opere. Spieghiamo perché.



In primo luogo, è un libro che aiuta famiglia ed amici a comprendere la sua multifaceted (termine inglese che in italiano non è reso completamente dal termine “multiforme”) personalità. Al servizio pubblico ed a quello sacerdotale ha sempre affiancato un’attivata di musicologo molto professionale. Lo si vede chiaramente soprattutto nelle analisi discografiche (ad esempio, quella delle varie interpretazioni di Tristan und Isolde) in cui viene presentata e commentata una documentazione vastissima, quasi erudita, da coprire circa tutte le incisioni del lavoro, scendendo, spesso con una frase, in dettagli non banali e che altri hanno avuto difficoltà ad individuare.



In secondo luogo, si scopre che la multifaced personalità ha una spiccata preferenza per le voci e per la musica francese. L’ultima parte (circa 50 pagine) è dedicata a ritratti di cantanti, spesso non solo ascoltati ma incontrati e frequentati da Modugno. Anche nelle altre parti c’è una grande attenzione per i cantati, ad esempio nella terza parte nel ritratto di Renata Tebaldi, e nella quarta parte nella rivalutazione de La Gioconda di Amilcare Ponchielli, unico grand-opéra padano ancora in repertorio. La musica francese, Massenet, Bizet ed anche Saint Saëns (nella sua unica opera ancora rappresentata), riceve molto spazio e grande cura, mentre “Numi della musica italiana” come Verdi e Puccini, nonché il verismo, sono quasi appena menzionati. Verdi è trattato per le regie che ne fece Luchino Visconti (a cui è dedicata una parte del libro) ed il solo autore per certi aspetti verista (penso a Risurrezione) analizzato è Franco Alfano ma per un’opera molto bella (Sakuntala) ma che di verista nulla ha, dato che una leggenda indiana letta e musicata in chiave liberty art nouveau. Non è un caso che di quel periodo, l’unica altra opera analizzata è Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, altro lavoro tra liberty art nouveau. Lo scarso interesse per il verismo è, ovviamente, solo questione di gusti individuali e si estende alla produzione lirica anglosassone del Novecento e di questi anni (da Philip Glass a Jake Heggie e Thomas Adès, dieci prime mondiali l’anno in teatri privati e sostanzialmente privi di finanziamento pubblico).

In terzo luogo, della grande tradizione austro-tedesca nel volume vengono approfonditi tre autori: Beethoven, Mozart e Wagner. Sono, senza dubbio, i maggiori. La scelta è anche un’indicazione di orientamento e tendenza. Si sfiora la dodecafonia ma non quelle scuole (soprattutto Darmstadt) che hanno caratterizzato il secondo Novecento in Germania ed altrove.

In quarto luogo, la sacralità della musica è uno dei temi fondanti sin dalla prima parte, dedicata a questo argomento. E’ centrale anche ad un libro di filosofia della musica pubblicato in Spagna una dozzina di anni fa ma uscito adesso in traduzione italiana (Ramón Andrés Il mondo dell’orecchio, Adelphi 2021). Andrés ne tratta sotto il profilo filosofico nei primi capitoli del volume e successivamente nelle analisi dell’interazione tra rito e musica nell’antichità di Mesopotamia, Israele, Egitto, e Grecia. La «radice sacra» con cui si entra nel «castello musicale» di Maurizio Modugno è quella cristiana e viene illustrata nella prima dozzina di pagine del volume, con riferimenti a pronunciamenti di Papi recenti come Giovanni Paolo II, Paolo VI e Benedetto XVI, oltre a testi biblici ed ad esempi sia del Medioevo sia della musica del Novecento. Sia per Andrés sia per Modugno, la sacralità è caratteristica innata della musica ed è essenziale alla “bellezza della musica” nelle sue varie manifestazioni.

In quinto luogo, è importante l’attenzione data da Modugno alla danza, sia nella trattazione generale sia nel risalto a singoli coreuti (Carla Fracci, Erik Bruhn). La danza – come forma di preghiera nelle sue origini storiche e come manifestazione del bello – è una espressione musicale in cui come nell’opera e nel teatro in musica in generale all’orecchio si aggiunge l’occhio. E’ un nesso importante perché in gran parte della letteratura, danza e musica sono trattate separatamente, anzi distintamente in modo netto. Nella stampa quotidiana, la critica (e pure la cronaca) musicale è affidata ad un critico differente da chi tratta danza. Ciò avviene anche in quella specializzata: in Italia, i cinque mensili del settore musicale raramente sfiorano la danza. Ci sono solo due critici italiani che si occupano sia di musica sia di danza.

Un ultimo punto: una parte del libro è dedicata a Luchino Visconti. Su questa testata, recensendo tempo fa il romanzo storico di Modugno Il vitello rampante, ho parlato di cura viscontiana del dettaglio. E’ una cura che si legge a tutto tondo sia per l’orecchio che per l’occhio in questo nuovo volume.

Splendida la veste editoriale anche per la intelligente scelta delle immagini. Insomma un libro non solo da leggere, meditare e regalare, ma anche da guardare.